CACHERANO, Carlo
Nato da Giovanni Andrea di Moasca e Coassolo e da Violante Montafia poco prima della metà del sec. XVI, apparteneva ad una linea collaterale della famiglia Cacherano, originaria di Asti, che viene indicata come seconda linea di Cavallerleone. Solo con i successori del C., la famiglia acquista titolo comitale e assume il nome di Cacherano di Cavallerleone e Mombello. Nulla si conosce della giovinezza del C., se non che dovè compiere regolari studi giuridici. Il dottorato in ambo le leggi gli consentì di percorrere la carriera di magistrato sabaudo, durante il regno di Carlo Emanuele I. Il primo ufficio da lui ricoperto fu, per quanto sappiamo, quello di giudice della Gabella del sale (6 ott. 1580).
L'ufficio era stato importantissimo pochi anni prima, quando Emanuele Filiberto lo aveva costituito al fine di tutelare la gabella del sale, innalzata al punto da costituire il massimo cespite delle entrate dello Stato; ma il parziale fallimento di questa riforma tributaria aveva indotto in seguito lo stesso Emanuele Filiberto a modificare e attenuare la gabella. La magistratura relativa fu mantenuta, anche se ovviamente la sua importanza diminuì in misura sensibile.
Da due regi biglietti del 21 dic. 1585 e del 1º genn. 1586 apprendiamo che il C. aveva, in quel periodo, il titolo di senatore, ma non è possibile affermare con tutta sicurezza se facesse effettivamente parte del Senato, poiché qualche, volta la denominazione di senatore era onorifica. Solo il Dionisotti dà tale notizia come sicura. Allo stesso autore dobbiamo, inoltre, due notizie sulla carriera del C., che non trovano ulteriori conferme: il C. sarebbe stato, nel 1572, anche primo avvocato fiscale generale nel contado di Asti e quindi ambasciatore alla Dieta imperiale di Ratisbona. I regi biglietti sovracitati contengono un'altra preziosa indicazione, quella della recente nomina del C. alle cariche di primo presidente della Camera dei conti e del patrimonio, e di auditore generale delle milizie, uffici che lo elevarono anche a consigliere di Stato.
La Camera dei conti presieduta dal C. fu quella di Piemonte, creata nel 1577 da Emanuele Filiberto, accanto a quella preesistente di Savoia. L'ufficio dell'auditorato era connesso con quello della presidenza della Camera dei conti e, in un certo senso, non era di minore importanza, trattandosi d'una magistratura di eccezione, dotata di grande estensione e della massima autorità.
Le poche lettere del C. pervenuteci, datate 1591 e 1592, si riferiscono all'esercizio del suo ufficio, ma non sono sufficienti per esprimere un sicuro giudizio sulle qualità dell'uomo. Sembra ch'egli sia stato scrupolosissimo nell'adempimento dei doveri del suo ufficio ed è, in proposito, significativo il dettagliato resoconto dei sopralluoghi da lui eseguiti per la conduzione di una "bealera" (specie di grosso canale d'irrigazione). Sua costante preoccupazione appare quella di conciliare le più diverse esigenze con la più stretta economia per lo Stato; ed appare sinceramente convinto della necessità di far prevalere il "beneficio pubblico" sui "privati interessi", così da chiedere con insistenza che ogni opposizione alla costruzione della "bealera" gli sia rimessa, perché si sente in grado di sentenziare in modo inoppugnabile.
Sposò, forse in seconde nozze (ma del primo matrimonio non si conosce nulla), una Beatrice della quale non è noto il casato e che gli diede un figlio, Giovanni, morto in giovane età. Suo erede fu il figlio naturale Giambattista, natogli da una Laura Valfredi, e per il quale ottenne la legittimazione ducale il 10 ott. 1584. Morì negli ultimi mesi del 1592.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Torino, Sez. I, Lettere particolari, mazzo 13 Osa-Oze, 1591in 1592, 2 novembre e 6 dic. 1591; 21 luglio e 14 ag. 1592; Ibid., Sezione Camerale, Patenti Piemonte, reg. 17, f. 171; reg. 19, ff. 243, 434; reg. 20, f. 78; Ibid., Sessioni Camerali, 1582 in 1589, n. 147; [G. Galli della Loggia], Cariche del Piemonte, Torino 1798, I, pp. 365-67, 370; II, p. 147; V. Angius, Sulle famiglie nobili della monarchia di Savoia, I, Torino 1841, 667, 670; C. Dionisotti, Storia della magistratura piemontese, II, Torino 1881, pp. 310, 391.