BERTOLAZZI, Carlo
Nacque a Rivolta d'Adda (Cremona) il 3 nov. 1870, da una famiglia di facoltosi borghesi. Nel 1888 la Gioventù filodrammatica milanese rappresentò il suo primo lavoro al Teatro Gerolamo di Milano, Mamma Teresa, composto nell'agosto 1887: ebbe grande successo. Nel 1889 si trasferì a Pavia, dove frequentò la facoltà di giurisprudenza e si laureò nel 1894.
Sensitivo e inquieto, conduceva vita spensierata, se non oziosa, sorretto dalle generose elargizioni del padre. Dall'insuccesso della Trilogia di Gilda, in tre atti (Pavia, Teatro Guidi, 1889, rappr. da V. Checchi Serafini) passò all'esito positivo del monologo La lezione per domani (ibid. 1890). Nell'anno 1892 si arruolò volontario, raggiungendo il grado di sottotenente degli alpini, ma non trascurò il teatro: l'11 maggio 1891 aveva fatto rappresentare, sempre al Guidi, Ona scena de la vita, in dialetto milanese, la prima di quelle "scene popolari" in un atto che a Pavia e a Milano G. Sbodio doveva portare a un caloroso successo (più bella di tutte, per vivace umanità, rimase Al Mont de pietaa, rappresentata per la prima volta al Teatro Carcano di Milano il 12 febbr. 1892). Anzi il capocomico ebbe l'idea d'improntare la sua compagnia dialettale su quelle, famose, dello scomparso G. Toselli edi F. Benini, escludendo tutte le figure ridicole e trasformando le farse in commedie che riuscissero specchio della vita: il B. approvò l'idea e, per dimostrare tangibilmente la sua solidarietà, affidò allo Sbodio, nel 1893, la sua prima grande opera, El nost Milan.
La prima parte, La povera gent, in quattro atti, andò in scena al Teatro Carcano di Milano il 6 febbraio, e lo Sbodio vi interpretò la parte di Peppon, D. Carnaghi quella del Togasso e F. Venturi quella di Nina, ottenendo un buon successo e assicurandosi una lunga tournée in Italia, mentre la seconda parte, I sclori, pure in quattro atti, ebbe un'accoglienza fredda il 31 genn. 1895, sempre al Carcano, anche per la mediocre prestazione dello Sbodio che v'impersonò il marchese Riccardo di Rivolta (ma la parte di Gina Pizzali fu sostenuta, assai efficacemente, da O. Lugo).
Due anni dopo Isciori furono applauditi da una parte del pubblico senza troppa convinzione; come ne La povera gent,l'autore sviluppa la pittura d'ambiente e relega l'azione drammatica in due o tre scene di forte concitazione, ma, mentre nella prima parte si dimostra quasi sempre schietto ed efficace, qui ambienti, personaggi e parole risultano convenzionali, ancorati come sono al repertorio delle commedie borghesi di trent'anni prima.
Dopo alcuni drammi di modesto respiro, il 3 giugno 1896, al Teatro della Commenda di Milano, la compagnia di L. Biagi e B. Iggius gli rappresentò La maschera, in tre atti, che due anni più tardi, pur di vedere accolta con interesse, il B. tradusse in dialetto milanese, e in cui torna, nelle vesti di Lina, una cantante operettistica, un personaggio a lui caro, la donna debole e povera che non trova la forza di ribellarsi alla propria abbiezione. De Il successore, in tre atti, rappresentato al Teatro dei Filodrammatici di Milano il 30 ott. 1897 dallo Sbodio nella versione in vernacolo dal titolo Retrobottega (come de La casa del sonno e di Lorenzo e il suo avvocato), si sa, per precisazione dell'autore, che fu suggerito da fatti, ambienti e persone reali.
Il 5 genn. 1898 al Teatro dei Filodrammatici lo Sbodio, insieme con M. Revel, ottenne' un successo pièno con La gibigianna, in quattro atti, che segnò il ritorno a quel tipo di teatro milanese che egli stesso aveva ideato ma che, per il cattivo esito finanziario, autore e realizzatore avevano trascurato.
