BERGONZI, Carlo
BERGONZI, Carlo. – Nacque a Vidalenzo di Polesine Parmense, il 13 luglio 1924, unico figlio di Antonio, casaro, e Amalia Bergamaschi, casalinga. Fin da giovanissimo lavorò con il padre, ma la famiglia seppe assecondare la sua passione per il canto: ricevette una prima istruzione elementare da Sincero Pisaroni, studiò privatamente con il concittadino Edmondo Grandini, baritono, che risiedeva a Brescia, e nel 1941 si iscrisse al Conservatorio di Parma, dove fu allievo di Ettore Campogalliani. Nell’estate 1943 interruppe gli studi a causa della guerra. Venne arruolato nel IV Raggruppamento di artiglieria contraerea di Mantova e fu poi internato in Germania, nei pressi di Neubrandenburg, nel campo Stalag II/A. Al termine del conflitto riprese gli studi al conservatorio di Parma, dove si diplomò nel 1948. Nel settembre 1950 sposò Adele Aimi, e dopo quattro mesi nacque il primo figlio, Maurizio; il secondogenito, Marco, nacque il 7 gennaio 1957. Bergonzi si era trasferito a Cusano Milanino per essere vicino al capoluogo lombardo, dove in Galleria era allora usanza per i cantanti di belle speranze poter contattare agenti e ottenere ingaggi. Come baritono debuttò nella Bohème di Giacomo Puccini all’Arena Argentina di Catania, il 7 agosto 1947. (In una trasmissione del 12 ottobre 1985 di ‘Opera Fanatic’, un programma radiofonico statunitense, dichiarò tuttavia di aver cantato in scena per la prima volta come Figaro nel Barbiere di Siviglia di Gioachino Rossini in una recita parrocchiale a Varedo, un comune dell’hinterland milanese.)
La carriera da baritono si protrasse fino al 1950, su piazze minori della provincia italiana, dal teatro Di Lillo di Barletta al Mercadante di Altamura, dal Garibaldi di Bisceglie all’Arena Auricchio di Cremona, dalla Fenice di Molfetta al Sociale di Sannazzaro de’ Burgondi, dal Nuovo di Busto Arsizio al Sociale di Biella e al Politeama di Casale Monferrato. Non mancarono tuttavia palcoscenici più importanti, come il Regio di Parma (1948 e 1949), il Ponchielli di Cremona, il Verdi di Ferrara (1949), il Petruzzelli di Bari e il Nuovo di Milano (1950). Il repertorio comprendeva ruoli di primo piano (di solito l’antagonista del tenore): Enrico nella Lucia di Lammermoor di Gaetano Donizetti, Germont nella Traviata di Giuseppe Verdi, Figaro nel Barbiere di Siviglia, Belcore nell’Elisir d’amore di Donizetti, Alfio nella Cavalleria rusticana di Pietro Mascagni, Silvio nei Pagliacci di Ruggero Leoncavallo, Albert nel Werther di Jules Massenet, Marcello nella Bohème pucciniana. Dopo aver cantato nella Madama Butterfly (ottobre 1950, Goldoni di Livorno), Bergonzi interruppe la carriera per qualche mese, rendendosi conto che la corda di baritono finiva per avvilire la sua voce, alla quale mancava l’espansione e il nerbo peculiari di questo ruolo vocale. Dopo mesi di studio, fidandosi delle proprie capacità e di quanto aveva appreso dai grandi tenori con i quali si era trovato a cantare, maturò un’autentica voce di tenore; il 18 gennaio 1951 debuttò al Petruzzelli di Bari nel ruolo eponimo dell’Andrea Chénier di Umberto Giordano, avviando così una nuova carriera.
La prima parte della carriera del tenore può esser fatta coincidere con il periodo compreso tra il debutto e il 1958. In Italia furono anni di intensissima attività nei teatri di tradizione, su ribalte di provincia, in sale minori di grandi città. Bergonzi fu così al teatro Alfieri di Asti, al Solvay di Rosignano, al Cagnoni di Vigevano, al Nuovo di Salsomaggiore, al Castello di Lombardia di Enna, alle Palme di Sanremo, al Nuovo di Milano e negli Studi RAI del capoluogo lombardo, dove nel 1951, nel 50° anniversario della morte di Verdi, fu Carlo VII in un’edizione, poi divenuta storica, della Giovanna d’Arco con Renata Tebaldi e Rolando Panerai, e dei Due Foscari, diretti da Carlo Maria Giulini. Nel 1953 cantò Riccardo in Un ballo in maschera verdiano al Regio di Parma, dove sarebbe poi tornato con frequenza (peraltro non sempre applauditissimo: il 26 dicembre 1959 il loggione parmense, avido di acuti sgargianti, contestò sonoramente il pianissimo e morendo,voluto da Verdi, e da pochi tenori così egregiamente realizzato come da Bergonzi, su cui si smorza la sortita di Radamès dell’Aida). Sempre nel 1953 fu al Comunale di Firenze, Maurizio di Sassonia in Adriana Lecouvreur di Francesco Cilea, indi al Bellini di Catania, prima in Turandot e poi in Manon Lescaut di Puccini. Nel 1955 si presentò al San Carlo di Napoli in Madama Butterfly. Il repertorio era quello di un tenore lirico spinto, con una preponderanza di ruoli verdiani. E tuttavia, nonostante la palese superiorità tecnica, la presenza di colleghi come Mario Del Monaco, Giuseppe Di Stefano e Franco Corelli, costringeva Bergonzi in una posizione relativamente subalterna.
