Carlo Antonio Broggia
Il dibattito sulla «storia, la natura, la riforma delle monete, il più importante in campo politico ed economico» (Venturi 1998, p. 443) dell’età illuministica italiana fu avviato da Carlo Antonio Broggia, un mercante ‘autodidatta’ napoletano, che nel 1743 diede alle stampe il Trattato de’ tributi, delle monete e del governo politico della sanità, senz’altro «il principale trattato di materia economica che fosse pubblicato in Italia prima del Della moneta di Galiani» (Venturi 1970, p. 147), e fu lo stesso Ferdinando Galiani a riconoscerne l’importanza, considerando Broggia «il primo tra noi a promuover colla stampa lo studio d’una utilissima e nobilissima scienza» (Della moneta, 1780, avviso dell’editore).
Nato a Napoli nel 1698 da una famiglia di agiati mercanti di droghe e spezie, dopo la morte dei genitori, Carlo Antonio Broggia si trasferì a Venezia, dove soggiornò tra il 1718 e il 1726, presso uno zio parroco che si occupò anche della sua prima formazione. Rientrato a Napoli, riprese l’attività familiare di aromatarius, ossia di commerciante all’ingrosso di articoli di drogheria.
La sua salute piuttosto cagionevole e le difficoltà quotidiane della pratica commerciale non gli impedirono di completare un suo percorso di formazione intellettuale che lo portò a contatto con Paolo Mattia Doria e con Giambattista Vico, protagonisti di una vera e propria restaurazione filosofica contro il razionalismo cartesiano, i quali divennero i suoi due principali punti di riferimento intellettuale. Su di lui ebbero un’influenza decisiva anche i frequenti contatti con il circolo intellettuale riunito intorno a Celestino Galiani (1681-1753), cappellano maggiore del Regno di Napoli, e al mecenate toscano Bartolomeo Intieri (1678-1757), che si proponevano di mettere a punto tutti gli strumenti idonei a combattere l’arretratezza dell’economia partenopea, e dai quali Broggia ereditò l’impulso a confrontarsi con la realtà, evitando di chiudersi in uno sterile provvidenzialismo. Questi sono, a grandi linee, i sentieri che conducono alla maturazione di Broggia e alla pubblicazione nel 1743 della sua principale opera: il Trattato de’ tributi, delle monete e del governo politico della sanità.
Il Trattato di Broggia, che è largamente influenzato, anche se in modo critico, dall’Essai politique sur le commerce (1734) di Jean François Melon, ebbe una discreta circolazione in Italia e in Europa tra intellettuali e politici. Ne furono lettori attenti Giuseppe Forziati, consigliere del commercio di Milano, Giuseppe Fontanesi, ministro dell’elettore palatino, Pompeo Neri e Ludovico Antonio Muratori, che proprio dal Trattato broggiano aveva ripreso la maggior parte delle sue argomentazioni sui tributi e sulle monete contenute in Della pubblica felicità.
Nonostante un’attiva collaborazione con alcuni esponenti del governo napoletano e alcuni contatti con il pontefice Benedetto XIV, Broggia non ottenne alcun incarico ufficiale e restò isolato anche sul piano scientifico. In difesa della proprietà ecclesiastica e della manomorta scrisse nel 1746 Le lettere salutari.
Ad attirare la sua attenzione furono tuttavia i problemi economici del Regno napoletano, in particolare la politica fiscale del ministro napoletano della Real Azienda Leopoldo De Gregorio, marchese di Squillace, contro cui scrisse nel 1754 la Memoria ad oggetto di varie politiche ed economiche ragioni. Il pamphlet, in cui Broggia contestava la questione della ricompra degli «arrendamenti» e l’organizzazione del catasto onciario, suscitò accese polemiche alle quali l’autore rispose duramente l’anno seguente con Risposte alle obbiezioni state fatte da varj Soggetti, intorno al sistema del prezzo corrente. La reazione della corte fu violenta: Broggia venne esiliato a Pantelleria e poi a Palermo per sei anni.