Dopo La gibigianna il B., che più tardi osserverà amareggiato come fosse "illusione il credere di poter far vivere un vero teatro drammatico milanese", si convinse all'abbandono dei dialetto: dopo L'amis de tutti, in tre atti, tradotto e rappresentato in veneziano da Ferruccio Benini (Teatro Gerbino di Torino, 24 giugno 1899), i suoi lavori furono scritti in lingua, ma trovarono nel direttore della Comica compagnia veneta un assiduo e scrupoloso traduttore in vernacolo: la serie si aprì con L'egoista, in quattro atti, che fu recitato in veneziano (l'autore si rammaricherà che non gli fosse stato rappresentato nella giusta veste linguistica, in cui l'aveva pensato e scritto) al Teatro Carignano di Torino il 9 maggio 1901 dallo stesso Benini.
Qui l'autore riesce a impostaremolto felicemente certe scene e a profondere un'arguzia sottile a taluni scorci del dialogo, ma insiste troppo sui tratti che dovrebbero definire la figura morale dell'egoista e per amore di perspicuità cede alla tentazione di far corrispondere geometricamente gli episodi da un atto all'altro e tra di loro; soprattutto si riscontra una mancata compenetrazione tra il piano umoristico e quello patetico nel terzo atto, dove tuttaíia un caso particolare dell'egoismo del protagonista nasce e si sviluppa nel corso di una scena magistrale, quella del colloquio tra il protagonista e la figlia.
All'Arena nazionale di Firenze il 23 maggio 1902 V. Talli rappresentò La casa del sonno, in quattro atti, dramma di scarso mordente, dove la vita provinciale dei genitori, che, secondo Luciano, il protagonista, si svolge come immersa nel sopore, è contrapposta alla frenetica esistenza cittadina, la quale però lo porta al fallimento ed alla fuga. Il pubblico tornò agli entusiasmi de La gibigianna assistendo ai tre atti di Lulù che T. Mariani recitò al Politeama Margherita di Genova il 10 nov. 1903.
Il lavoro, imperniato su una figura di donna che mente per abito mentale, inconsapevolmente malvagia, debole e vile, ma finalmente limpida di fronte alla morte, fu rappresentato da tutti gli attori con un affiatamento e una precisione che fino ad allora erano mancati alle rappresentazioni delle migliori opere del B., e la stessa Mariani, che dette una vibrante interpretazione della protagonista, ne rimase il modello insuperato.
Lorenzo e il suo avvocato, in due atti, recitato al Teatro Carignano di Torino il 16 ott. 1905 per le sollecitazioni della Mariani, trovò favorevoli pubblico e critica; il suo protagonista, un oscuro impiegato dal misero stipendio, è un parente prossimo di Monsù Travet, di Demetrio Pianelli e di Policarpo de' Tappetti. Ma proprio quando, consolidatisi i suoi successi, il B. aspirava a forme d'arte più meditate, una inesorabile malattia nel 1906 lo costrinse a letto per mesi: stroncato nel fisico, lo si vide frequentare i teatri milanesi fuori d'ogni gruppo, muto e rassegnato; le sue ultime opere apparvero tenui e languenti anche agli spettatori più indulgenti, nonostante le interpretazioni vernacole del Benini, e, sola, spiccò tra le altre La zitella, andata in sceria il 27 ott. 1915 al Teatro Olimpia di Milano per opera della compagnia Talli, ma già rappresentata in veneziano dal Benini al Politeama Margherita di Genova il 22 aprile dello stesso anno col titolo Una tosa al palo.
Quando si preparò a scriverla, ebbe l'illusione di trovarsi vicino al capolavoro: avrebbe dovuto mettere a fuoco il tema della paura e intitolarla I paurosi, ma l'opera gli ingenerò una tale insoddisfazione da correggerla ripetutamente sino a farla diventare una satira dell'ottusità borghese e ad incentrarla in un solo personaggio: Amelia, sdegnosa tutrice della propria virtù che, usata come pedina da un giovane spregiudicato nei propri maneggi amorosi, subisce una profonda delusione.
Un ulteriore arresto della fortuna del teatro del B. fu causato dalla morte del Benini, suo traduttore ed interprete, avvenuta nel febbraio 1916. Nel maggio annunziò agli amici, ai colleghi e ai clienti di essere stato nominato notaio e di avere aperto in Milano uno studio; accompagnava la partecipazione un biglietto desolato: "Ho detto addio per sempre alla letteratura e al teatro. La salute mi manca. Non ho più speranza. Rinunzio a vivere, artista. Aspetto la morte, notaio". Attese alle cure della nuova professione con zelo commovente, per qualche settimana; ormai semiparalizzato, si spense il 2 gillgno 1916.
