BORROMEO, Carlo
Conte di Arona, secondogenito di Renato I ed Ersilia Farnese, figlia naturale di Ottavio I duca di Parma, nacque il 13 dic. 1586. Divisi (il 4 marzo 1614) con il fratello Giulio Cesare i beni della famiglia, accentrati in gran parte nei territori del Lago Maggiore, egli investiva nel 1616 del dazio di Arona un nuovo appaltatore, Giulio Carpano, per il fitto annuo di 16.000 lire.
È un periodo, quello del primo ventennio del Seicento, di ancor florida prosperità per le grandi case patrizie lombarde, ma anche di graduale ascesa di nuovi ceti sociali, di gruppi borghesi impegnati attraverso l'appalto di gabelle, il commercio e le altre attività economiche redditizie, ad assicurarsi una maggiore incidenza nella vita pubblica dello Stato milanese, approfittando di ogni occasione e non badando, talora, ai mezzi impiegati pur di riuscire. Tale il caso del nuovo gabelliere del conte B., che, non accontentandosi delle entrate riscosse dal dazio di Arona, ebbe ad esercitare presto scorrerie e ruberie in altri paesi rivieraschi. Si lamenterà, per esempio, il podestà di Pallanza, il 12 ag. 1616, che il Carpano, appostatosi "sotto la ponta della Castagnola", con altri sette o otto uomini "armati di schioppo, o siano moschettoni", "ad usanza de' corsari", andava assalendo coloro che si recavano al mercato locale "facendo molt'estorsione di danari, et trattenendo, per non dire rubbandole, vettovaglie, et robbe a tutti quelli che trovano non haver boletta del datio de detti signori conti Borromei et quando trovano dette bolette di detti Conti, per angariar li viandanti, ricercano la boletta del dacio Regio di Milano".
Al di là tuttavia della crescita (spesso disordinata e non senza abusi, all'ombra, d'altra parte, degli stessi privilegi dei nuclei aristocratici) degli "uomini nuovi", grande rimaneva la potenza delle antiche dinastie nobiliari, pur nell'ormai avanzato processo di ispanizzazione del ceto dirigente del vecchio ducato e di affermazione assolutistica dell'elemento e del governo spagnolo, il quale aveva rinnovato, peraltro, nel 1609, le rigide disposizioni precedenti sulla alienazione dei feudi, intese a contenere il pericolo di un indebolimento dell'aristocrazia fondiaria. In particolare, la famiglia dei Borromeo giungerà in questo periodo, anche attraverso l'opera di Carlo, a porre la sua candidatura al primato tra le più cospicue famiglie milanesi. Ambasciatore nel 1633 - in un momento diplomatico particolarmente intenso per la Spagna, impegnata a contrastare presso le varie corti le manovre francesi di ralliement degli Stati della penisola e i vari progetti di leghe italiane - presso la Repubblica di Venezia in nome del cardinale infante don Fernando, il B. conseguiva nel 1644 la carica di "mastro di campo" della cavalleria lombarda. Cittadino onorario di Brescia, egli suggellava, per altra parte, l'ascesa della famiglia dando mano alla realizzazione della famosa "villa" dei B. sull'isoletta rocciosa detta di San Vittore, poi denominata Isola Bella (in onore della moglie Isabella d'Adda, vedova del conte Carlo Barbiano di Belgioioso, da lui sposata nel 1612), che assorbirà per molti anni non poche delle ingenti rendite del casato, di cui il B. e i figli raccoglieranno del resto l'eredità anche dell'altro ramo, facente capo a Giulio Cesare II.
Iniziata nel 1632 sotto la direzione dell'ingegnere milanese Angelo Crivelli, proseguita poi attraverso l'opera di una schiera di architetti di valore fra cui F. M. Ricchino il Vecchio e con l'intervento infine di Carlo Fontana chiamato da Roma nel 1688 da Vitaliano IV Borromeo, la costruzione obbedì fin dall'inizio al nuovo gusto delle grandi casate milanesi per la "vita di campagna", caratterizzato peraltro - in coincidenza con la fase di "ritorno" alla terra e di restaurazione feudale - da una visione edilizia sfarzosa, di splendore barocco, che andrà eclissando la stessa sontuosità dei palazzi aviti cittadini. Fu lo stesso B. a tracciare la sistemazione monumentale della nuova dimora del casato sul Verbano: la costruzione a terrazze ascendente dal lago al belvedere, con una ricchezza fastosa e pur organica di scale, gradinate, architetture vegetali, giardini di parata, arricchita in seguito da un teatro all'aperto ad emiciclo, da obelischi e gruppi scultorei cui collaboreranno artisti come il Simonetta, il Rusnati e altri minori. Palazzi e giardini di questa e altre ville dei Borromeo, tra Pallanza e Stresa, vennero poi ulteriormente ingranditi e adornati dal figlio primogenito Giberto.
Il B. morì il 29 febbr. 1652. La vedova, Isabella, abbraccerà nel luglio 1657 la regola di s. Francesco di Sales, entrando nel monastero della Visitazione ad Arona, da lei stessa fondato.
Bibl.: F. Calvi, Famiglie notabili milanesi, II, Milano 1881, tav. XI; C. Pellegrini, Fonti e mem. stor. di S. Arnaldo, in Arch. stor. lombardo, XXIX (1902), p. 96 e nota 3; F. Catalano, La fine del dominio spagnolo, in Storia di Milano, XI, Milano 1958, pp. 117; P. Mezzanotte, L'architettura da F. M. Ricchino al Ruggeri,ibid., p. 460; G. Nicodemi, La scultura lombarda dal 1630 al 1706, ibid., p. 530; V. Spreti, Encicl. storico-nobil. ital., II, p. 145.