Tornato a Napoli, nel 1761, riprese la corrispondenza con Fontanesi e scrisse memorie e rapporti per conto di committenti austriaci e piemontesi allo scopo di fornire informazioni sullo stato economico del Regno di Napoli. Morì a Napoli nel settembre del 1767, lasciando molti manoscritti inediti.
La storiografia ha riconosciuto il valore dell’opera di Broggia soprattutto nel campo delle dottrine finanziarie, mentre la sua teoria monetaria è stata considerata subordinata alla trattazione dei problemi fiscali o addirittura separata da essa, come a formare una parte a sé stante. Il Trattato di Broggia ha, invece, una struttura assolutamente unitaria, e l’analisi della moneta è il sostegno teorico su cui poggiano alcune sue proposte di politica tributaria.
Sulla natura teorica della moneta, Broggia, pur inserendosi nel solco segnato dalla dottrina metallista aristotelico-scolastica, se ne discosta tuttavia per alcuni aspetti non secondari. Considera la moneta la misura generale di tutte le cose venali, e ritiene che la sua esistenza faciliti lo scambio. I metalli preziosi possono assumere questo importante ruolo in quanto hanno solo un prezzo d’opinione e di per se stessi non sono necessari alla vita, e quindi «non bisognando necessariamente ad altro», servono «alla necessità di misurare e contenere il prezzo ed il valore di tutte le cose di ogni grado di necessità» (Trattato de’ tributi, 1743, p. 175).
La moneta, dunque, è un bene particolare, non è una merce come le altre; essa trae il suo valore dalla riconosciuta preziosità della merce da cui è costituita e non serve ad altro uso che all’ornamento; quando si presta a questa utilizzazione non muta il suo carattere, non si consuma cioè per bisogni vitali e può essere sempre riportata all’uso monetario anche nella forma di gioiello, se scambiata con altre merci; implicitamente Broggia fa notare che l’utilizzazione di merci comuni come unità di conto e mezzo di scambio comporterebbe dei problemi in quanto queste hanno anche altri usi che possono influire sulla funzione monetaria di cui sono investite (si pensi ai capi di bestiame o al grano, la cui fonte di valore è sempre connessa ai bisogni necessari della vita).
Una volta stabiliti il peso e la bontà della moneta metallica, questa dovrebbe essere misura immutabile, di fronte alla naturale mutabilità e consumo delle merci scambiate. E quando la moneta si consumasse per usura si dovrebbe ripristinare rapidamente il suo valore intrinseco dichiarato.
Le autorità statali attribuiscono, secondo le proprie usanze, diversi pesi e bontà alla monete, che quindi circolano l’una diversa dalle altre, così come accade per tutte le misure; tuttavia, osserva Broggia,
milita una certa misura analogica o sia proporzionale far la quantità di un metallo coll’altro, e che si fa per mezzo del prezzo della moneta di metallo inferiore che apprezza quella del metallo superiore a sé più prossimo (Trattato de’ tributi, cit., p.176).
Così la moneta d’oro si valuta con quella d’argento, e la moneta d’argento si valuta con quella di rame. I metalli preziosi hanno quindi la possibilità di misurarsi l’uno con l’altro, di essere prezzo l’uno dell’altro, in modo del tutto autosufficiente, assicurando anche universalità e generalità alla loro funzione di mezzo e misura di scambio, in quanto è sempre possibile convertire una misura nell’altra. Ma questo non assicura la stabilità. Osserva Broggia:
l’analogia o sia proporzione tra un metallo e l’altro si è andata da sei secoli a questa parte sempre più allargando. Per una porzione di oro se ne davano prima dieci di argento; laddove di presente, se ne danno sino a quindici. In questa guisa la moneta d’oro è alzata con quella di argento, e questa col prezzo di quella di rame si è alterata (Trattato de’ tributi, cit., p. 202).
Da questa continua modificazione del rapporto commerciale tra metalli derivano, secondo Broggia, i maggiori problemi per i sistemi monetari e per la stabilità della moneta-misura.
