BORROMEO ARESE, Carlo
Nacque a Milano nel 1657 da Renato, decurione, e da Giulia Arese, che era figlia di Bartolomeo, presidente del Senato. Di famiglia nobilissima, che aveva annoverato fra i suoi membri S. Carlo e Federico, terzogenito preceduto da Giustina (1654-1714) e da Margherita (1656-1717), era il primo maschio di dodici figli.
Il B. era certamente uno dei patrizi più ricchi e potenti del ducato, come mostra l'antichità e la consistenza del suo patrimonio feudale: Arona, Vergante, Cannobio, Lesa, Vogogno, Val Vigezzo, Laveno, Omegna, Intra, Degagna di San Pietro, Angera, e ancora Camairago, Borgo Ticino, Palestro, Cressa, Formigara, Cesano Maderno.
Nel 1678 il B., che aveva aggiunto il cognome Arese, inquartando le sue con le armi materne, diventava capitano dei corazzieri, iniziando una carriera che appare sempre oscillante fra la politica, la diplomazia e l'impegno militare. Nel 1686 fu scelto da Carlo II re di Spagna come ambasciatore a Roma presso Innocenzo XI; il sovrano inviava per mezzo suo il tradizionale omaggio della chinea che ricordava la feudalità ecclesiastica del viceregno napoletano. La scelta era certamente legata al fatto che il B. era imparentato con Innocenzo XI, avendo sposato nel 1678 Giovanna Odescalchi, figlia di Carlo, nipote del papa e sorella del duca di Bracciano, che era morta l'anno dopo, dando alla luce il primogenito Giovanni Benedetto (1679-1744). Successivamente il B. fu fatto governatore di Novara e poi maestro di campo della fanteria lombarda.
Nel 1689 passò in seconde nozze con Camilla Barberini di Maffeo, principe di Palestrina e grande di Spagna, pronipote di Urbano VIII, che sopravviverà fino al 20 giugno 1740 e da cui ebbe altri otto figli, di cui uno solo, Federico (1703-1754), maschio.
Nel 1690 otteneva il titolo di conte d'Arona; nel 1692 acquistava dai Mandelli il feudo imperiale di Maccagno Inferiore. Nello stesso anno divenne capo dei Sessanta Decurioni di Milano e l'anno successivo generale onorario di artiglieria.
Nel 1694 incontrava il giovanissimo Ludovico Antonio Muratori e, intuendone l'ingegno, iniziava a proteggerlo, proponendolo al fratello Giberto, prefetto dell'Ambrosiana, per un posto di "dottore" nella stessa biblioteca. Cominciava una familiarità, o meglio un'autentica amicizia fra il ricco patrizio e l'erudito modenese che durerà fino alla morte del Borromeo. Non solo il palazzo milanese era aperto al vivace abate, ma anche ogni luogo di villeggiatura che la famiglia possedeva, da Cesano alle isole del Lago Maggiore. Quando il Muratori ritornò a Modena, l'antica consuetudine fu tenuta in vita per mezzo di una corrispondenza che per circa un ventennio fu costante e fittissima. E il Muratori, che aveva apprezzato particolarmente la libera accoglienza dei suoi amici lombardi, aveva modo di rimpiangere non solo le cortesie e le raffinatezze dell'ospitalità dei Borromeo, alle isole o nei vari feudi, ma anche la vivacità intellettuale di un ambiente dove il patriziato proteggeva e favoriva i letterati.
Il B. all'inizio del secolo era un uomo di età già matura, che aveva percorso ormai una gran parte del normale cursus honorum tipico di un patrizio, raccogliendo allori e vantaggi, e amministrando con saggezza e abilità un patrimonio che, nonostante le doti per le figlie, tendeva ancora ad allargarsi. Ma la lunga agonia di Carlo II e l'incertezza sul destino dei possedimenti italiani di Spagna gli diedero la possibilità di giocare - nei primi decisivi anni del secolo - un ruolo di primo piano. Fra la Spagna di Filippo V e quella di Carlo d'Asburgo, egli scelse risolutamente la seconda. Prima ancora della morte di Carlo, secondo la testimonianza del Muratori, egli aveva desiderato che la Lombardia diventasse austriaca. Fin dagli inizi della guerra di successione spagnola diventò il capo degli "imperiali" lombardi.
