BENVENUTI, Carlo
Nato a Livorrio l'8 febbr. 1716, vi compì i primi studi. Il 14 nov. 1732 iniziò a Roma il noviziato nella Compagnia di Gesù, probabilmente frequentando i corsi di umanità e retorica presso il collegio di S. Andrea delle Fratte. Non restano altre notizie dei suoi studi. Fu dapprima insegnante di filosofia nel collegio gesuitico di Fermo; poi, pronunziati i voti sole il 2 febbr. 1750, fu chiamato a supplire il padre Ruggero Boscovich nell'insegnamento di fisica e matematiche presso il Collegio Romano, per tutto il tempo che l'astronomo e fisico dalmata fu impegnato nel suo - viaggio scientifico nei domini della S. Sede, cioè tra l'ottobre 1750 e il novembre 1752. Legato d'amicizia al Boscovich, curò la pubblicazione dei suoi Elementorum matheseos ad usum studiosae iuventutis libri III, premettendovi una propria introduzione (II, I-II, Romae 1752; II, I-III, Romae 1754 e Venetiis 1758).
Il B. aveva esordito come traduttore degli Elementi di Geometria del Sig. Clairaut (Roma 1741) e come autore di componimenti d'occasione; restano di lui un tenue "componimento sacro per musica" dal titolo Cristo presentato al tempio (Foligno 1743), e l'orazione In funere Ludovici Ancajani, necrologio del vescovo di Spoleto (ibid. 1743). Nel 1754 videro la luce a Roma per i tipi di Antonio de Rossi - che aveva stampato anche le dissertazioni annuali del Boscovich - due dissertazioni latine di fisica newtoniana, De lumine e Synopsis physicae generalis, che non recano il nome del B., ma gli sono concordemente attribuite dal Giornale de' letterati, dal Pera e dal Sommervogel. Si tratta di due compilazioni, evidentemente legate al suo insegnamento romano, e presentate da un seminarista spagnolo, J. J. de Vereterra y Agurto Castañega.
Secondo il Pera, la dissertazione De lumine non sarebbe da attribuirsi integralmente al B., ma almeno in parte al Boscovich. È dunque assai arduo stabilire quanto appartenga all'uno o all'altro dei due confratelli, e quale parte vi abbia avuto il Castaflega; che tuttavia la compilazione sia largamente ispirata all'omonima trattazione pubblicata dal Boscovich nel 1748, e in generale al suo insegnamento, ètestimoniato nel testo stesso: ove, a proposito di certe obiezioni circa le tesi di G. F. Maraldi, E. Halley, J.-J. Dortous de Mairan sulla velocità della luce, valutata in quegli anni mediante osservazioni sui satelliti di Giove, è citata appunto la dissertazione De lumine del Boscovich, "cui quidein plurima corum debemus, quae in hoc libello occurrunt; neque solum ea, quae in citata dissertatione ad ifiustrandum Newtoni theoriam de luce et coloribus contulit; sed alia etiam, quae privatis sermonibus nobiscum communicavit" (S I, V, p. Il). Sono qui esposti alcuni teoremi dell'Opticks di Newton, in relazione a recenti osservazioni astronomiche di Bradley, Cassini, Halley, Mairan; dopo una breve premessa circa le "proprietates stabiles et immanentes" della luce, relative cioè alla propagazione, riflessione, rifrazione, diffrazione e dispersione spettrale (§ I), si tratta dei fenomeni di riflessione e interferenza nelle lamine sottili e degli "anelli di Newton" (§ II-III), dei colori dei corpi naturali e della natura della luce. Su quest'ultimo punto la dissertazione segue l'ipotesi newtoniana circa l'emissione di corpuscoli luminosi, respingendo sia la teoria corpuscolare di Cartesio, sia quella ondulatoria di Huygens e Eulero: "[Lucem] in effluvio quodam tenuissimo sitam esse arbitramur, non in pressione simplici, quae per fluidum aliquod continuis contextum globulis propagetur, nec in undis in elastico fluido excitatis" (§ IV, CLXXV, p. LXXXVI).