La funzione principale della moneta, come misura e come intermediario degli scambi, è quella di consentire la circolazione delle ricchezze, ma, dato che la merce-moneta metallica è di per sé un oggetto prezioso, gli uomini hanno trasformato le loro ricchezze materiali in monete,
perché invero che cosa avrebbe a mettersi da parte per motivo di avanzo, affinché non si corrompesse e durasse per sempre? Forse le derrate o altre cose, le quali sebbene son necessarie alla vita, sono però soggette fra poco tempo a guastarsi? I metalli dunque e specialmente i più preziosi furono saggiamente a questo fine destinati, per potersi costituire con essi per tutto ciò che avanza in valore, che non mai si corrompesse e si consumasse per se stesso (Trattato de’ tributi, cit., p. 177).
L’attività di tesaurizzazione ferma il circuito dello scambio perché le monete una volta
racchiuse nello scrigno non teme punto il possessore che o tarlino o marciscano o muoiano o deteriorino in qualche conto, come seguirebbe se il valore consistesse in panni, frutti, biade, greggi, terreni e altre cose che richieggono accudimento e molta ispezione (Trattato de’ tributi, cit., p. 179).
La preoccupazione di Broggia è quella di far girare continuamente la ruota del commercio, e la crisi e il ristagno (ozio) delle attività produttive possono essere paradossalmente provocati dall’abbondanza di denaro, per cui uno Stato, pur essendo ricco di monete e di metalli preziosi, mancherà di merci necessarie. Il caso della Spagna è più volte richiamato da Broggia per sottolineare con un esempio concreto la fondatezza di questa sua opinione. Il compito principale dell’autorità politica dev’essere quello di garantire il movimento delle ricchezze, stimolando soprattutto l’industria.
Il primo strumento (espediente), affinché la moneta giri e l’attività industriale non ristagni, è costituito da un’adeguata politica tributaria.
I tributi devono fondarsi sulle entrate certe, che in maggior parte dipendono dai beni immobili. L’imposizione su queste rendite, la «decima», va stabilita attraverso un ordinato catasto e distribuita in modo «geometrico e proporzionale, cioè a misura delle forze di ciascuno, non già a misura del numero delle persone, ricche o povere che elle si siano» (Trattato de’ tributi, cit., p. 6). Lo scopo principale del tributo dev’essere diretto a evitare che il possesso di rendite determini una riduzione degli impieghi produttivi del denaro e la conseguente stagnazione dell’attività economica. Di contro, le ricchezze mobili non devono essere gravate eccessivamente: si incorrerebbe infatti in misure arbitrarie e ingiuste, con l’effetto di disincentivare l’attività industriale.
Questi principi, che fondano la tassazione «ben situata», possono tuttavia essere efficacemente applicati solo in assenza di turbamenti monetari, quando cioè le monete si mantengono nel loro valore intrinseco determinato dal contenuto metallico.
L’altro importante compito dell’autorità politica deve quindi essere rivolto alla conservazione della stabilità monetaria. I valori monetari possono essere alterati non solo per atti arbitrari dei principi che ne sviliscono intenzionalmente il contenuto metallico (e sono da condannare decisamente), ma anche per effetto di circostanze esterne dovute sia alle vicende del commercio internazionale sia alle variazioni della quantità disponibile di metalli preziosi.
A determinare la maggiore instabilità del sistema monetario, secondo Broggia, sono le continue modificazioni del rapporto commerciale tra oro e argento. Per evitare di lasciare il sistema monetario interno in balia degli eventi del commercio mondiale dei metalli preziosi e di tutte le altre merci, si devono definire interventi di governo della moneta, che Broggia definisce con il termine riduzioni, richiamandosi esplicitamente a una terminologia medica per sottolineare che queste politiche monetarie sono destinate a ricomporre ciò che è mutato per circostanze accidentali. Non è quindi riduzione l’intervento che ripristina il peso originario delle monete, modificato in seguito a tosatura o usura; operazione che è definita con il termine di risarcimento o di restaurazione.