In questo senso la corrispondenza col Muratori ci illumina perfettamente. Infatti, confrontando le lettere del modenese, edite dal Campori, con quelle inedite del B., si può ricostruire non solo il rapporto intellettuale intercorso fra i due uomini, ma anche lo sviluppo delle loro decisioni e dei loro atteggiamenti. Anche il Muratori è filoimperiale, ma il suo punto di vista appare più complesso, non solo perché suddito di un piccolo Stato partigiano dell'Austria, e contemporaneamente desideroso di indipendenza, ma, soprattutto, perché preoccupato dalle conseguenze di una guerra che si sarebbe sviluppata in gran parte nei territori italiani (lettera del Muratori al B. del 2 settembre del 1700, in Epistolario, II, p. 459). Invece il B. appare più ottimista sulle vicende internazionali (Modena, Bibl. Est., Arch. Murat., filza 56, fasc. 14, lettera del B. al Muratori del 9 sett. 1700). Fra il politico più anziano e il giovane abate, in realtà è quest'ultimo a vedere lucidamente le cose. Il loro carteggio ben presto si trasformerà in uno scambio di informazioni militari e politiche, in cui è sempre il Muratori a fare la parte del leone, anche se con un atteggiamento affettuosamente deferente. È per esempio quest'ultimo a dar notizie precise sul meccanismo della successione e sulle varie prese di posizione internazionali, a suggerire, in polemica con Luigi XIV, la lettura di Fénelon, Les aventures de Télémaque, a consolare l'amico, di cui conosce i sentimenti filoaustriaci (lettera di Muratori al B. del 25 nov. 1700, in Epistolario, II, p. 480), per il tentativo di compromesso da cui sarebbe potuta venire la pace. Ma quando la guerra fu inevitabile, era ancora il modenese a segnalare all'autorevole amico singolari vicende del conflitto. Per esempio gli parla (lettera del 13 ott. 1701, ibid., II, p. 535) della congiura del principe di Macchia a Napoli. Il Muratori sopravvaluta le forze dei ribelli, ma coglie esattamente l'errore di una congiura così mal combinata, che ha scoperto inutilmente le forze dei seguaci filoaustriaci. Accusa infatti il partito "imperiale" di muoversi in maniera poco abile e poco consona agli interessi locali.
I rapporti fra il B. e il Muratori si complicarono certamente dopo il giugno del 1704, quando gli Austriaci, per difesa, occuparono Brescello, una posizione del duca di Modena. Fra il 1706 e il 1707 matura la spedizione a Napoli ed è ancora il Muratori a discuterne i termini col B. (30 giugno 1707, ibid., III, p. 930) spiegandogli fra l'altro i conflitti latenti fra il cardinal Grimani, che aspirava al viceregno, e il conte Martinitz, che sarà il primo viceré austriaco di Napoli.
Intanto dal 23 settembre 1706, quando il governo spagnolo era stato trasferito a Cremona e i decurioni avevano preso le redini e incominciato a trattare con Eugenio di Savoia, il B. e Francesco Sormani avevano mantenuto l'ordine in città. Nel gennaio 1707 Eugenio aveva concordato con il primo l'entità della tassazione del Milanese per le spese militari in corso: ventimila lire giornaliere. Il B. era ormai l'uomo più potente del partito "imperiale" per il prestigio, la ricchezza e la fede antica nell'Austria. L'anno successivo fu fatto grande di Spagna di prima classe e ospitò all'Isola Bella Elisabetta Cristina di Brunswick; in ricordo della splendida accoglienza, la regina donò due gioielli a Camilla, moglie del B., e a Clelia del Grillo, moglie del primogenito Giovanni Benedetto. Costei sarà una delle protagoniste più brillanti della vita intellettuale milanese, ma darà filo da torcere all'imperioso suocero, diventando a un certo punto seguace della Spagna.
L'anno 1708 trova il B. impegnato in difficili compromessi per evitare che i concittadini venissero schiacciati da imposizioni fiscali gravose, e nello stesso tempo non deludere il nuovo regime di cui è devoto seguace. Il Muratori lo informa soprattutto delle vicende di Comacchio, e discute le fasi politiche e militari di una guerra che alternava ancora delusioni e successi. Anzi, scrivendogli il 2 genn. 1710 gli chiedeva aiuto per la questione di Comacchio in nome del duca di Modena (ibid., III, p. 1214).
