ARMELLINI, Carlo
Nacque a Roma nel 1777 da famiglia benestante, e, compiuti gli studi giuridici alla Sapienza, si avviò alla carriera legale. Sin dal 1798-99, durante la prima Repubblica romana, si fece conoscere come uomo di idee novatrici e sostenitore di un radicale mutamento delle cose romane. Di tale periodo, durante il quale non rivestì alcuna pubblica carica, rimangono varie sue composizioni poetiche in lingua e in latino (cfr. Accademia patriottica di belle lettere, Roma, anno VI). Durante il periodo napoleonico la sua simpatia per la Francia andò progressivamente diminuendo, tanto che, nel febbraio 1813, fu per breve tempo arrestato per aver letto pubblicamente un sonetto auspicante il ritorno del papa. Durante la Restaurazione fu suddito fedele: ne sono prova altre sue composizioni poetiche dedicate a Pio VII e a Leone XII (cfr. Il ratto di S. Paolo al terzo cielo, in Collezione di poesie sacre, Roma 1828). Per lunghi anni la sua partecipazione alla vita pubblica e civile di Roma si limitò all'esercizio della carriera legale, nella quale raggiunse grande notorietà e fu stimato uomo tra i più probi ed onesti. Giurista di un certo valore, pubblicò anche numerosi saggi e memorie, una delle quali di particolare interesse: Dissertatio de mensis quarum litterae ob fidem publicam pecuniae numeratae vice funguntur, Romae 1837. Sotto Gregorio XVI alcuni suoi giudizi sulla situazione politica lo fecero di nuovo annoverare tra i cittadini politicamente infidi.
Salito al pontificato Pio IX, ne fu tra i più convinti sostenitori. Sebbene avanti negli anni accettò vari incarichi e fece parte di commissioni amministrative e giuridiche per la riforma, tra cui quella per lo studio della riforma amministrativa di Roma, di cui fu anche segretario (1º marzo 1847). Fece pure parte del ricostituito consiglio municipale romano e il 25 nov. 1847 fu eletto consultore. Contemporaneamente svolse una intensa attività giornalistica dalle colonne del Contemporaneo. Istituito il Consiglio dei deputati, l'A. vi fu inviato sia dal collegio di Albano (per il quale optò il 9 giugno 1848), sia da quelli di Iesi e di Terni.
Del Consiglio dei deputati fu una delle figure di primo piano; non solo fu tra i più assidui, ma vi si distinse anche in più occasioni fornendo il prezioso contributo della sua esperienza e della sua moderazione, nonché ricoprendovi varie importanti cariche (vice presidente provvisorio, membro della commissione incaricata di incontrare il delegato del pontefice, di quella per il regolamento, relatore di vari progetti di legge, ecc.). Tra i molti suoi interventi vale la pena di ricordare - oltre il discorso del 12 giugno allo scadere della sua vice presidenza - quello del 26 giugno sull'indirizzo di risposta al discorso della corona e quelli del 4 e del 23 agosto a proposito della necessità di tutelare il segreto epistolare. Fu tra i firmatari della richiesta del principe Bonaparte per la dichiarazione della guerra all'Austria (7 agosto) e relatore del rapporto per l'abolizione dei tribunali e delle commissioni straordinarie, sostenendo (19 agosto) la necessità di ridurre la questione ai suoi veri termini ed opponendosi alle tesi estreme in nome del buon senso e dello spirito giuridico.
Dopo l'uccisione di P. Rossi e la fuga del papa l'A. venne progressivamente modificando la sua posizione e si avvicinò molto - spinto dalla logica degli avvenimenti - alle posizioni dell'ala più radicale. Fu tra i compilatori dell'indirizzo alle popolazioni ed insorse fieramente contro la protesta pontificia del 27 novembre. Il 9 dicembre si manifestò favorevole all'idea di una Costituzione italiana, pur polemizzando col principe di Canino in favore di una larga autonomia dei singoli stati. Fondamentale fu, soprattutto, il suo discorso dell'11 dicembre: in esso egli sostenne che data l'assenza del papa le Camere costituivano il solo potere legale esistente e che ad esse quindi, finché durava tale sospensione ("fintantoché non si è pronunciata la caducità del trono") spettava, per "il gran principio della necessità", il diritto e il dovere di sostituirlo. In base a ciò l'A. concluse sostenendo la piena legittimità della nomina di una Giunta di stato per l'esercizio del potere sovrano. D'ora in poi, vista l'impossibilità di una conciliazione con il papa, egli fu sempre più apertamente fautore di un ricorso al popolo e, mediante una Costituente, di una drastica soluzione che ponesse fine alla precarietà del potere in cui versavano Roma e lo stato.
Logico coronamento di questa sua evoluzione fu, il 23 dicembre, la sua nomina a ministro dell'Interno e, come tale, la sua opera infaticabile per la convocazione della Costituente e la riforma della vecchia legislazione amministrativa, civile ed economica. Balzato in breve in primissima linea tra i più tenaci assertori della rivoluzione romana, il 10 febbr. 1849 fu nominato membro del Comitato esecutivo e, infine, il 29 marzo triumviro con A. Saffi e G. Mazzini.
Giunto a questo punto, però, egli - pur respingendo ogni manovra dei conciliatori e la possibilità di una restaurazione papale - sembra non se la sentisse di andare oltre: sostanzialmente moderato nel profondo dell'animo, si limitò a fiancheggiare il Mazzini e gli altri elementi più decisi, dedicandosi quasi completamente alle questioni giuridiche che si presentavano alla nuova Repubblica e alla parte rappresentativa del potere. Il 30 giugno firmò il proclama d'addio del triumvirato, il 4 luglio si rifiutò però di sottoscrivere la protesta finale.
Caduta la Repubblica, l'A. si rifugiò a Bruxelles, dove - pur mantenendo i contatti con gli antichi compagni e prendendo qualche volta la penna per difendersi dalle accuse dei reazionari - di fatto abbandonò la politica attiva.
Morì a Sain-Iosse-ten-Noode il 4 giugno 1863.
Bibl.: La Guardia Nazionale Italiana, 16 febbr. 1849; L. Carpi, Il Risorgimento italiano, IV, Milano 1884, pp. 298 s.; Le Assemblee del Risorgimento, VI-IX (Roma), Roma 1911, passim; G.Spada, Storia della rivoluzione di Roma, 3 voll., Firenze 1868-70, passim (spec. III, ibid. 1870, pp. 213 s.); D. Demarco, Una rivoluzione sociale. La Repubblica Romana del 1849, Napoli 1944, passim; Arch. d. soc. romana di storia patria, LXXII (1949) (fasc. dedic. alla Rep. Romana del 1849), passim; L. Rodelli, La Repubblica Romana del 1849, Pisa 1955, passim.