Lo strumento che l’autorità può manovrare è la moneta immaginaria, la moneta di conto, che non essendo moneta effettiva, cioè moneta coniata in un particolare metallo, resta immune dalle fluttuazioni che derivano dal commercio dei metalli, e il cui valore è stabilmente fissato nel suo prezzo (valore estrinseco). Di fronte a variazioni del prezzo dei metalli preziosi l’autorità monetaria deve modificare conseguentemente il valore della moneta immaginaria, variando la cosiddetta tariffa, cioè il prezzo in unità di conto (moneta immaginaria) per peso di metallo. Se, per es., il prezzo di mercato dell’oro aumentava rispetto a quello dell’argento bisognava subito modificare il rapporto bimetallico legale, aumentando la tariffa a favore dell’oro, evitando così una fuoruscita di quest’ultimo dallo Stato.
Attraverso la manovra della moneta immaginaria, il governo della moneta poteva quindi essere costruito – secondo Broggia – in termini flessibili al fine di correggere e neutralizzare i danni prodotti dalle fluttuazioni del valore dei metalli.
Il ricorso alla manovra sulle tariffe appare come il tentativo estremo di conservare un certo spazio di sovranità monetaria senza intaccare la supremazia del mercato come regolatore della moneta-merce internazionale. Un tentativo analogo a quelli definiti da William Stanley Jevons, Alfred Marshall e Irving Fisher agli inizi del 19° sec. per sterilizzare i sistemi monetari dalle fluttuazioni del valore dell’oro.
La politica delle tariffe andava applicata, per Broggia, anche in modo attivo e non solo come risposta alle fluttuazioni esterne, al fine di trattenere la moneta nazionale e attirare quella straniera, manovra da attuare nel caso di deficit commerciale (anche su questo punto Broggia anticipa preoccupazioni e soluzioni che trovarono piena definizione teorica solo nel 19° sec.).
Un terzo espediente per garantire la stabilità del sistema monetario, evitando che la circolazione del commercio si interrompa bruscamente, consiste in un efficace sistema di credito. Inevitabilmente la moneta dev’essere temporaneamente accantonata come deposito in vista di pagamenti futuri. Per questa funzione sono stati istituiti i banchi,
ne’ quali depositandosi dalla gente in danaro viene ciascuno accreditato della somma rispettiva, e per poter poi a piacere disporre di quella si riceve riscontro o per via di carte che in Napoli chiamansi fedi di credito, o per via dell’accesso della persona accreditata (Trattato de’ tributi, cit., pp. 389-90).
Il sistema bancario con le operazioni di giroconto, o attraverso l’emissione di titoli al portatore, che per la fiducia dell’istituto emittente sono accettati in pagamento, esercita una funzione di pagamento e non solo di mera custodia dei valori.
Se il banco si limitasse a questa sola funzione di pagamento, la quantità di moneta in circolazione non aumenterebbe, ma vi sarebbe solo l’introduzione di succedanei più comodi (moneta bancaria), in modo da influire sulla velocità di circolazione dello stock monetario esistente. Broggia riconosce alla banca la funzione di creazione monetaria esercitata dal sistema bancario, parlando espressamente di duplicazione di valore (Graziani 2004). Infatti, dato che i soggetti utilizzano solo in parte le loro riserve, agevolati in questo anche dalla banca, le somme oziose possono essere utilizzate per operazioni di credito, a vantaggio di tutta l’attività industriale e dei bisogni di uno Stato. Così il banco realizza anche il collegamento tra risparmi e investimenti. Anzi questa è la sua più importante funzione, perché
quanto più il danaro è spinto per natura al deposito, tanto più una rischiarata e industriosa polizia lo dee alla circolazione respingere. Circola per tutto il corpo il sangue sempre col fine di pervenire al cuore; ma da questo ricevutosi, fra poco alla circolazione è rimandato. Così che il meccanismo del cuore e col moto continuato del sangue si sostiene l’economia animale, agisce l’uomo e si mantiene in vita robusto e vigoroso. Sangue è il danaro, cuore è il deposito: se in questo cuore il danaro si trattiene ozioso, languisce lo Stato e prova moltissimi incomodi (Trattato de’ tributi, cit., p. 403).
