BRICARELLI, Carlo
Nato a Torino l'11 ott. 1857 da Luigi e da Giuseppina Pepino, rimase ben presto orfano e fu allevato da uno zio paterno molto austero. Compiuti gli studi medi, dopo aver frequentato per alcuni anni la facoltà d'ingegnena, si laureò in matematica superiore. Quindi, conquistato dalla predicazione del gesuita Secondo Franco nella chiesa dei SS. Martiri, ch'egli frequentava assiduamente, decise di entrare nella Compagnia di Gesù (31 ott. 1879). Dopo un triennio di noviziato a Chieri, sotto la direzione spirituale del padre Francesco Pellico, il B. insegnò scienze fisiche e matematiche nel collegio dei giovani italiani del principato di Monaco. Trasferito nel Tirolo, ebbe modo di perfezionare la sua cultura filosofica e teologica presso l'università di Innsbruck, donde poi passò all'Università Gregoriana di Roma. Qui fu ordinato sacerdote il 31 marzo 1888. Dopo alcuni anni di insegnamento e di ministero a Chieri, a Torino, a Genova, ritornò a Roma entrando definitivamente nel 1899 a far parte degli scrittori della Civiltà cattolica a cui aveva già collaborato.
Ad interessi culturali il B. associò un'attività pastorale specialmente fra i giovani di parecchi collegi romani, in modo particolare fra quelli dell'istituto Massimo alle Terme, promovendone la formazione religiosa secondo quell'ottica integralista, e devozionale alla quale egli stesso era stato avviato nel noviziato di Chieri, il più importante centro dell'intransigenza teologica e politica loyolita durante il XIX secolo. Non meraviglia quindi il suo fervido antimodernismo, di cui fu altrettanto convinto quanto discreto propugnatore. Tale lo rivelano certi articoli di polemica intransigente sul Momento di Torino sotto gli pseudonimi di "Rutilio" e di "Porter"; ma soprattutto l'attacco sferrato dalla Civiltàcattolica nel 1910 contro la Storia della Chiesa antica del Duchesne (lettera del padre Savio a Sabina Parravicino, IInov. 1911, inedita nella Biblioteca Ambrosiana di Milano) che ne preparò la messa all'Indice. Pio X siservì anche del B. per "purificare" il Circolo universitario cattolico di Roma, nominandolo assistente ecclesiastico in sostituzione del "sospetto" p. Ghignoni (1906).
Con questa convinta attività antimodernista si collega il famoso processo svoltosi presso il tribunale di Roma nel maggio e, in appello, nell'agosto 1911. Processo clamoroso e "singolarissimo" per la materia (il segreto confessionale trattato da giudici civili) e per i testimoni (due cardinali, vari prelati e molti preti).
L'ex sacerdote Gustavo Verdesi aveva rivelato, in un'intervista e in una successiva lettera (Il Secolo, 12 aprile e Il Messaggero, 15 apr. 1911), d'aver confidato tre anni prima al B. in confessione il nome e l'attività modemistica di sei preti romani (E. Buonaiuti, M. Rossi, N. Turchi, G. Pioli, O. Coppa, L. Piastrelli). "Egli - scrisse il Verdesi - si recò immediatamente dal papa al quale riferì tutto e quindi mi obbligò a nome del papa stesso, sotto pena di peccato mortale, di stendere per iscritto quanto era a mia conoscenza...". Da ciò l'accusa al B. di avere violato il segreto confessionale e danneggiato materialmente e moralmente i sei indiziati destituiti dalle loro cariche ecclesiastiche. La rivelazione produsse grande scandalo che la stampa italiana ed estera gonfiò. Allora il B. notificò (Osservatore romano, 28 apr. 1911) di aver sporto querela con facoltà di prova contro il Verdesi "per calunnia continuata a voce e a stampa". Alla vigilia del processo il card. vicario, Respighi, inviò al B. una lettera di incondizionata solidarietà nella quale