CALA', Carlo
Contro le disparità della tradizione, la nascita va collocata nel 1617, a Castrovillari, dove fu battezzato il 27 novembre. Il padre Giovanni Maria, "col favore del cognato", era stato avvocato fiscale nella città di Cosenza, mentre la madre, Isabella Merlino, era sorella del reggente regio Francesco, che lo aiutò non poco nella carriera e, dopo il 1650, lo lasciò erede attraverso intricate vicende successorie di vari titoli e di cospicue ricchezze. Trasferitosi a Napoli fin dall'età di sei anni, il C. seguì dal 1634 gli studi giuridici nell'università, sotto la guida degli oscuri "istituzionari" F. S - Apreya e A. Clarelli - Il 30 nov. 1639 ottenne il dottorato e cominciò a frequentare, assieme al D'Andrea, lo studio di Giovanni Andrea Di Paolo, "uomo eruditissimo" e maestro della "vera maniera d'intendere le leggi per i loro principj" (D'Andrea, p. 87). Durante questi anni partecipò vivacemente alla vita dei centri più attivi della cultura giuridica napoletana, come l'Accademia dei Rinforzati, fondata da A. Turamini e diretta poi dal Di Paolo. Si preparava così a un'ascesa nelle magistrature, collocandosi con iniziative di rilievo in quell'area giurisdizionalistica, intorno alla quale si cementava l'unità, dei giuristi e del ceto civile del Regno.
Nel 1646 appariva infatti una sua importante Dissertatio iuridico-politica De contrabbannis clericorum, in cui, con rigido anticuriafismo, l'originario assunto veniva allargato a un attacco più generale ai privilegi e agli abusi del clero.
Si era giunti ormai al punto che i chierici parevano peggiori dei laici: "crescit enim audacia delinquendi propter privilegium exemptionis" - affermava il C., traendone la conclusione, ardita nell'equilibrio dei poteri del Regno, della necessità di una soggezione completa degli ecclesiastici all'autorità regia, secondo i criteri già stabiliti "de iure communi, et de consuetudine multorum Regnorum" (pp. 115 ss.).
Nell'estate del 1648, a Napoli sotto lo pseudonimo di Larcando Laco, subito sciolto dai contemporanei, il C. pubblicava un scritto, certo gradito, se non direttamente ispirato, negli ambienti vicereali. La Risposta al Manifesto del Christianissimo Re di Francia (un vero appello filospagnolo) si preoccupava non solo di illuminare la "plebe credula, ed ignorante" del Regno sulla realtà delle promesse francesi - appena un "indorata coverta […] d'amarissime conseguenze" (p. 70) ma insinuava anche abilmente nei Principi d'Italia, e nella S. Sede il sospetto per una potenza tirannica, facile ad opprimere pontefici e a trattar con eretici (p. 63 ss.).
L'ascesa ai ministeri, così attentamente preparata ed efficacemente appoggiata, non si fece attendere, favorita dalla politica del viceré Oñate, che incoraggiava il regalismo dei "togati" in funzione antipopolare e antinobiliare, scegliendoli di frequente per le cariche di maggiore responsabilità. L'8 maggio 1649 il C. diveniva infatti avvocato fiscale, coronando la sua rapida fama ed avviandosi a difendere con "abilità… in cause gravissime" (D'Andrea).
Probabilmente risale a quest'epoca la sua Istoria… della sollevazione napoletana accaduta nel 1646, in cui si esprimeva una posizione moderata, gradita all'Oñate e non priva di una comprensione per i "popolari", che gli atteggiamenti della maturità dovevano poi smentire.
Al di là di un'ingombrante e inutile erudizione (la rivolta veniva costantemente confrontata con le maggiori dell'antichità), l'opera, inedita (apografo alla Bibl. naz. di Napoli, ms. X. E. 59), si inseriva con rigoroso lealismo nel vivace dibattito storico-politico sui moti. Il peso di tanti tributi e "l'ingiurie [dei nobili] troppo humilmente sopportate" avevano ridotto la plebe napoletana "in necessità troppo estrema, ed in miseria troppo calamitosa", inducendola "finalmente alla desperatione". Era così maturato in un popolo per natura "humile, timido, e mansueto, piacevole, pio, e religgioso… un parto di dolorose tragedie, o più tosto un horrendo mostro di spaventevoli, e sanguinose vendette" (cc. 2r e 53rv). La narrazione dei fatti si apriva spesso alla tipica precettistica del tacitismo, non mancando neppure di frequenti spunti di machiavellismo. Un gustoso episodio del 1651, annotato dal Fuidoro, conferma del resto una costante lettura di Tacito durante quegli anni, giacché proprio citando Tacito il C., "che saggio era", sfuggì al pericoloso incarico di perseguire il duca d'Atri.