Maturava intanto l'episodio più importante nella carriera politica del B.: la sua ascesa al viceregno di Napoli. Il Martinitz era stato sostituito dal cardinal Vincenzo Grimani, uomo energico e soprattutto molto deciso nella politica verso la Curia. Il Grimani era morto improvvisamente e l'ambasciatore imperiale a Roma, il marchese di Prié, sperava di succedergli. Invece la scelta di Carlo d'Asburgo si rivolse al B.: con diploma imperiale del 15 ott. 1710 egli fu nominato viceré in un periodo abbastanza difficile, in cui la fase eroica delle speranze di un governo riformatore si era almeno in parte esaurita e le energie erano piuttosto concentrate alle ultime difficili battute della guerra di successione spagnola, in cui si potevano perdere i vantaggi acquistati. I Napoletani non avevano ottenuto un re, come avevano chiesto nel programma della congiura di Macchia, e ripetuto nel 1707; avevano però sollecitato una fiera politica anticuriale, che aveva spinto alla collaborazione il ceto civile. Ma anche questa, con la morte del Grimani, sembra esaurirsi. Il B. (Wien, Haus- Hof- und Staatsarchiv, Italien. Spanischer Rat,Neapel Correspondenz Borromeo, fasc. 15) aveva ricevuto il 3 ottobre a Milano la notizia della nomina. Era partito immediatamente e il 16 ottobre era già a Napoli, dopo aver toccato Parma, Modena, Bologna, Firenze ed essersi fermato il 10 a Roma. Preso possesso il 16 della sua carica, il B. iniziò la corrispondenza con il sovrano, la regina, la Giunta d'Italia (ibid., fasc. 15-20). Inoltre si mise in contatto con gli intellettuali che allora brillavano in città: dai Valletta a Costantino Grimaldi, come appare dalla citata corrispondenza con il Muratori.
In realtà il B. non sembra molto all'altezza del suo compito, anche se si impegna nella costruzione di una flotta militare e ne paga personalmente le spese. Da una parte non è in grado di proseguire l'energico discorso politico del Grimani nei confronti di Roma; dall'altra è accusato di avere troppe simpatie per i nobili e quindi di riferirsi alle forze più riottose e politicamente incontrollabili del viceregno. Protegge uomini come il filosofo Michelangelo Fardella, il giurista Saverio Panzuti, uno dei pochi del ceto civile impegnato nella congiura di Macchia; Giovanni Acampora, un discreto letterato; il vecchio Giuseppe Valletta. Durante il suo viceregno muore Serafino Biscardi, dopo una nuova brillante carriera sotto gli Austriaci, mentre proseguono la loro, favoriti, ma più controllati per quanto riguarda l'impegno intellettuale, Costantino Grimaldi, Alessandro Riccardi e Gaetano Argento, che, a quanto si dice nella corrispondenza del B. con Vienna, diventa proprio in questo periodo l'uomo di punta del viceregno.
Nel complesso inizia con il B. un periodo di ordinaria amministrazione in cui si attenuano le polemiche con Roma, ma diminuisce anche la partecipazione politica, il clima di speranze e di mobilitazione dei ceti del periodo precedente. L'unico tentativo di riorganizzazione economica è la creazione della Giunta di commercio, di cui alle origini era stato magna pars il Biscardi e in cui erano entrati uomini come il Vargas Maciucca, Ravaschieri e Giovene.
Nei primi mesi del 1713 il sovrano austriaco sostituisce il viceré di Napoli. Il 22 giugno 1713 il B. scrive al Muratori ormai da Milano. La delusione per la fine della sua carica fu presto superata dalla nomina a ministro plenipotenziario per i feudi d'Italia. Nel 1715 inoltre il B. fu fatto consigliere intimo e cavaliere del Toson d'oro. Nel 1716 acquistò Maccagno Inferiore. Nello stesso anno ebbe la visita alle Isole di Federico Augusto elettore di Sassonia e re di Polonia, fra il mese di luglio e quello di agosto. Anche il duca Carlo Emanuele di Savoia veniva spesso a trovarlo, trattandolo con affettuosa amicizia. Incaricato dall'imperatore di procedere all'esazione dei tributi per la guerra ottomana, aveva assolto questo compito sgradevole cercando di non danneggiare né i concittadini né il proprio sovrano; aveva avuto tutta la comprensione del Muratori, che il 29 luglio 1717 (Epistolario, V, p. 1186) aveva compreso il suo dispiacere per un tipo di impegno finanziario che non riguardava il proprio paese. L'anno successivo, il 17 nov. 1718, ebbe il titolo di vicario del Sacro Romano Impero sul feudo di Maccagno Inferiore.