Il giudizio più entusiastico sul B. lo dà Lucio d'Ambra, per il quale egli sarebbe stato tra i maggiori scrittori drammatici italiani, se non fosse stato costretto a lavorare a sbalzi; il vivo sentimento del reale e la capacità di ammare i caratteri con pochi tratti decisi lasciano intravvedere cosa avrebbe potuto essere l'autore de La gibigianna;a questa fa riferimento B. Croce, quando ne loda la spontaneità delle scene con la concretezza delle immagini e dei sentimenti e ne rileva i tocchi di affetto e di povera umanità, pur esprimendo una certa riserva in merito all'opera globale del Bertolazzi. S. Pagani sostiene che, se non l'avessero perseguitato la sfortuna e l'incomprensione degli attori del suo tempo, avrebbe dato al teatro milanese un repertorio destinato a durare. Mario Apollonio non è attratto dalla sua opera, alla quale non concede alcuna individualità, ma Silvio D'Amico lo distingue dai commediografi salottieri che fiorirono accanto a lui, oltre che per un'arte meno fine ma più robusta, per la vena popolana. Un giudizio penetrante da G. Pullini, quando sottolinea che il B. visse in età di compromessi e di errori politici, di fallimenti e di fratture nella vita interna della nazione e constata che la media borghesia italiana, inorgoglita dai successi strepitosi dei nostri grandi attori in Italia e all'estero, costruiva, sulla retorica formatasi intorno ad Eleonora Duse e ad Ermete Novelli, una falsa coscienza di gloria nazionale anche nel campo della vita teatrale, e rimaneva indifferente di fronte all'autore, impedendogli di rafforzare ed esprimere compiutamente le sue qualità. A. Asor Rosa afferma, infine, che l'uniformità tematica del B. è frutto di un punto di vista circoscritto in un ambito sociologico assai preciso - il sottoproletariato milanese - insuperabile da una borghesia colta che non sa vincere i propri scrupoli morali e politici, proiettandosi in una dimensione europea, extranazionale ed extrapopolare.
Il B., nei limiti del naturalismo teatrale italiano, rappresentò indubbiamente una delle voci più autentiche: non sono da condividersi gli elogi entusiastici post mortem seguiti alle tiepide accoglienze tributate ai suoi ultimi lavori: forse, se fosse vissuto più a lungo, non sarebbe riuscito autore efficace se non ripercorrendo criticamente l'iter che dalle "scene popolari" l'aveva portato, con La gibigianna, ad un esito mai più raggiunto; si illuse di incontrare il favore dei pubblico e della critica con la commedia borghese, e non conseguì che successi di stima; anche oggi la parte più valida della sua produzione rimane quella appartenente allo scorcio del secolo scorso (includendovi, però, Lulú, legata, per certe situazioni, all'ambiente popolare e incentrata su un tipo femminile ormai collaudato); insomma il B. declinava, a partire dal 1903, oltre che per un'inesorabile malattia, anche perché il meglio che aveva da esprimere l'aveva già espresso nella stagione d'oro di quella letteratura verista, che aveva sollevato il dialetto alla rappresentazione delle sofferenze e delle labili gioie dei diseredati.
Drammi pubblicati: Ona scena de la vita, I benis de spôs, In verzee, Al Mont de Pietaa, in Preludio, a c. di A. Curti, Milano 1892; seguono edizioni di commedie singole o appaiate fino a L'egoista, La maschera, La casa del sonno, Il successore, Lorenzo e il suo avvocato, La zitella, in Teatro di C. B., I, Milano 1915; Lulú, Roma 1941, per la collana Repertorio diretta da S. D'Amico; La gibigianna, in Il dramma, n. 396, Torino 1943; L'egoista, Torino 1944, per le edizioni del Dramma dirette da L. Ridenti; In verziere, versione di A. Rognoni, in Il dramma, nn. 441-442-443, Torino 1945; El nost Milan (La povera gent)e La gibigianna, in Teatro milanese, a c. di O. Vergani e F. Rosti, II, Bologna 1958.
