BASCAPÈ, Carlo
Nacque in Marignano (Melegnano) il 25 ott. 1550 da Angelo, discendente da antica e nobile famiglia lombarda feudataria del borgo omonimo di Bascapè (il B. usò spesso la versione latinizzata del cognome: "a Basilica Petri" o "Basilicapetri"), e da Isabella Giussani, ultimo di molti figli. Al battesimo gli fu imposto il nome di Giovanni Francesco, che mutò poi in quello di Carlo, all'atto dell'ingresso nella congregazione barnabitica, in omaggio al suo protettore Carlo Borromeo. Nella stessa Marignano ricevette la prima istruzione umanistico-letteraria; avendo poi scelto la professione forense e l'accesso alle cariche pubbliche come campo della propria attività, si trasferì a Pavia nel 1568 per studiarvi il diritto: nel 1574 conseguì il dottorato e successivamente entrò a far parte del collegio milanese dei giureconsulti, posizione molto ambita perché apriva le porte della carriera nelle magistrature. Amico di personaggi influenti dell'aristocrazia e dell'amministrazione, ricercato per la sua abilità di verseggiatore in lingua latina e volgare - a Pavia era stato accademico degli Affidati -, era frequentatore assiduo dell'alta società cittadina e, pur avendo avuto anche in Pavia contatti con l'ambiente barnabitico, non manifestava ancora una particolare vocazione alla vita religiosa. Fu a Milano che cominciò un più profondo rapporto con la comunità di S. Barnaba e in particolare con il padre Paolo Maria Omodei che divenne il suo direttore spirituale. Tuttavia, decidendo di abbandonare lo stato laicale, in un primo tempo il B. non pensò di entrare in un ordine religioso, ma di abbracciare la carriera ecclesiastica, mettendo a disposizione del Borromeo, che lo apprezzava e lo ricercava, il suo talento e la sua erudizione giuridica e umanistica. È noto che il Borromeo nella sua opera di rinnovamento religioso si preoccupò sempre di formare intorno a sé un nucleo di collaboratori non solo praticamente abili, ma anche culturalmente preparati (basta ricordare, per fare un solo nome, Giovanni Botero): la partecipazione a questa équipe lasciò una forte impronta nella vita del Bascapè. Nella primavera del 1575 egli ricevette gli ordini minori, insieme con la nomina a canonico onorario del duomo, e il 29 luglio 1576 fu consacrato sacerdote. Nella sua intensa attività il Borromeo trascinò immediatamente anche il giovane giurista: nel 1575 lo condusse seco nelle visite apostoliche a Cremona e a Bergamo e al ritorno lo nominò visitatore nell'archidiocesi. Travolto dal turbinio dell'attività pratica, il B. cominciò a preoccuparsi di essersi troppo allontanato dagli studi, né valse a tranquillizzarlo l'incarico affidatogli dal Borromeo nella primavera del 1577 di approfondire gli studi storico-giuridici relativi al problema della prima domenica di quaresima, sul quale si era aperto un contrasto con il governo spagnolo. Questa preoccupazione ebbe probabilmente un notevole peso nella decisione presa dal B. nel marzo 1578 di entrare nella congregazione barnabitica. Qui poté infatti, sin dal principio, dedicarsi ad attività a lui più congeniali: era ancora novizio (pronunciò i voti definitivi l'8 maggio 1579) allorché gli fu dato incarico di stendere e redigere i capitoli delle nuove costituzioni dell'Ordine nella loro forma latina; due anni dopo compilò le costituzioni del ramo femminile, delle angeliche; quindi si dedicò a studi storico-giuridici e liturgici sulla Chiesa milanese; scrisse un De Choreis (stampato postumo a Tolosa nel 1662) per la condanna del ballo e rivide, per incarico del Borromeo, il libro di Silvio Antoniano sull'Educazione cristiana. Tuttavia né l'attività letteraria, né le cariche dell'Ordine (nel 1582 fu nominato, vicario del collegio di S. Barnaba e fu eletto fra i quattro assistenti del padre generale) lo distolsero completamente dalla collaborazione con il Borromeo, il quale continuò a servirsi di lui in varie importanti occasioni. Tra queste va ricordata una missione ufficiosa in Spagna nel 1580: per superare i continui conflitti locali con i governatori l'arcivescovo incaricò il B. di chiarire direttamente con Filippo II i termini del contrasto e proporre una migliore collaborazione tra potere temporale e potere spirituale. Nonostante non vi siano stati risultati appariscenti la missione del B. ebbe pieno successo e segnò una vera svolta nei rapporti tra il Borromeo e le autorità spagnole.