Direttamente connessa alla Theoria philosophiae naturalis del Boscovich è la gemella Synopsis physicae generalis, che si apre con l'esposizione dell'ipotesi boscovichiana relativa alla divisibilità illimitata della materia 0, Illud certo constat e phaenomenis: numerum particularum, in quas corporis massa utcumque exigua resolvi posse, limites excedere, quos illi possit immaginatio nostra praescribere" § I, IV, p. II). V'è poi un'esposizione della meccanica newtoniana: leggi d'inerzia, azione e reazione, moto uniformemente accelerato, caduta dei gravi, gravitazione universale, leggi di Keplero (§ II, XXIV ss.); a proposito degli stati fisici della materia - concepita come perpetuamente attiva e interagente, in esplicita polemica con il meccanicismo cartesiano - sono citati gli scritti di B. Franklin e J.-A. Nollet sull'elettricità e il magnetismo (5111, LXXXI, p. XXXII); varie questioni chimico-fisiche, come rarefazione, condensazione, fermentazione, dissoluzione, precipitazione, cristallizzazione dei sali, sono discusse sulla scorta delle "quaeries" dell'Opticks di Newton e del manuale di P. van Musschenbroek (§ III, XC ss.). La conclusione riassume vari scritti ottici e meccanici del Boscovich, esponendo la sua "unica legge" di attrazione e repulsione, valida per tutti i fenomeni naturali (scritti, "in quibus omnibus leges ipsas non ut hypothesim quandam protulit ad arbitriuni confictam, sed positivo argumento ab ipsa lege continuitatis desumpto demonstravit. Multa circa ipsain virium legem ex praedictis dissertationibus mutuabimur, et afiqua etiam nonduni vulgata eiusdem permissu proferemus..." § IV, CVII, p. XXXIX).
Che le due dissertazioni non fossero semplici lavori scolastici, ma piuttosto audaci professioni di fede nella nuova fisica, è dimostrato dall'incidente che ne sorse: notandovi certi critici "non so qual silenzio su questioni che secondo loro andavano toccate ", scrive il Pera, e censurandone altre "che meglio era tacere", vi fu nell'Ordine una notevole reazione, che indusse il padre generale a predisporre l'allonanamento da Roma del B., analogamente a quanto veniva fatto per l'amico Boscovich. Ma la stima e il diretto intervento del papa Lambertini fecero sì che il provvedimento non avesse corso, e che venisse anzi assegnata al B. la cattedra di liturgia, da poco fondata e già coperta da E. Alzevedo: "E questo posto egli riempie ora con sorruna lode - nota un biografo contemporaneo - sì però che non si dispera di vedere da lui alle stampe un intero corso di eccellente moderna filosofia" (G. M. Mazzuchelli, Gli Scrittori d'Italia, II, 2, Brescia 1760, p. 887). Una testimonianza analoga si legge nelle Memorie di S. de' Ricci, che del B. fu discepolo, e che ne ricorda con lode l'insegnamento: "Qualche travaglio sofferto dai vecchi gesuiti, che non volevano che si professasse altra filosofia o altra teologia che quella dei loro quaderni, impegnò Benedetto XIV a salvare da ulteriori molestie questi valentuornini, erigendo specialmente due catedre nel collegio di Roma, una di storia ecclesiastica, l'altra di sacri riti, questa per il Benvenuti, quella per il Lazeri. Erano pertanto questi unitissimi e a vicenda si soccorrevano negli studi" (Memorie, Firenze 1865, I, pp. 9 s.).
Nel 1761 fu conferito al B. anche il titolo di "scriptor de rebus sacrae congregationis", ma di tale funzione sembra non restino tracce. Un decennio più tardi, nel momento risolutivo della grande campagna contro l'Ordine che portò alla sua soppressione, il B. intervenne nella polemica con uno scritto che ebbe notevole fortuna. All'inizio dell'estate del 1772 era apparso un violentissimo libello dal titolo Riflessioni delle corti borboniche sul gesuitismo, parte d'una vasta campagna di stampa intesa a sollecitare da Clemente XIV l'impegno chegli aveva assunto in conclave, e poi ribadito in varie occasioni, di sopprimere i gesuiti. Protestando contro la tattica evasiva e la "condotta dilatoria" del papa, il libello riecheggiava gli argomenti antigesuitici maturati nell'opinione laica, accusava la S. Sede d'ipocrisia, formulava minacce ("... è cosa colma di biasimo per quattro sacchi neri sacrificare la Chiesa, il bene della S. Sede, la propria estimazione, ed usare una intempestiva indolente noncuranza del patrimonio di S. Pietro"); riecheggiava inoltre, anche letteralmente, molte delle rimostranze che possono leggersi nei dispacci diplomatici scambiati tra le corti borboniche e i loro ambasciatori a Roma, sicché esso è da riportare all'inasprimento della polemica che precedette l'arrivo in Roma del nuovo ambasciatore spagnolo José Moñino, se non addirittura alla decisa iniziativa da lui assunta presso il papa.
