BERTAGNOLLI, Carlo
Nacque a Pergine (Trento) il 2 genn. 1843 e studiò giurisprudenza a Innsbruck; per aver dimostrato un atteggiamento antiaustriaco durante le operazioni della divisione Medici in Trentino nel 1866, dovette emigrare in Italia.
Compiuta pratica di avvocato a Voghera nel 1868, il B. passò in seguito a Roma, dopo il trasferimento della capitale, alle dipendenze del ministero di Agricoltura. Industria e Commercio e successivamente del ministero dell'Interno. Durante il decennio 1870-1880 partecipò ai lavori di varie commissioni ministeriali (tra di esse quella per il risanamento dell'Agro romano) e a missioni all'estero, proseguendo contemporaneamente gli studi, soprattutto dei problemi dell'agricoltura. Segretario di sezione presso il ministero dell'Interno verso il 1880, primo segretario di gabinetto del ministro Depretis dal 1881 al 1884, passò nel 1885 a dirigere la sezione di "Polizia amministrativa", allora costituita dal riordinamento della sezione "Opere pie e salute pubblica": a quell'ufficio facevano capo le attività di controllo sulle amministrazioni locali e di intervento nei settori della pubblica igiene, della beneficienza, della emigrazione e dell'ordine pubblico. L'importante carica venne mantenuta dal B. anche negli anni successivi sino al 1891, allorché, dopo la caduta del governo Crispi, assunse funzioni ispettive e collaborò con il Nicotera, ministro degli Interni nel governo Rudinì, in veste di capo gabinetto del sottosegretario di Stato. Durante il primo ministero Giolitti, nel 1893, divenne direttore capo divisione dell'amministrazione dei comuni e delle province e nel corso dello stesso anno venne nominato prefetto.
Alle vicende dei governi depretisiani e crispini sono quindi da collegarsi la carriera amministrativa e l'attività pubblicistica del Bertagnolli. Gli uomini della Sinistra, in particolare Depretis, poterono infatti contare sull'attività di un collaboratore che dei problemi sociali del tempo e della questione agraria in specie aveva una visione progressista. Largo interesse suscitarono i suoi saggi concernenti i problemi dell'agricoltura italiana.
Nel 1877 il B. esaminò compiutamente la situazione dei rapporti contrattuali in agricoltura (La colonìa parziaria, Firenze 1877), opponendosi all'idea, allora assai diffusa anche tra gli uomini di governo e gli scrittori di economia agraria, che la mezzadria potesse continuare a garantire il progresso in agricoltura e rappresentasse un argine ai conflitti sociali. All'osservazione che gli si faceva di contrastare l'opinione, di uomini "autorevolissimi" e di attaccare una istituzione considerata "un palladio della Società" il B. rispondeva che la condizione del salariato non era certo peggiore di quella del colono, che la mezzadria trovava difensori tra coloro che consideravano particolari condizioni locali, più tra i letterati e i politici che tra gli economisti e gli agronomi; che infine essa, sottraendosi alle leggi della concorrenza, non era adatta ad una economia di mercato. Confrontando situazioni di altri tempi e di altri paesi, il B. esprimeva poi la convinzione che la mezzadria si sarebbe ulteriormente ridotta sino a scomparire anche in Italia, contemporaneamente allo sviluppo dell'industria e all'aumento della popolazione non agricola, con le connesse necessità di produzione su scala industriale, di consumo di beni alimentari e di mercato.
Al fondo del discorso del B. c'era la polemica contro la proprietà agricola borghese e contro il rapporto colonico che ne assicurava la sopravvivenza: colonìa parziaria e mezzadria erano tipici istituti di economie agricole arretrate, da eliminarsi anche per ragioni sociali, costituendo esse un ripiego nell'utilizzare la terra da parte di colui che non ha mezzi, attitudine o volontà di consacrarsi all'agricoltura e impiega il tempo negli uffici pubblici, nel commercio o nell'ozio (p. 160).
Il B. trattò successivamente di taluni aspetti dell'evoluzione storica dell'agricoltura italiana nell'intento di porre ben in risalto la necessità di quella radicale trasformazione dell'assetto produttivo che occorreva in una moderna economia di scambi (Delle vicende dell'agricoltura in Italia, Firenze 1881) ed espresse critiche e suggerimenti alla politica seguita o da seguire in futuro alla luce dei risultati dell'inchiesta Jacini (Inchiesta agraria, in Nuova Antologia, 16 agosto 1884; L'economia dell'agricoltura in Italia e la sua trasformazione secondo i dati dell'inchiesta agraria, Roma 1886).
Le sue critiche si appuntarono in particolare sulle conclusioni che si vollero trarre, nella famosa Relazione finale stilata da Stefano Jacini, dai lavori della Giunta istituita per l'inchiesta agraria. Egli affermò che la Relazione, così come s'era fatta, poteva essere definita "una bella ed elegante pietra sepolcrale destinata a rinchiudere i lavori dell'inchiesta"; lamentò che non vi fosse denunciato l'assenteismo dei proprietari (e accusò lo Jacini di esserne un "tiepido amico o incerto avversario") e indicò in una radicale trasformazione degli indirizzi colturali l'unica strada per il progresso duraturo dell'agricoltura italiana.