All’estero intanto si era fatto conoscere negli Stati Uniti: nel 1955 alla Lyric Opera di Chicago in alcune recite del Tabarro di Puccini, con Tito Gobbi, e di Cavalleria rusticana con Ebe Stignani, cui seguirono nel 1961 Lucia di Lammermoor con Joan Sutherland, Mefistofele di Arrigo Boito, con Boris Christoff, e La forza del destino verdiana, infine nel 1971 Tosca di Puccini. Il 13 novembre 1956 debuttò al Metropolitan di New York, Radamès nell’Aida. Vi ritornò fino al 1983, con Il trovatore, Tosca, La bohème, Carmen (Georges Bizet), La forza del destino, Andrea Chénier, Lucia di Lammermoor, Madama Butterfly, Macbeth (Verdi), Manon Lescaut, Cavalleria rusticana, Pagliacci, Simon Boccanegra (Verdi), Un ballo in maschera, L’elisir d’amore, Ernani (Verdi), Rigoletto, La traviata (Verdi), La Gioconda (Amilcare Ponchielli), Norma (Vincenzo Bellini), Luisa Miller (Verdi), la Messa da Requiem (Verdi) e in alcuni ‘gala’, per un totale di circa 300 recite, in oltre 25 stagioni, a conferma del gradimento del pubblico e della critica, inserendosi a pieno titolo tra i grandi tenori italiani acclamati oltreoceano. Bergonzi si era prodotto, intanto, nella penisola iberica. Al São Carlos di Lisbona debuttò nel 1956 nel ruolo eponimo del Don Carlo (Verdi), cui seguirono Il trovatore (1963), La Gioconda (1965), Aida (1969), La forza del destino (1972), Un ballo in maschera (1976), che riprese nel 1983, La traviata (1982) e I Lombardi alla prima crociata (1989). Nel 1956 e nel 1957 comparve anche al Campoamor di Oviedo, rispettivamente in Un ballo in maschera e nella Forza del destino, poi in Andrea Chénier e Tosca, tornandovi nel 1976 con La Forza del destino e Lucia di Lammermoor.
La seconda parte della carriera può essere fatta coincidere con il periodo compreso tra il 1958 e il 1963. A riprova della raggiunta popolarità, debuttò all’Arena di Verona, di cui divenne poi presenza costante e sempre acclamata. Nel 1958 cantò Aida (ripresa nel 1960, 1961, 1965, 1969, 1971, 1974), nel 1959 La forza del destino (poi 1975), nel 1960 Pagliacci, nel 1962 Un ballo in maschera, nel 1963 La Gioconda (poi 1973), nel 1964 Mefistofele, nel 1966 la Messa da Requiem, nel 1968 Il trovatore, nel 1970 La traviata, nel 1972 Cavalleria rusticana, nel 1974 Tosca. In questi anni si presentò su alcune delle massime ribalte italiane, tra cui l’Opera di Roma, il Comunale di Bologna, il Massimo di Palermo e la Fenice di Venezia. Nell’agosto 1961 fu Don Alvaro nella Forza del destino in piazza Verdi a Busseto. Nel 1959 aveva debuttato con grande successo alla Staatsoper di Vienna, dove tornò fino al 1988, in Aida, Andrea Chénier, Cavalleria rusticana, Il trovatore, La bohème, La forza del destino, Lucia di Lammermoor, Madama Butterfly, Pagliacci, Tosca, Un ballo in maschera.