Dopo la morte dell'arcivescovo, a cui il B. assistette fra gli intimi e che descrisse con profondo affetto in una lettera (Della morte dell'Ill.mo card. s. Prassede..., Milano 1584, successivamente ristampato più volte a Roma, Piacenza, Venezia e Brescia), egli dedicò numerosi anni alla raccolta delle testimonianze e alla redazione di una biografia di S. Carlo, che, uscita alle stampe nel 1592 a Ingolstadt (De vita et rebus gestis Caroli S.R.E. Cardinalis... libri septem), è indubbiamente l'opera più nota del B., diffusa in numerose edizioni e traduzioni in tutta la cristianità (ne sono state enumerate recentemente ventiquattro).
Il valore dell'opera, prima nel suo genere, consiste nell'esaltazione del nuovo ideale di santità pastorale della riforma cattolica, visto non astrattamente, ma incarnato nella vita dell'arcivescovo milanese, descritta con una solida ricerca degli avvenimenti sulla base dei documenti e delle testimonianze, da parte di chi gli era stato fedele discepolo e collaboratore. L'elaborazione fu complessa, le stesure numerose anche per le difficoltà derivanti dalla necessità di dover trattare di persone ancora vive e di problemi ancora aperti nella vita religiosa e politica italiana. Per questo l'opera fu stampata oltralpe, nonostante l'approvazione di coloro che l'avevano esaminata (F. Borromeo, G. Paleotti, A. Cusano, S. Antoniano, C. Baronio, M. A. Maffa, G. Botero), con gran pena del B., "quasi alcuna scandalosa opera fosse ella, che stampar non si potesse se non fuor d'Italia" (cfr. Chiesa, I, p. 186).
Questi anni di meditazione sulla vita di Carlo Borromeo e sulla riforma cattolica coincisero con un aumento continuo di responsabilità, all'interno della congregazione religiosa barnabitica: nel 1586 il B. fu infatti eletto proposto generale, carica che gli fu rinnovata nel 1588 e nel 1591. Il suo generalato fu caratterizzato da una prudente opera di difesa delle regole contro ogni tentazione di attivismo e di ampliamento esteriore dell'istituzione: curò particolarmente la disciplina del noviziato, l'osservanza dei voti, la formazione nei religiosi di una solida vita spirituale basata sulla lettura dei Padri della Chiesa (le cui sentenze sulla vita religiosa egli raccolse nell'operetta De regulari disciplina monimenta patrum, Mediolani 1588). Nel 1589-90 andò a Roma, ove presentò al pontefice Gregorio XIV "alcuni ricordi cavati come per compendio da un trattato ch'el fece allora della riforma della Chiesa" (Chiesa, I, p. 182); alcuni anni dopo offrì a Clemente VIII un trattato sulla riforma dei regolari. Fu questo pontefice che decise di utilizzare più ampiamente le sue doti e la sua esperienza e lo nominò l'8 febbr. 1593 vescovo di Novara: fece il solenne ingresso nella sede vescovile il 30 maggio.