La replica del B., pubblicata anonima a Roma quell'anno stesso, è un opuscolo di sessanta pagine: Irriflessioni dell'autore di un foglio intitolato Riflessioni, ecc.
Vi si contestano punto per punto le asserzioni e le accuse del suddetto "scrittabolo... produzione sì miserabile, cui meglio sta il titolo di Delirio, che quello di riflessioni" (p. 1), valutando i vari motivi che muovono il papa a conservare la Compagnia di Gesù, rispetto all'"utile che trarrebbero i principi" dalla sua soppressione, insinuando che l'impegno preso dal papa più di tre anni innanzi non fosse una libera scelta, ma una promessa viziata da "qualche timore". Affiora dall'opuscolo l'intento d'influire sulla tentennante condotta papale, facendo leva sui motivi di prudenza e di resistenza diplomatica, presentando i gesuiti come vittime di una persecuzione iniqua, tracciando un quadro patetico delle ingiurie (la essi sofferte: "Il giudizio informe reso in Portogallo contro i gesuiti, contro de' quali non seppero produrre que' ministri se non accuse vaghe e inconcludenti, che sole bastavano a dimostrarne l'evidenza: centinaia di rei ammontonati come pecore da macello nelle carceri sotterranee di Lisbona, e poi dimessi in gran parte a requisizione di vari principi, mossi a pietà dal barbaro trattamento in cui giacevano i loro sudditi, senza aver mai nel decorso di più anni né veduto la faccia, né udito la voce d'un giudice: uno di loro arrestato prima per delitto di Stato, e poi condannato alle fiamme per visionario, con un giudizio, al parer degli stessi Filosofi, nemici giurati dell'Evangelo e de' Gesuiti, ugualmente ridicolo che crudele...". L'argomento è tratto da Sur la destruction des Jésuites di d'Alembert, ma unicamente come espediente polemico; giacché il B. vuol anzi dimostrare che i gesuiti sono vittime di una congiura promossa dai liberi pensatori, "che ben informati di tutto l'interior della macchina", ordita d'accordo con le corti borboniche, considerano la loro rovina "come un effetto dovuto unicamente alla loro Filosofia e come un mezzo indispensabile di dilatarla e stabilirla in tutti i regni d'Europa". La polemica contro lo scritto di d'Alembert è più diretta in un'appendice che fu aggiunta alla seconda edizione (s. I. né a., pp. 65-98), con il titolo: "Se si possano distruggere i gesuiti, questione proposta e risolta in Francia nel 1769, prestamente tradotta in italiano". Qui si sostiene la tesi dell'innocenza dei gesuiti sul piano eticopolitico, sì che soltanto i regolamenti dell'Ordine possono essere sottoposti a giudizio, non dai governi ma dalla Chiesa; e si reclama per i gesuiti, in Roma, la libertà di difenders.- dalle accuse e di sottoporre la propria causa al giudizio dell'opinione pubblica.
Dopo la soppressione dell'Ordine, il B. venne costretto a rifugiarsi in Polonia (1773); alcuni anni più tardi, risiedendo a Varsavia in casa del principe Czartoryski, agiva da intermediario. tra Roma e i gesuiti russi. Una lettera del Centomani al Tanucci del 23 ag. 1774 ne dà notizia: "... L'ex gesuita Benvenuti, già fuggito da Roma, si ritrova in Polonia, ben accolto da quel Sovrano, e tenuto anche a tavola, ha composto due libri, uno preferendo la presente Chiesa greca alla Romana con averlo dedicato alla Czara: e l'altro che ogni Sovrano è padrone nei suoi dominii per non ammettere la bolla della soppressione della Compagnia" (L. Pastor, Storia dei Papi, XVI, 2, Roma 1933, p. 457). Di questi scritti, come pure di un'opera manoscritta che il B. avrebbe lasciato, intesa a confutare il materialismo dei philosophes, non restano altre notizie. Egli morì a Varsavia il 12 dic. 1789 (nel Sommervogel la data errata 1797).
Bibl.: F. Pera, Ricordi e biografie livornesi, Livorno 1867, pp. 229 ss.; C. Sommervogel, Bibliothèque de la compagnie de Jésus, Bruxelles-Paris 1890, I, s. v.; a questo repertorio si rinvia per le altre indicazioni bibbografiche.