Intanto era sorta una nuova questione fra il ducato di Milano e l'Impero. Nel quadro di una politica di rinnovamento, Carlo VI aveva inviato nel 1718 a Milano un editto sul censimento, che comprendeva un tentativo di più corretta numerazione e distribuzione dei carichi fiscali. All'editto i nobili avevano risposto immediatamente con la creazione di una delegazione di sei cavalieri fra cui il Borromeo. Gli altri erano il conte F. Sormani, il marchese C. Castiglione, il conte G. Visconti, il conte N. M. Visconti, il conte G. B. Trotti. Questa delegazione doveva cercare di limitare i provvedimenti troppo rigidi del fiscalismo di Carlo VI. In pratica funzionò fin troppo bene, dilazionandone la realizzazione completa per oltre un trentennio.
Dopo il 1720 il B. appare però nel complesso ormai ritirato dalla vita politica. Viveva gran parte dell'anno ad Arona, curando l'amministrazione del patrimonio. Anche la corrispondenza col Muratori, dopo gli anni eroici del suo impegno politico, si riduce a uno scambio di biglietti. Il Muratori gli invia per esempio il 28 marzo 1720 la propria Vita di p. Paolo Segneri;o gli comunica, con i saluti per le festività imminenti, di averlo citato nei Rerum Italicarum Scriptores (12 dic. 1726), ma il rapporto sembra ora esaurirsi e diventare convenzionale. Il vecchio patrizio, dopo essersi impegnato, probabilmente ancora per effetto della carica di ministro plenipotenziario dei feudi d'Italia, per gli affari di Parma nel 1731, non partecipò più agli avvenimenti successivi.
Fu travagliato inoltre da problemi familiari, in quanto, come si è detto, non andava molto d'accordo con la vivacissima Clelia del Grillo, che mal ne sopportava l'autoritarismo. Anche per fargli dispetto, fra l'altro, Clelia - mentre in Europa si preparava la guerra di successione polacca che avrebbe tolto, in favore dei Borboni, il viceregno di Napoli agli Austriaci - divenne filospagnola, provocando non pochi guai a sé e al suocero.
Questi sopravvisse un solo anno alla guerra: morì il 3 luglio 1734, avendo fatto testamento senza fidecommisso il 12 giugno dello stesso amo.
Fonti eBibl.: Epistolario di L. A. Muratori, a cura di M. Campori, I-VIII, Modena 1901-1922, ad Indicem;F.Calvi, Famiglie notabili milanesi, II, Milano 1881, Vitaliani-Borromei, tav. XII; Diario napolitano dal 1700 al 1709, a cura di G. De Blasiis, in Arch. stor. per le prov. napol., X (1885), p. 493; M. Schipa, Problemi napoletani al principio del secolo XVIII, in Atti d. Acc. Pontaniana, XXVIII (1898), Mem. 13, pp. 1-27; Racconto di varie notizie accadute nella città di Napoli dall'anno 1700 al 1732, in Arch. stor. per le prov. napol., XXXI (1906), pp. 431 ss.; H. Benedikt, Das Königreich Neapel unter Kaiser Karl VI., Wien-Leipzig 1927, pp. 148-154 (l'autore utilizza le carte di Vienna, ma sbaglia il nome del viceré, chiamandolo Giulio B.); C. Morandi, Partiti politici a Napoli durante la guerra di successione spagnola, in Riv. stor. ital., IV (1939), 3, pp. 1-17; B. Croce, Bibliografia vichiana..., I, Napoli 1947, p. 124 (in cui si parla della commissione del B. al Vico di iscrizioni funebri su Giuseppe I); S. Bertelli, Erudizione e storia in L. A. Muratori, Napoli 1960, pp. 23 s.; R. Colapietra, Vita pubblica e classi politiche del viceregno napoletano, Roma 1961, pp. 186, 197-198, 204; Storia di Milano, XI, Milano 1958, tav. III; R. Levi Pisetzky, Le nuove fogge…,ibid., p.585; A. Annoni, Gli inizi della dominazione austriaca,ibid., XII, Milano 1959, pp. 89, 101 s., 136-137; V. Spreti, Enciclopedia storico-nobiliare italiana, II, p. 145.