Nel 1652 il C. sposò Giovanna Ossorio, del casato del futuro viceré Astorga, sicché, divenuto il 23 maggio presidente della Sommaria (fu anche vicario generale di Campagna per l'anno 1656), "col danaro guadagnato coll'avvocazione, colla dote, coll'eredità del padre e della madre, divenne ricchissimo, sostentando il posto con gravità più di qualunque ministro" (D'Andrea).
La ricchezza e l'avidità del C. ("economico", lo dice il De Fortis) fu nota ai contemporanei. Si ammiravail palazzo sito a S. Carlo alle Mortelle, mentre il D'Andrea sottolineava com'egli "attese piuttosto ad accrescere che a scialacquare il suo patrimonio". Più acremente il Fuidoro, lamentando nel 1672il disordine e la corruzione dell'amministrazione napoletana, citava l'esempio del Collaterale, in cui "Calà è Caifasso…, ed è stimato latro autorevole, non essendo più che un risalito e fortunato parto di monte, superbo quanto Lucifero". Nello stesso periodo si sapeva dei suoi guadagni illeciti con l'annona.
Nel 1654, per una somma vistosa, il C. comprò il feudo di Diano, con un titolo di duca, che soddisfaceva alla sua aspirazione costante di nobilitarsi. Quest'ambizione, cui ispirò molte scelte, gli procurò infine un celebre infortunio, che mise in forse il suo stesso successo.
Biografi e cronisti si diffondono con abbondanza di particolari sui suoi tentativi, iniziati fin dal 1654, di dimostrare l'esistenza storica e l'autenticità delle reliquie di un beato Giovanni Calà, vissuto nel sec. XIII, da cui pretendeva di far discendere la sua famiglia. Scrisse a tal fine una Historia de' Svevi (Napoli 1660), ripubblicata in latino nel 1665, che si fondava sugli abili falsi del cosentino Ferrante Stocchi. Fu forse vittima di un raggiro (pagò per l'impresa ben ventimila scudi), ma il Fuidoro sosteneva già nel '72che lo stesso C. aveva "fatto scrivere molte notizie di mano longobarda, ed in carta affumicata, da un certo farinello ingegnoso… per servirsene a distendere la sua istoria". La vicenda si concluse malamente nel 1680, quando l'impostura fu condannata da un decreto del S. Uffizio, che portò "gran dolore al Signor duca di Diano" (Confuorto). Commentava più tardi il D'Andrea: il C. "avrebbe potuto proponersi per idea di un gran ministro, concorrendo in lui molte parti, così di dottrina legale, come di altre letterature, che non se ne ravvisavano in nessuno delli altri, se una sola vanità… non avesse appresso gli emoli oscurata gran parte delle sue lodi".
Nel frattempo, l'arrivo a Napoli dell'Astorga (1672) aveva aperto al già potente ministro nuove occasioni per un'influenza "che, infatti, non mancò di esplicarsi e di avere non piccolo rilievo nella storia del viceregno del Marchese suo parente" (Galasso). Assieme all'Ulloa, il C. si pose per circa un decennio al centro di un gruppo di potere, chebbe peso decisivo in tutti gli affari dello Stato. Sotto la protezione del C. e dell'Ulloa molti "togati" fecero strada nei ministeri e divennero "i veri potenti" del Regno. Ma soprattutto fu opera loro, se "la potenza della amministrazione regia nella società napoletana divenne un fatto irreversibile" (Galasso).
Divenuto nel 1672 reggente di cancelleria, il C. tentò nello stesso anno di ottenere la nomina nel Consiglio d'Italia, ma senza successo, pare per l'ostilità del Peñaranda. Nel 1676, però entrava a far parte della Giunta degli inconfidenti, creata per fronteggiare la difficile situazione aperta dalla rivolta di Messina, e poco dopo otteneva la carica delicatissima di delegato della Real Giurisdizione, ufficio che sovraintendeva ai rapporti fra i poteri laici ed ecclesiastici nel Regno. Nel 1678 dovè cedere all'Ulloa l'incarico. Due anni dopo, la disavventura "genealogica" colpiva ancor più duramente il suo prestigio, costringendolo in una posizione di minore evidenza.
Morì senza figli il 22 dic. 1683, lasciando la favolosa eredità di 500 mila ducati, contesa con lunghi strascichi giudiziari.