Per questo il banco che riesce più vantaggioso allo Stato è «quello che non paga», cioè che non corrisponde alcun interesse sul deposito; perché
il denaro è di natura per se stesso spinto al deposito, e che il modo di accreditare il banco non dipende già dall’interesse, ma da altri rilevantissimi principi politici ed economici di Stato e di commercio, di polizia e di finanza che bisogna tra di loro combinare (Trattato de’ tributi, cit., pp. 407-08).
Broggia intuisce poi chiaramente il concetto di moltiplicatore dei depositi, quando scrive che se i privati dispongono a credito «di danaro effettivo del deposito per soddisfare specialmente i debiti contratti nello Stato, il danaro stesso tosto in mano loro e nel deposito [ritorna]» (Trattato de’ tributi, cit., p. 390; Graziani 2004).
Il banco esercita anche un’importante funzione politica, in quanto, per Broggia, il finanziamento dei bisogni dello Stato attraverso il credito bancario è da preferirsi alla vendita degli uffici, perché se questo rimedio spoglia il principe delle sue entrate, la spesa effettuata sull’utilizzazione dei crediti bancari può addirittura tradursi in altri redditi e quindi in future entrate. Anzi l’istituzione di un banco garantito dallo Stato può essere la condizione affinché si possano ricomprare le entrate alienate.
Il mercante napoletano, schierandosi per la formazione di un debito pubblico, coglieva un altro elemento delle politiche stabilizzatrici che si attuavano in quegli stessi anni in Europa. Solo il banco garantito è «atto a dar tanto di valore ad una carta o al semplice nome in modo che si spende per danaro effettivo» e in fondo
il banco è tale più per causa del credito che per causa del denaro che vi è racchiuso. Perché se noi ben esaminiamo l’affare, troveremo che intanto il danaro vi si racchiude in quanto il banco ha credito. Quindi non è il danaro racchiuso nel banco il quale faccia il banco, ma è il credito che massimamente lo fa (Trattato de’ tributi, cit., p. 402).
Per questo si riesce a dare al denaro «un duplicato valore circolante, l’uno cioè che gira da nome a nome fra privati e privati, e l’altro che gira dal principe al suddito per fini appropriati o di arbitrio o di necessità» (Trattato de’ tributi, cit., p. 402).
All’opposto, il banco pubblico semplice, non godendo del patrocinio statale, come il garantito, o del prestigio commerciale, come i banchi mercantili, è destinato a trattenere la maggior parte dei depositi, facendo circolare le sue carte in modo limitato.
Tuttavia, come l’esperienza della finanza francese sotto la guida di John Law dimostrava, non bisognava abusare del banco garantito, come accadde in Francia, moltiplicando «all’eccesso i valori de’ biglietti» (Trattato de’ tributi, cit., p. 405). Tuttavia, «[…] come ad una terra inaridita da lunga siccità è sempre ristoro l’acqua caduta dal cielo, ancorché scenda con impeto di furiosissimo vento» (Trattato de’ tributi, cit., p. 406), così l’esperienza della Banque royale di Law, ebbe alcuni effetti positivi in quanto mosse i tesori oziosi che «quantunque immensi», non giovavano allo Stato.
Contrariamente a quanto ci si aspetterebbe dopo un’analisi così approfondita dell’istituzione bancaria, Broggia non ci fornisce alcuna organica teoria dell’interesse. Trovando un punto fermo nelle concezioni aristoteliche, il mercante napoletano è certo che «il danaro per se stesso non può produrre danaro se non per il mezzo e coll’essere impiegato nella roba, la quale è atta a produrre per ragion di commercio il denaro» (Trattato de’ tributi, cit., p. 378). Tuttavia riconosceva che «le monete non son piramidi d’Egitto, che per qualunque vicenda di Stato o di commercio immobili si rimangano» (Trattato de’ tributi, cit., p. 367); se le circostanze lo richiedono, per sostenere la popolazione in difficoltà si può anche prestar denaro su pegno, a patto che l’interesse sia basso e non superi il 2%.