Si può far iniziare il terzo periodo della carriera nel 1963. Dopo il debutto alla Scala il 25 marzo 1953 come protagonista del Mas’Aniello di Jacopo Napoli, la Forza del destino nell’ultima recita del 7 maggio 1955 (sostituendo Giuseppe Di Stefano) e il Simon Boccanegra del gennaio 1956, nell’aprile 1963 Bergonzi tornò alla Scala per Aida (direttore Gianandrea Gavazzeni, regìa di Franco Zeffirelli, scenografie e costumi di Lila De Nobili). Nel luglio cantò la Messa da Requiem diretta da Herbert von Karajan. Fu diretto da Gavazzeni anche nel Mefistofele, marzo 1964, nella ripresa di Aida,1965, nella Forza del destino, che inaugurò la stagione 1965/66, e nel Trovatore, con la regìa di Luchino Visconti (1967/68). Nel 1964 aveva partecipato alla prima tournée scaligera in Unione Sovietica: a Mosca, teatro Bol’šoj, aveva cantato Lucia di Lammermoor (6 e 14 settembre), Il trovatore (10, 13 e 18 settembre) e la Messa da Requiem con Karajan direttore (23 e 25 settembre). Nel dicembre 1966, sempre alla Scala, fu Nemorino nell’Elisir d’amore, nel 1967 cantò l’Inno delle Nazioni di Verdi e Il trovatore, e nel 1968 fu Riccardo in Un ballo in maschera sotto la direzione di Antonino Votto. Nel 1967 aveva partecipato ad un’altra tournée della Scala, cantando alla Salle Wilfrid Pelletier di Montréal, in occasione dell’Esposizione universale e internazionale (14 ottobre), e al Carnegie Hall di New York (18 ottobre). Ricomparve alla Scala nel gennaio 1976 per Aida, direttore Thomas Schippers: nell’atto I conobbe qualche momento difficile, che probabilmente decise la collaborazione tra il teatro milanese e il tenore bussetano. Nel 1983 e nel 1993 vi tenne due concerti, accompagnato al pianoforte da Vincenzo Scalera.
Dagli anni Ottanta gli impegni cominciarono a diradarsi. Il 3 maggio 2000 al Carnegie Hall di New York affrontò la parte di Otello, spinto dal desiderio di poter aggiungere al proprio repertorio verdiano anche la parte del Moro. Si trattò di un debutto tardivo, il cui esito fu segnato dall’ormai evidente declino.
Nel 1965 a Busseto aveva aperto un albergo, ‘I due Foscari’, costruito in uno stile che richiamava le architetture dei palazzi veneziani dove si colloca l’opera verdiana. Punto d’incontro per melomani e ammiratori, negli anni Ottanta ospitò un’importante Accademia privata di canto. Bergonzi fu docente in varie altre accademie (la Belcanto Foundation di Chicago e quelle finanziate a Busseto dalla Fondazione Maria Mezzanzana Ziliani e a Parma dalla Fondazione Toscanini), in cui si perfezionarono nomi illustri come i tenori Celso Albelo, Roberto Aronica, Vincenzo La Scola e Salvatore Licitra, il baritono Alberto Gazale, il mezzosoprano Elisabetta Fiorillo, il basso Michele Pertusi: tutti giovani cantanti destinati a ottime carriere, che fecero propria la tecnica di canto del grande tenore. Nel luglio 1986 e 1987 eseguì Luisa Miller e La forza del destino nella piazza intitolata a Verdi in Busseto, dove nell’agosto 1997 cantò ancora la Messa da Requiem, che ripeté a Boretto, un comune emiliano non distante da Busseto, sempre diretto da Romano Gandolfi. Godette di buona salute fino agli 88 anni.
Morì a Milano il 25 luglio 2014. Il Comune di Busseto ha dedicato a Bergonzi la piazza antistante l’albergo, nei pressi di piazza Verdi.
Accanto alla carriera teatrale Bergonzi svolse un’importante attività discografica. L’esordio avvenne nel 1957 con un recital di arie, realizzato per Decca; ma nel corso della carriera il tenore registrò anche per RCA e Philips. Dalla fine degli anni Cinquanta realizzò una serie di storiche registrazioni verdiane. Nel 1959 registrò Macbeth con Birgit Nilsson, direttore Erich Leinsdorf, nel 1961 e 1962 due edizioni di Un ballo in maschera, la prima con la Nilsson come Amelia, direttore Sir Georg Solti, l’altra con Leontyne Price, direttore Leinsdorf, nel 1963 Rigoletto con i complessi della Scala diretti da Rafael Kubelik, nel 1965 Luisa Miller con Anna Moffo e Don Carlo con Tebaldi, ancora direttore Solti, nel 1967 la prima edizione in studio di Ernani, con la Price, direttore Thomas Schippers. Il lascito discografico verdiano si completa in un’impresa artistica fuori dal comune: la registrazione di tutte le arie di Verdi per tenore, da Oberto conte di San Bonifacio a Falstaff. Accanto alle incisioni verdiane non vanno però dimenticate Cavalleria rusticana e Pagliacci con i complessi della Scala, direttore Karajan (1965), Lucia di Lammermoor (1970), Adriana Lecouvreur con Joan Sutherland (1988). Accanto alle registrazioni in studio vi sono poi i moltissimi documenti live che conservano esecuzioni divenute storiche, come la citata Giovanna d’Arco (26 maggio 1951, con Tebaldi), le molte di Aida che vanno ad aggiungersi a quella realizzata in studio nel 1959 con Karajan e Tebaldi, e L’elisir d’amore di Firenze con Renata Scotto (2 luglio 1967). «Più d’ogni altro tenore italiano su disco, Bergonzi unisce forza, bellezza, intensità ed eleganza: meno robusto di Enrico Caruso, meno soave di Beniamino Gigli, meno impetuoso di Giovanni Martinelli, meno forbito di Tito Schipa, esibisce nondimeno un equilibrio così perfetto di tali qualità da collocarlo a buon diritto in quest’illustre rosa; e se mai volessimo evocare altri nomi del passato, dobbiamo aggiungere che ha intonazione impeccabile, canta con precisione e non strafà: … neppure tre punti esclamativi e le didascalie con un grido e con trasporto di giubilo (come nell’atto III dell’Ernani) lo indurranno a deflettere dalla nota scritta per eruttare un urlo purchessia» (Steane, 1974, pp. 447 s.).