riferiva che lo stesso Pio X confermava la versione dei fatti da lui data. Cioè l'allora don Verdesi "in un colloquio fuori della confessione" (luglio 1908) gli aveva espresso i dubbi di coscienza derivatigli dall'assistere a certe riunioni modemistiche in casa Buonaiuti. Il B. gli aveva allora ricordato l'obbligo morale di segnalare la cosa all'autorità ecclesiastica e per essere più certo dell'equità del consiglio espresso aveva sottoposto a Pio X il caso anonimamente in una udienza privata (10 agosto) ricevendo conferma dell'obbligatorietà della denuncia. Il Verdesi aveva acconsentito portando poi al B. la denuncia scritta, copia della quale era stata inviata al papa (secondo il Verdesi), al S. Uffizio (secondo il Bricarelli). Durante la prima udienza del processo venne letto dal presidente nel testo originale il documento conservato dal B.: così in parte il dibattito si spostò sulla verità o meno delle cose denunciate dal Verdesi circa la conventicola modernista anziché approfondire se tale rivelazione era stata fatta dentro, o fuori la confessione. In tal modo i sei sacerdoti indiziati di modernismo, da testimoni di difesa si trovarono accusati. Tutti però, più o meno, negarono i fatti denunciati dal Verdesi e taluno fece dichiarazione di perfetta ortodossia cattolica. Particolarmente efficace quella del Buonaiuti che concluse col negare ogni violazione di segreto confessionale da parte del B., il quale vinse la causa mentre il Verdesi fu condannato a 8 mesi di detenzione, a 383 lire di multa più le spese processuali. Tale verdetto venne ratificato anche in seconda istanza. Le reazioni di fronte alla sentenza furono contrastanti e di conseguenza altrettanto vari i giudizi sull'operato del B., il cui comportamento, se pur formalmente rispettoso del segreto confessionale, moralmente era stato molto discutibile.
Fino alla morte il B. continuò a far parte della redazione della Civiltà cattolica trattando argomenti di apologetica, di scienza, e di arte. In quest'ultima materia acquistò notevole autorevolezza in campo cattolico, tanto da essere nominato uno dei primi membri della Commissione centrale per l'arte sacra che era stata costituita presso la segreteria di Stato in Vaticano (1923) e professore nella Università Gregoriana.
Sia negli articoli sia nei suoi libri dominano preoccupazioni moralistiche e apologetiche a scapito spesso dell'obiettività (Galileo Galilei. L'opera il metodo le peripezie, Roma 1931). La sua interpretazione dell'arte sacra ubbidisce ai canoni della Controriforma con particolare attenzione al Barocco e alla Rinascenza (Ilpensiero cristiano del Cinquecento nell'arte di Raffaello, Torino 1921).
Il B. morì a Roma il 25 giugno 1931
Fonti e Bibl.: G. Menara, Connivenza vigliacca, in La Riscossa, XXII(1911), n. 17, pp. 131 ss.;n. 19, p. 148; Apropos du procès B.-Verdesi, in Revue moderniste internat. (1911), nn. 4, 5, 6, pp. 189-192, 246-249, 285-287, 298-302; C. Crispolti, L'errore di Pio X e la morale di un processo, in Rass. contemp., IV (1911), pp. 527-529; C. Bricarelli, Sul segreto confessionale alla Corte d'appello di Roma a carico di Gustavo Verdesi, Roma 1911; Id., Ilsegreto confessionale al tribunale di Roma, Roma 1912; H. Houtin, Ristoire du modernisme catholique, Paris 1913, pp. 363-384; E. Rosa, Il p. C. B., in Ragguaglio 1932, Firenze 1932, pp. 388-391; e in Civiltà cattolica, 1931, III pp. 75-78 (biografia e scritti); A. M. Fiocchi, P. Enrico Rosa, Roma 1957, pp. 129-131; E. Buonaiuti, Pellegrino di Roma, Roma 1964, pp. 118-119; E. Poulat, Intégrisme et catholicisme intégral, Toumay 1969, pp. 212-218.