Campogalliani, Carlo
Attore e regista cinematografico, nato a Concordia (Modena) il 10 ottobre 1885 e morto a Roma il 10 agosto 1974. Cineasta di buon mestiere, eclettico e versatile, sperimentò tutti i filoni popolari. Diresse negli anni Trenta e Quaranta, i suoi lavori più significativi, tra i quali Montevergine (1939, noto anche con il titolo La grande luce), ambizioso progetto produttivo, accolto con successo alla Mostra del cinema di Venezia. Negli anni del cinema muto aveva lavorato anche come attore e creato (nel 1920) la casa di produzione Campogalliani Film, di breve durata. Con la moglie Letizia Quaranta, condivise molte esperienze artistiche, sia come partner sullo schermo, sia come regista dietro la macchina da presa.
Figlio di attori girovaghi, calcò giovanissimo le scene e si dedicò inizialmente alla scenografia, per poi inserirsi come attore in compagnie minori. Esordì nel cinema, grazie all'appoggio del produttore Luca Comerio, in Re Lear (1910) di Giuseppe De Liguoro, nella parte del buffone. Dal 1911 al 1914, C. partecipò in ruoli minori a Il debito dell'imperatore (1911) di Luigi Maggi, L'amico dello sposo (1912) di Eleuterio Rodolfi, Agenzia Griffard (1913) di Vitale De Stefano e Il romanzo di un re (1914) di Gino Zaccaria. Debuttò nella regia con Il rivale di papà, prodotto nel 1914 dalla Società Anonima Ambrosio. Da allora diresse, nell'arco di un decennio, almeno una trentina di film popolari, tra i quali Romanticismo (1915), Da boxeur a detective (1916), L'inverosimile (1919) e La casa della paura (1921), spesso interpretati anche da sua moglie, e portò al successo la celebre serie di Maciste, personaggio disegnato dall'attore Bartolomeo Pagano. Dalla metà degli anni Venti, realizzò vari film, come regista e interprete, in Argentina, in Brasile e in Germania (tra cui Ich hab' mein Herz im Autobus verloren, 1929). Rientrato in Italia, diresse nel 1931 un Ettore Petrolini scanzonato e burlesco in Cortile e in Il medico per forza, tra i primi esperimenti sonori del cinema italiano, tratti, rispettivamente, da un bozzetto di F.M. Martini e da una commedia di Molière. Dopo La lanterna del diavolo, ancora del 1931, ottenne successi e riconoscimenti alla Mostra del cinema di Venezia: nel 1934 venne premiato con la medaglia d'oro per Stadio, film di insolita ambientazione sportiva, sul mondo del rugby, e nel 1939 con una speciale coppa del Partito nazionale fascista per Montevergine, interpretato da Amedeo Nazzari, opera elogiata dalla critica per una certa raffinatezza e originalità sia di scrittura sia di regia. Lo stesso anno diresse ancora Nazzari in La notte delle beffe, mentre, in precedenza, nel 1936, aveva girato, esclusivamente con le marionette, l'insolito I quattro moschettieri.
Realizzò quindi film in costume, come Il bravo di Venezia (1941) interpretato da Rossano Brazzi, ma anche comici e commedie, come L'innocente Casimiro (1945) con Erminio Macario, e Bellezze in bicicletta (1951) con Silvana Pampanini, Delia Scala, Peppino De Filippo, Renato Rascel e Aroldo Tieri. Lavorò anche con cantanti lirici e di musica leggera, come Beniamino Gigli in Silenzio: si gira (1943), Milly Vitale in La canzone del cuore (1955), Luciano Tajoli in Ascoltami (1957) e Claudio Villa in Fontana di Trevi (1960). Concluse la sua carriera all'inizio degli anni Sessanta con film appartenenti al genere storico-mitologico, come Maciste nella valle dei re (1960), Ursus (1961) e Rosmunda e Alboino (1961), per i quali sperimentò anche il cinemascope.
R. Chiti, J. Pantieri, P. Popeschich, Almanacco del cinema muto italiano, Forlì 1988, p. 74.