BENTIVOGLIO, Carlo
Nacque a Bologna nel 1615 da Costante e da Elisabetta Paleotti. Studiò umanità e retorica con Gian Domenico Lapi e filosofia con Giovanni Fantuzzi. Passò quindi agli studi di diritto ed ebbe come maestri Bernardino Cattani e Domenico Odofredo. Il 21 aprile 1635 ottenne in Bologna la laurea dottorale in utroque. Il B. abitò per qualche tempo a Firenze, poi tornò a Bologna dove il Senato lo nominò, nel 1640, lettore nello Studio. Conservò la cattedra sino alla morte. Dal 1640 al 1642 fu lettore di istituzioni, dal 1642 al 1648 tenne la lettura "de verborum significatione"; dal 1648 al 1654 fu titolare di quella "de maleficiis", salvo l'anno 1650-51 in cui fu titolare di quella di Pandette. Dal 1654 tenne la lettura ordinaria di decretali e dal 1657 alla morte quella del Sesto e delle Clementine. Pur comparendo ininterrottamente nei rotuli dei lettori, non dovetteinsegnare sempre, giacché nel 1650, o alla fine del 1649, si trasferì a Roma e vi rimase per oltre due anni.
Ordinato prete nel 1654, divenne protonotario apostolico e arcidiacono della metropolitana di Bologna, avendo papa Innocenzo X consentito chelo zio materno di lui, Francesco Paleotti, gli cedesse tale ufficio, cui era annesso anche quello di cancelliere maggiore dello Studio. Succedette allo zio anche nella carica di consultore del S. Uffizio. Nel primo sinodo diocesano celebrato nel 1654 dall'arcivescovo Boncompagni il B. tenne un'orazione che fu ammiratissima e predicò più volte con grande successo nella chiesa della Madonna di Galliera. Egli ebbe a Bologna tanta autorità e rinomanza che, mentre era ancora in vita, nel 1656, gli fu dedicata un'epigrafe onoraria nell'Archiginnasio. Oltreché al Collegio canonico fu aggregato anche a quello filosofico. Morì in Bologna il 16 apr. 1661 e fu sepolto nella chiesa di S. Giovanni in Monte.
Fu membro di molte accademie: appartenne a quelle bolognesi dei Riaccesi, degli Indomiti, dei Gelati (della quale fu segretano, censore e, nel 1649, principe) e a quelle romane degli Umoristi e dei Fantastici. Fondò in Bologna (è incerto se nel 1656 o nel 1658)una nuova accademia, che si riuniva ogni quindici giorni per trattare argomenti per lo più legati, filosofici, morali e teologici, che fu appunto chiamata Accadeniia dell'Arcidiacono e si sciolse alla sua morte.
Sebbene abbia per tanti anni tenuto cattedra di diritto, non si conoscono sue opere di materia giuridica. Ciò che resta della sua produzione sono alcune opere letterarie. Secondo il Fantuzzi, egli lasciò molti scritti inediti (orazioni, discorsi spirituali e accademici, versi latini e italiani) ed è opera sua quanto, sotto lo pseudonimo di Lucejo, èpubblicato nel libretto Le tenerezze del Sasso, del quale, peraltro, non si hanno più precise indicazioni. Un suo sonetto è pubblicato innanzi alle Pazzie dei Savj di Bartolomeo Bocchini (Venezia 1641; ristampato a Bologna nel 1653 e nel 1669)e un altro a p. 271 del tomo I dell'Istoria genealogica delle famiglie nobili toscane ed umbre del p. E. Gamurrini (Firenze 1668); un suo componimento in quartine si legge nei Funerali dei conti Teodorico e Alessandro Ghislieri (Bologna 1647). Ma i suoi lavori più ampi e impegnativi sono una favola pastorale (Il Corindo) e un dramma per musica (Il Mida). La prima fu rappresentata a Bologna nel 1640con gli intermezzi di N. Zoppio Turchi e stampata l'anno medesimo (Bologna, Ferroni) con una dedica degli accademici Riaccesi al legato card. Sacchetti. La favola è preceduta da alcuni sonetti, uno dei quali dello stesso Bentivoglio. La trama del lavoro è molto complicata e vi trovano posto tutti gli espedienti consueti (peripezie, agnizioni, ecc.) e i luoghi comuni caratteristici del genere letterario, senza originalità né schiettezza d'ispirazione. La verseggiatura è spesso sgraziata e faticosa. Il Mida venne rappresentato a Bologna nell'anno 1647(non sappiamo di chi fosse la musica) e stampato a Bologna lo stesso anno con lo pseudonimo di Giulio Centralbo. L'autore vi complica, inframmettendovi non senza sforzo elementi pastorali e amorosi, la favola di Mida dalle orecchie d'asino. Come opera poetica non vale più dei Corindo. Del B. abbiamo infine, stampato a Bologna dal Ferroni nel 1651 e ristampato dal Pisarri nel 1693, il Compendio della vita della beata Elena dall'Olio, dedicato all'infanta Maria di Savoia. La Dall'Olio era zia della nonna dello scrittore, Pantasilea Paleotti, che fece costruire, per collocarvi le sue spoglie, la cappella di S. Cecilia nella chiesa di S. Giovanni in Monte: cappella che era adornata dal famoso quadro dipinto da Raffaello e nella quale anche il B. ebbe la sua sepoltura.
Bibl.: A. Masini, Bologna Perlustrata, Bologna 1666, p. 154; V. Zani, Mem. imprese e ritratti di sigg. Accademici Gelati, Bologna 1672, pp. 88-93; L. Allacci, Drammaturgia, Venezia 1755, p. 219; G. M. Mazzuchelli, Gli Scrittori d'Italia, II, 2, Brescia 1760, p. 868; G. Fantuzzi, Notizie degli scrittori boloenesi, II, Bologna 1782. pp. 77-79; C. Ricci, I teatri di Bolaena nei secc. XVII e XVIII, Bologna 1888. pp. 328, 331; U. Dallari, I rotuli dei lettori dello Studio di Bologna, II, Bologna 1889, ad annos;M. Maylender, Storia delle Accademie d'Italia, I, Bologna 1926, pp. 292 s., P.Litta, Famielie celebri ital., Bentivaglio, tav. VIII; J. Bonnard, in Dictionnaire d'Hist. et de Géoer. Ecclésias., VIII, Paris 1934, coll. 282 s.