Dotato di una voce vigorosa, ben timbrata, sonora e penetrante, benché non particolarmente estesa, Bergonzi si impose subito per una tecnica in sé perfetta, che gli permise di emergere nel tipico repertorio del tenore lirico spinto, esibendo una particolare predilezione per la produzione verdiana, di cui ha fornito esecuzioni di portata storica. Assurse così al rango di un modello, tanto che la critica anglosassone lo definì il massimo tenore verdiano del secolo XX. Contribuì alla riscoperta della forza drammatica insita nella vocalità verdiana, liberandola dai condizionamenti di una tradizione che, specie nella prima metà del secolo, era stata segnata dal gusto verista. Nel 1964 Celletti scrisse che lo stile di Bergonzi «si rifà alle tradizioni belcantistiche», e aggiungeva che era «probabilmente l’unico tenore al mondo capace di cantare il Ballo in maschera attenendosi a tutte le indicazioni della partitura […] di plasmare un Radamès che abbia momenti di abbandono lirico dove Verdi l’aveva previsto […] di eseguire il trillo nella romanza del III atto del Trovatore». La piena aderenza alla volontà dell’autore, nel rispetto della pagina scritta, non ne condizionò peraltro le interpretazioni, animate da giusta e viva passione teatrale e da una radiosa capacità di sedurre le platee del mondo intero. Nella galleria dei personaggi verdiani spiccano il Radamès dell’Aida, il Riccardo di Un ballo in maschera, l’Alvaro della Forza del destino. Non vanno dimenticati il Duca di Mantova, Manrico e Alfredo, ossia i protagonisti della cosiddetta ‘trilogia romantica’.
Bergonzi fu acclamato anche nel repertorio della Scapigliatura, con memorabili esecuzioni della Gioconda, del Mefistofele, della Wally di Alfredo Catalani, e in quello della Giovane Scuola, anche se in Puccini difettò forse di quel canto voluttuoso che ne connota le parti di tenore. Non va per converso sottaciuto, sul versante opposto, il risultato notevolissimo in Lucia di Lammermoor e nell’Elisir d’amore. Nel primo caso Bergonzi disegna un Edgardo fiero e drammatico, ma capace anche di vibrante lirismo nel duetto con Lucia e nella scena del suicidio. Nel secondo, sulle orme di Enrico Caruso, presta la propria voce di tenore vigoroso alla tenera figura dell’ ingenuo giovane innamorato, con un pathos fuor del comune.
Fonti e bibl.: R. Celletti, s. v., in Le grandi voci, Roma 1964, pp. 59 s.; J. Steane, The Grand Tradition, London 1974, pp. 447-449; R. Allegri, C. B. il “fedele” di Verdi, in Il prezzo del successo, Milano 1983, pp. 105-113; P. M. Paoletti - G. Tartoni - C. Marinelli Roscioni, C. B., in: Lirica. Le interpretazioni indimenticabili, a cura di G. Gualerzi, Milano 1987–89, pp. 105–115; R. Celletti, Voce di tenore, Milano 1989, pp. 237, 244, 246; C. Mingardi, A lezione da B.: l’Accademia bussetana del grande Tenore, in Parma Lirica, 1990-1991; G. Marchesi, C. B. I suoi personaggi, Parma 2003; A. Foletto et al., C. B. alla Scala, Milano 2005; J. Kesting, Die großen Sänger, III, Kassel 2010, pp. 1588-1594; V. Testa, C. B. il tenore di Verdi, Parma 2019. – Si ringrazia Dino Rizzo per le informazioni fornite.