Drammi rappresentati: Mamma Teresa, in quattro atti, Milano 1888; Trilogia di Gilda, in tre atti, Pavia 1889; La lezione per domani, monologo, Pavia 1890; Ona scena de la vita, in un atto, Pavia 1891; I benis de spos, in un atto, Milano 1891; In verzee, in un atto, Milano 1891; Al Mont de pietaa, in un atto, Milano 1892; La prima sira, in un atto, Milano 1892 (da Ona scena de la vita a La prima sira, n dialetto); Il delitto, in un atto; La religione d'Amelia, in un atto; El nost Milan, in dialetto: 1a parte, La povera gent, in quattro atti, Milano 1893, 2a parte, I sciori, in quattro atti, Milano 1895; Strozzin, in tre atti, in dialetto, Milano 1894, trad. in italiano col titolo Strozzino; La ruina, in quattro atti, in dialetto, Milano 1894, trad. in italiano col titolo La rovina; Il dolente, in un atto, Milano 1895; Ultimi aneliti, in un atto, Milano 1895; La maschera, in tre atti, Milano 1896, trad. in dialetto, Milano 1898; Il siuccessore, in tre atti, nella trad. milanese dal titolo Retrobottega, Milano 1897, e in italiano, Genova 1898; La gibigianna, in quattro atti, in dialetto, Milano 1898; L'amis de tutti, in tre atti, in dialetto, trad. in veneziano col titolo L'amis de tuti, Torino 1899; L'egoista, in quattro atti, trad. in veneziano, Torino 1901; La casa del sonno, in tre atti, Firenze 1902; Lulù, in tre atti, Genova 1903; Il diavolo e l'acqua santa, in tre atti, Roma 1904; Il matrimonio della Lena, in tre atti, 1904; Lorenzo e il suo avvocato, in due atti, Torino 1905, trad. in veneziano; Trattoria "Al vero conforto", in un atto, 1906; La sfrontata, in tre atti, Genova 1907; Ombre del cuore, in tre atti, Trieste 19o8; I giorni di festa, in tre atti, Roma 19o8; La principessina, in tre atti, Venezia 19o8; Il focolare domestico, in tre atti, Venezia 1909; La zitella, in tre atti, nella trad. veneziana dal titolo Una tosa al palo,Genova 1915, e in italiano, Milano 1915.
Drammi non rappresentati: Ave Maria ovvero Iconiugi Barbaccini, in un atto, 1887; I fratelli Bandiera, in quattro atti, in collab. con R. Barbiera, 1912.
Il B. ridusse in milanese Alla città di Roma (due atti) di G. Rovetta, rappresentata a Milano nel 1892; scrisse inoltre, in collaborazione con F. Pozza, tre riviste: La rivista delle esposizioni e El sogn de Milan, ambedue in dialetto, rappresentate a Milano nel 1894, e Ilpaese delle belle gambe,ricordata da R. Simoni, e tre commedie: Da la sira a la matina, in tre atti, in dialetto, tradotta in italiano, Elclarinett, in tre atti, in dialetto, tradotta in italiano, e Ildisastro di Roccamare, in quattro atti. Le commedie In famiglia, in due atti, e La Dorina modista, in tre atti, non risultano pubblicate. Egli è ricordato infine come autore delle novelle Le mie bricconate e Dopo pranzo, e come critico di particolare rigore presso il Corriere della sera e collaboratore ironico e garbato presso il Guerin Meschino di Milano.
Fonti e Bibl.: Recensioni in Corriere della sera,7-8 febbr. 1893, 1-2 febbr. 1895, 6-7 genn. 1898; Il secolo XIX (Genova), 12 nov. 1903; La stampa (Torino), 10 maggio 1901; necrologi in Corriere della sera, 2 giugno 1916 (R. Simoni); L'Illustraz. Ital.,11 giugno 1916, p. 516; Il Marzocco,11 giugno 1916; L. d'Ambra, C. B., in Nuova antol.,16 giugno 1916, pp. 461-469; R. Simoni, C. B., in Il dramma, 15 maggio 1953 (inserto non numerato); Il teatro di C. B., I, Milano 1915, pp. VIII-XI e passim; S.D'Amico, C. B., in Encicl.Ital., VI, Roma 1930, p. 792; A. Fiocco, introduz. a Lulù, Roma 1941, pp. 5-9; S. Pagani, Il teatro milanese, Milano 1944, pp. 165, 212-214 e passim; B. Croce, La letteratura della nuova Italia, VI, Bari 1950, pp. 127-129; M. Apollonio, Storia del teatro italiano, IV, Firenze 1950, p. 303; A. Fiocco-O. Apicella, C. B., in Encicl. d. Spettacolo, II, Roma 1954, coll. 407-410; S. D'Amico, Storia del teatro drammatico, III, Milano 1958, p. 285; G. Pullini, Teatro italiano fra due secoli 1850-1950, Firenze 1958, pp. 89-129; A. Asor Rosa, Scrittori e popolo, Roma 1964, pp. 83-86.