La condanna di Broggia dell’usura non ha un’impostazione moralistica. Tuttavia, di fronte all’opera di Scipione Maffei, Dell’impiego del danaro, pubblicata all’inizio del 1744, appena pochi mesi dopo l’uscita del Trattato, la posizione presa dal mercante napoletano appare senza dubbio più arretrata.
Trattato de’ tributi, delle monete e del governo politico della sanità. Opera di stato, e di commercio, di polizia e di finanza: molto, alla felicità de’ popoli, alla robustezza degli stati, ed alla gloria e possanza maggiore de’ principi, conferente e necessaria, Napoli 1743.
Memoria ad oggetto di varie politiche ed economiche ragioni e temi di utili raccordi che in causa del monetaggio di Napoli s’espongono e propongono agli spettabili signori, convocati di real ordine dall’illustre marchese di Vallesantoro Segretario di Stato della Reale Azienda. E incidentalmente con quest’occasione si risolve la sì difficile e strepitosa controversia sulla ricompra delle pubbliche entrate, o siano arrendamenti, alienati col patto di non ricomprare: così detto dazione in solutum. Si ragiona del censimento, o sia catasto, proponendosi il modo di farlo col desiato frutto e senza intoppi. E s’espone il saggio, o sia l’idea di sette utili trattati, da pubblicarsi. De’ quali nella qui addietro pagina si contiene il titolo. Di Carlo Antonio Broggia, Napoli 1754.
Risposte alle obbiezioni state fatte da varj Soggetti, intorno al sistema del prezzo corrente, che assolutamente dee tenersi per la ricompera degli arrendam.ti e similmente a quelle state anche fatte intorno alla rinovazione della moneta di rame che dee anch’essa avere tutto quel valore intrinseco che di giustizia gli spetta; e tanta farsene, che non ecceda il puro bisogno degli scambj minuti. Da umiliarsi a Sua Maestà che Dio sempre guardi, e feliciti di Carlo Antonio Broggia, Napoli 1755.
Le risposte ai quesiti del console Balbiani (Risposte economico-politiche di comerzio, e di finanza su i 30 capi di quesiti che per prescritto di S. M. l’Imperatrice Regina, emanato per mezzo del Supremo Consiglio aulico commerciale di Vienna e per commissione della Suprema commerciale Intendenza nel Littorale austriaco, sono stati denotati, e incaricati al sig.r D. Lodovico Balbiani, console austriaco-toscano nelle Due Sicilie), introduzione di A. Allocati, Napoli 1979.
Il Banco ed il Monte de’ pegni. Del lusso, introduzioni di A. Graziani, L. De Rosa, Napoli 2004.
F. Venturi, Broggia e Vico, in The age of enlightenment. Studies presented to Theodore Besterman, Edinburgh 1967, pp. 298-307.
F. Venturi, Tre note su Carlo Antonio Broggia, «Rivista storica italiana», 1968, 4, pp. 844-53.
F. Venturi, Utopia e riforma nell’Illuminismo, Torino 1970.
R. Ajello, La vita politica napoletana sotto Carlo di Borbone. «La fondazione e il tempo eroico della dinastia», in Storia di Napoli, vol. VII, Napoli 1971.
L. De Rosa, Broggia Carlo Antonio, in Dizionario biografico degli Italiani, Istituto della Enciclopedia Italiana, 14° vol., Roma 1972, ad vocem.
R. Ajello, “Nota introduttiva” alle opere di Carlo Antonio Broggia, in La letteratura italiana. Storia e testi, 44° vol., Dal Muratori al Cesarotti, t. 5, Politici ed economisti del primo Settecento, Milano-Napoli 1978, pp. 971-1032.
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