Fra le opere di età più matura va segnalata una raccolta di allegazioni De successione maioratus in primogeniis Hispanorum, s.n.t. (ma Napoli, 1670c.), che riprendeva le tesi care all'aristocrazia, peraltro coincidenti con l'interesse regio a conservare l'unità dei feudi e i diritti di maggiorasco ai primogeniti delle grandi famiglie. Per incarico del viceré de los Vélez, il C. seguì anche il lavoro dell'Aldimari per la raccolta e pubblicazione delle prammatiche, forse curando direttamente, secondo il Vario, la formazione di alcuni titoli. Nel gennaio 1665 scrisse poi una consulta sulla spinosa questione del diritto d'asilo (Napoli, Bibl. naz., ms. XI. B. 18, ff. 356-367), che a suo giudizio aveva ridotto la Chiesa una "spelonca de' ladri, … con opprobrio, et ignominia della Religione, et il danno e disconsuolo de' popoli, che ricevono vessatione, et esterminio da privilegio ridotto ad iniquità, et eccesso tanto grande, quanto non può esagerarsi" (f. 358r). Soprattutto egli stese nel maggio 1666, per incarico del viceré Pietro d'Aragona, una memoria che replicava agli argomenti di Camillo Tutini, contestando le pretese di Roma ad una reggenza del Regno di Napoli durante la minore età di Carlo II (ne esistono varie copie; tra le altre: Londra, British Museum, ms. 20924; Napoli, Bibl. naz., ms. IV. H. 35, int. 3; ms. XI. E. 10, ff. 125-157; ms. XI. E. 16, ff. 1-20; ms. XV. D. 42, ff. 1-49; Napoli, Bibl. Orator., ms. CXCVI, int. 8). Essa si collocava autorevolmente in quel dibattito storico-politico, attraverso il quale la cultura napoletana "veniva emergendo come una protagonista della vita civile del Regno" (Galasso). Il C. negava radicalmente, sul piano storico e giuridico, i "titoli" della Chiesa sul Regno, e concludeva: "che sia di queste donationi [imperiali], il certo è che li detti Pontifici non hanno già mai tenuto questo Regno, né usato di tal Dominio…; e li Prencipi, che n'hanno ricevuto investitura, più tosto l'hanno fatto per non haverli nemici, o per haver la protezione della Chiesa contro gl'inimici propri, et altri emoli, e pretensori della Corona" (Napoli, Bibl. naz. ms. XI. E. 10, f. 125r).
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Napoli, Almo Collegio dei Dottori, 11, n. 141 (per la nascita e gli studi); importanti documenti sull'attività del magistrato nei fondi dell'Arch. di Stato di Napoli, Arch. del Collaterale e Arch. della Real Giurisdizione.Sulla famiglia: Napoli, Bibl. naz., ms. Brancacc. III. D.3, c. 213; Napoli, Soc. napoletana di storia patria, ms. XXIV. D. 2: D. Confuorto, Notizie di alcune famiglie popolari della città, e Regno di Napoli, cc. 35-36, V, poi: I. Fuidoro [V. D'Onofrio], Successi del conte d'Oñatte 1648-1653, a cura di A. Parente, Napoli 1922, pp. 60, 168; Id., Giornali di Napoli, III (1660-1680), a cura di V. Omodeo, Napoli 1939, pp. 78, 147; N. Cortese, I ricordi di un avvocato napoletano del Seicento, Francesco D'Andrea, Napoli 1923, pp. 138-140, 242 e passim;D. Confuorto, Giornali di Napoli dal 1679 al 1699, a cura di N. Nicolini, I, Napoli 1930, pp. 47, 87, 111; F. De Fortis, Raccolta delle vite e famiglie degli uomini illustri del Regno di Napoli, Milano 1755, p. 83; A. Vario, Pragmaticae, edicta, decreta… Regni neapolitani, I, Neapoli 1772, p. XI; L. Giustiniani, Memorie istor. degli scrittori legali del Regno di Napoli, I, Napoli 1787, pp. 149-156 (e v. anche le Note ms.apposte a quest'opera da C. Minieri-Riccio: Napoli, Bibl. naz., ms. XII. B. 61); Nuovo dizionario storico, Napoli 1791, V, p. 138; A. Paoli, Notizie spettanti all'opera apocrita intitolata Istoria degli Svevi, Roma 1792; L. Accattatis, Biografie degli uomini illustri di Calabria, I, Cosenza 1869, pp. 82-87; II, ibid. 1870, pp. 221-222; T. Fornari, Delle teorie econ. nelle provincie napolitane dal sec. XIII al 1734, Milano 1882, pp. 318-323; D. Zangari, Di C. C. e Ferrante Stocchi, in La cultura calabrese, I(1921), pp. 160-192; F. Russo, Gli scrittori di Castrovillari. Notizie bio-bibliografiche, Castrovillari 1952, pp. 21-29 (con elenco delle opere e ulteriore bibliografia); F. E. de Teiada, Napoles hispánico, V, Sevilla 1964, pp. 163-177; S. Mastellone, Pensiero polit. e vita culturale a Napoli nella seconda metà del Seicento, Messina-Firenze 1965, pp. 27, 68 ss.; G. Galasso, Napoli nel viceregno spagnolo dal 1648 al 1696, in Storia di Napoli, VI, 1, Napoli 1972, pp. 24, 149, 163, 169 ss., 206, 246, 248, 288.