La diocesi di Novara, assai trascurata dai pastori precedenti, divenne il campo in cui il B. applicò maggiormente l'esperienza acquisita nello sforzo di diffondere la pietà e la dottrina nel clero e tra i fedeli, di riformare gli Ordini religiosi, di adeguare a principî spirituali e di equità l'attribuzione dei benefici ecclesiastici. Il B. ampliò il seminario già esistente, aggiungendovi un collegio per i chierici maggiori, fondò la congregazione degli oblati di S. Gaudenzio, ad imitazione della comunità di sacerdoti istituita da S. Carlo; raggruppò le parrocchie in ventidue (poi venticinque) vicariati foranei a cui faceva capo tutta la vita ecclesiastica e religiosa del distretto: i vicari erano strettamente collegati al vescovo da una continua corrispondenza e da riunioni annue nell'episcopio. Il contatto con la diocesi era poi mantenuto con le visite pastorali - istituto fondamentale della restaurazione cattolica - che il B. incominciò subito dopo l'arrivo. La sua conoscenza della diocesi, che egli cercò di approfondire anche dal punto di vista storico-geografico, è trasfusa nella voluminosa opera Novaria seu de ecclesia Novariensi libri duo. Primus de locis, alter de episcopis (Novariae 1612). Non tenne invece nel lungo periodo del suo episcopato che tre sinodi diocesani: il primo all'inizio, nel 1594, il secondo nel 1598, al termine dell'approfondita presa di coscienza dei problemi della diocesi, il terzo nel 1615, pochi mesi prima della sua morte, per l'elezione degli ufficiali sinodali da sostituirsi a quelli defunti. Questa inosservanza della prescrizione tridentina dei sinodi annuali - ben custodita invece da S. Carlo - derivava dalla convinzione che le norme per la riforma erano già chiare e che vi era solo il problema di metterle in esecuzione, secondo il pensiero riferito da un suo biografo e collaboratore: "Per far decreti, ciò poteva egli anche fare pei suoi editti; dacché nondimeno il più ch'ei poté s'era astenuto, non avendone in tutto il tempo suo fatti più che intorno a quaranta... Il far decreti di decreti e sinodi di sinodi essere cosa al tutto vana e di niun frutto..." (cfr. Chiesa, II, 168). Osservazioni indubbiamente giuste ma che presupponevano l'esaurimento dello slancio creativo di riforma e anche il timore di un'opposizione del clero, nel sinodo, alle ordinazioni del vescovo.
Da parte del clero il B. ebbe infatti a lamentare continui ricorsi, sotto forma di memoriali e di accuse, presentati al pontefice e alle congregazioni romane contro la sua opera riformatrice. Opposizioni egli incontrò anche nei rapporti con il governo spagnolo, sia per la difesa da lui tenacemente condotta dei diritti della giurisdizione ecclesiastica, sia per la tutela del dominio temporale della Chiesa di Novara sulla contea di Riviera d'Orta. Fu anche impegnato a fianco del suo metropolita Federico Borromeo, con il quale fu sempre in stretto rapporto, nelle controversie giurisdizionali che investirono tra la fine del '500 e gli inizi del '600 lo Stato di Milano e che trovarono un compromesso nella "concordia" del 1615. La difesa teoricamente intransigente dei diritti giurisdizionali della Chiesa nei confronti dello Stato moderno, la cui realtà egli non poteva comprendere (difesa rispecchiata soprattutto nella sua raccolta di Perinsignes... pro Ecclesia allegationes. In quibus efficacissimis rationibus illius vera libertas et immunitas defenditur, stampata postuma a Bologna nel 1622 ampliata da A. Bavosi), si univa alla coscienza pastorale dei danni derivanti dalle continue controversie fra Chiesa e Stato alla salute spirituale delle anime: da queste controversie egli riteneva dipendere la decadenza della Chiesa milanese dalla morte di s. Carlo all'epoca di Federico Borromeo. Nel VII concilio provinciale milanese del 1609 fu eletto a patrocinare in Roma la causa di canonizzazione di Carlo Borromeo: fu l'ultimo servizio che il B. offrì al suo maestro e si concluse con la solenne proclamazione del nuovo santo nell'anno successivo.
Gli ultimi anni della vita del B. furono dominati da una dolorosa e progressiva infermità che lo costrinse a poco a poco all'immobilità. Morì il 6 ott. 1615 e il suo corpo fu sepolto nella cappella di S. Carlo della chiesa di S. Marco in Novara: di qui fu traslato nel 1801 nel duomo.
Dopo la morte fu oggetto di pubblica venerazione e negli anni successivi fu aperto il processo di beatificazione, poi sospeso; il processo stesso è stato riaperto nel 1909 e sospeso di nuovo per mancanza di documentazione. In realtà, il materiale documentario è vastissimo ed è ora in corso, presso la provincia barnabitica milanese, la revisione e la trascrizione di esso. La conclusione della fase preparatoria di questo nuovo processo dovrebbe portare a un autentico progresso nella conoscenza della personalità del B., della sua attività e della sua eredità letteraria e documentaria, che solo in minima parte è stata oggetto sino ad oggi di una ricerca storica criticamente impostata.