Il problema dell'indirizzo culturale doveva essere risolto tenendo conto di due condizioni: il costo di produzione e la produzione per il mercato. Per il B. solo una valutazione del prodotto lordo e netto dell'agricoltura poteva dare la misura della arretratezza di gran parte delle campagne italiane. Comunemente invece si ignorava totalmente il problema e, poiché l'economia era basata sul consumo famigliare di gran parte dei prodotti, i governanti si illudevano che le deficienze dell'agricoltura fossero assai più ridotte. Il B. si schierava pertanto contro la protezione della cerealicoltura, produzione che in alcune zone si sarebbe dovuta abbandonare o almeno restringere il più possibile (L'economia dell'agricoltura, p.115). Tra le conseguenze di un assetto produttivo arretrato e irrazionale, aggravato dallo squilibrio tra lo sviluppo della popolazione agricola e le risorse locali, egli annoverava la distruzione inconsulta del patrimonio forestale e chiedeva un vasto intervento dello Stato (I boschi e la nostra politica forestale, in Giornale degli economisti, IV, 2-3 [1889], pp. 179-203).
Gli studi del B. non muovevano però soltanto da considerazioni strettamente economiche, ma erano attenti alle condizioni di vita delle popolazioni rurali. All'indomani degli scioperi contadini nella valle padana del 1884-1885, pur invocando misure repressive contro l'incitamento allo sciopero, ne sosteneva la legittimità (Gli scioperi dei contadini, in Giornale degli economisti, I, 5-6 [1886], pp. 580-591, 677-691). Sostenne anche l'opportunità che venisse concessa la più ampia libertà di emigrazione all'estero, presentandola quale unica alternativa possibile alla miseria di molti contadini, auspicandola addirittura come un rimedio ai conflitti sociali (Emigrazione dei contadini per l'America, in Rassegna nazionale, IX[1887], pp. 94-122).
L'attività pubblicistica del B. fu particolarmente intensa fino al 1889. Agli scritti di economia agraria si affianca la redazione di alcune voci del Digesto italiano (Torino 1884 e seguenti), tra le quali assai apprezzate furono quelle relative a "Agenzie d'affari", "Aggregazioni e Segregazioni di comuni", "Agricoltura", "Alcool e Alcoolismo", "Agenti della forza pubblica".
Nominato prefetto, il B. resse per poco tempo, nel 1893, la provincia di Arezzo e poi, durante il periodo delle agitazioni dei Fasci siciliani, la provincia di Agrigento (dicembre 1893-settembre 1894); non ebbe tuttavia parte di rilievo nelle vicende connesse con la repressione dei Fasci, dato il passaggio dei poteri all'autorità militare con la proclamazione dello stato d'assedio in Sicilia. Trasferito a Brescia il 3 settembre 1894, attuò in quella provincia, tra le proteste del gruppo zanardelliano - che il governo Crispi intendeva contrastare - un indirizzo apertamente favorevole ai moderati e ai clericali, sollecitando i voti di questi ultimi alla lista che sconfisse quella antigovernativa dello Zanardelli e stabilendo dei buoni rapporti con il vescovo di quella città, noto per il suo conservatorismo.
Il prefetto B. passò, nell'aprile del 1896, da Brescia a Caserta. Nel giugno successivo chiese un congedo: a Friesach, nelle Alpi austriache, morì il 21 luglio 1896.
Oltre alle opere già ricordate, il B. pubblicò nella Nuova Antologia: La crisi agraria alla Camera e al Senato, 16 maggio 1885; Il riordinamento dell'imposta fondiaria, 1°settembre 1885; I dazi sui cereali, 1°nov. 1885; Politica agraria e politica ecclesiastica nella quistione delle decime, 16 giugno 1887; nel Giornale degli economisti: Trasformazioni vecchie e recenti della agricoltura (III [1888], fasc. 4). Da ricordare inoltre: La pastorizia in Italia, Bologna 1889.
Fonti e Bibl.: Le notizie sulla vita del B. si ricavano dal Calendario generale del Regno d'Italia (Roma 1880 e ss.) e dalla documentazione conservata presso l'Archivio Centrale dello Stato in Roma, Ministero della Pubblica Istruzione, Fascicoli personali, bs. 169; Ministero dell'Interno, Div. I, bs. 70, e Ruoli di Anzianità, bs. 26-27. Brevi cenni in F.Ambrosi, Scrittori ed artisti trentini, Trento 1894, p. 398; A. De Gubernatis, Piccolo diz. dei contemporanei italiani, Roma 1895, p. 92; G. Carocci, Agostino De Pretis e la politica interna italiana dal 1876 al 1877, Torino 1956, pp. 531, 569; F. Fonzi, Crispi e lo "Stato di Milano", Milano 1965, pp. 442-448; Diz. del risorg. naz., II, p. 253; Enciclopedia europeo-americana, VIII,p. 408.