Opere: È impossibile qui elencare tutti gli scritti del Bascapè. La recente Bibliografia ed iconografia del ven. C. B., pubblicata a cura della Società storica novarese nel Bollett. stor. per la prov. di Novara, XLI (1950), pp. 159-198, come ristampa ampliata della rassegna già edita da G. Boffito nella Biblioteca Barnabitica, I, Firenze 1933, pp. 95-117, enumera centoventi titoli, senza considerare le molte edizioni che si sono avute di alcune opere e raggruppando sotto un solo numero l'intero epistolario composto di 6 registri di lettere del periodo del suo generalato, 26 registri di lettere inviate dopo la nomina vescovile (conservati rispettivamente presso l'Archivio generale della Congregazione a Roma e presso l'Archivio provinciale di S. Barnaba a Milano) e centinaia di lettere originali, prevalentemente dirette a Carlo e Federico Borromeo (conservate nella Biblioteca Ambrosiana di Milano insieme a molto altro materiale manoscritto).
Fra le più importanti opere del B. riguardanti l'erudizione storico-canonistica, la liturgia, l'ascetica, gli scritti per il governo episcopale e della congregazione, oltre a quelle che abbiamo già segnalato più sopra, citiamo: De Metropoli Mediolanensi, Mediolani 1592, 1596 e 1628; Scritti pubblicati da mons. revendissimo D. Carlo vescovo di Novara nel governo del suo vescovato dall'anno 1593 fino al 1609, Novara 1609; Historia Ecclesiae Mediolanensis... Liber primus, Novariae 1615; Commentarii canonici, Novariae 1615; Ecclesiastica Mediolanensis historia ab obitu s. Caroli, a cura di C. Annoni, in Documenti spettanti alla storia della s. Chiesa Milanese..., Como 1839.
Bibl.: In attesa di una completa biografia critica rimane ancora fondamentale l'opera di I. Chiesa, Vita del rev.mo mons. D. C. B. vescovo di Novara, Milano 1636, non priva di una solida conoscenza dell'argomento e anche di acute osservazioni. Questa biografia fu ritirata dalla circolazione per alcune espressioni non ossequienti nei riguardi dell'arcivescovo Federico Borromeo. Fu ristampata a Milano nel 1858 in 2 voll. ed è questa l'ed. a cui abbiamo fatto riferimento. La più recente e critica sintesi della personalità e dell'opera del B. è quella di M. Bendiscioli, C. B. barnabita e vescovo nella rinnovazione cattolica, in Bollett. stor. per la prov. di Novara, XLI (1950), pp. 12-50. I fascicoli 2-3 dello stesso anno 1950 del Bollettino sono interamente dedicati a studi sul Bascapè. Nelle annate successive sono apparsi altri studi sul B. tra i quali segnaliamo quello più recente di A. L. Stoppa, Da Novara a Roma nel 1609. Viaggio del vescovo C. B. col seguito quale risulta dal libro mastro inedito, ibid., L (1959), pp. 3-35. Per la missione in Spagna v. G. Guariglia, La corrispondenza di C. B. a s. Carlo Borromeo nella collezione della Biblioteca Ambrosiana, in Aevum, X (1936), pp. 282-337; cfr. anche P. Prodi, S. Carlo Borromeo e le trattative tra Gregorio XIII e Filippo II sulla giurisdizione ecclesiastica, in Riv. di storia d. Chiesa in Italia, XI (1957), pp. 195-240. Fra gli studi più recenti sul B. segnaliamo quello di M. Salvadeo, Le relazioni fra il card. Federico Borromeo e C. B. (da alcune lettere inedite), in Studi in onore di C. Castiglioni, Milano 1957, pp. 757-779. Lo stesso padre M. Salvadeo sta curando presso l'Archivio della provincia di Milano dei barnabiti la revisione e l'ordinamento del materiale documentario sul Bascapè.