CANTONI, Carlo
Nacque a Gropello Cairoli, in Lomellina, il 20 nov. 1840, da Giovanni e da Giuditta Magnaghi. Fin dagli anni degli studi liceali compiuti a Casale Monferrato ebbe in Luigi Ferri un insegnante di eccezione, e si fece sempre più precisa la sua vocazione per gli studi letterari e filosofici, cosicché si iscrisse alla facoltà di lettere dell'università di Torino, contrariamente alle speranze della sua famiglia che lo avrebbe voluto avviare alla carriera forense. A Torino il C. fu scolaro di Gian Maria Bertini, con cui si laureò nel 1862 con una tesi Sulla filosofia di Teodoro Jouffray (pubbl. a Torino nel 1862).
È un lavoro espositivo, ma non privo di giudizi e osservazioni, in cui l'analisi del Jouffroy, d'una filosofia come "connaissance de nous mêmes", contrapposta alla scienza naturale come "connaissance de la partie du monde physique, qui tombe sous nos sens", è tradotta con linguaggio giobertiano e bertiniano, nell'intento di respingere il principio della riduzione della filosofia a psicologia e riaffermare che "è assolutamente impossibile il formare, qualsiasi filosofia che apertamente o celatamente non poggi sopra un duplice principio ontologico e psicologico" (p. 38). Si ritrovano dunque in questo scritto le prime riflessioni kantiane del C., nella sua opposizione allo psicologismo del Jouffroy, con la considerazione di come dai fenomeni interni della coscienza non sia possibile passare all'Io, come loro causa, perché questi costituiscono un concetto della mente.
L'interesse per la psicologia da parte del C. si rinnovò a contatto con l'insegnamento di Hermann Lotze. Nel 1865 infatti egli soggiornò in Germania, prima a Berlino poi a Gottinga, dove seguì le lezioni del Lotze, il rinnovatore della metafisica di Leibniz, subendone l'influenza, tanto che i successivi svolgimenti teoretici del suo pensiero partiranno proprio dalle posizioni monadologiche lotziane, per approdare alla accettazione, e alla originale rielaborazione, in armonia con gli sviluppi della cultura e della filosofia dell'ultimo Ottocento, della critica kantiana.
Del resto il C. stesso tracciò un consuntivo della sua esperienza tedesca nel saggio Terenzio Mamiani ed Ermanno Lotze,o il mondo secondo la scienza e secondo il sentimento (in Nuova Antologia, giugno 1869, pp. 237-81; luglio 1869, pp. 563-87). Nel 1867 aveva pubblicato a Torino uno studio su G. B. Vico,Studi critici e comparativi, a cui aveva preso a lavorare dopo la laurea e con cui si presentò al concorso di aggregazione alla facoltà di lettere e filosofia di Torino. L'aggregazione non gli venne concessa e nacquero polemiche, in cui ebbe a sostenitore il suo vecchio maestro (L. Ferri, G. B. Vico di C.C., in Nuova Antologia, gennaio 1867, pp. 172 ss.). Ma generalmente a questo lavoro del C. venne anche in seguito mosso il rilievo di una sproporzionata sottolineatura del Vico "storico e psicologo", rispetto a quello "metafisico", e quindi una sostanziale svalutazione dei contributi critici della filosofia vichiana (A. Faggi, in Riv. filosofica IX [1906], pp. 593-606; B. Croce, La filosofia di G. B. Vico, Bari 1953, ad Indicem, e Gentile, pp. 280-285). Fu comunque in seguito a questa vicenda che il C. si trasferì nel 1867 a Firenze presso il Ferri, che allora insegnava presso l'Istituto di studi superiori, per passare poi l'anno seguente ad insegnare al liceo Cavour di Torino, e nel 1869 al Parini di Milano, dove rimase un decennio, fino a quando non vinse il concorso per la cattedra di filosofia teoretica dell'università di Pavia (1878), che tenne fino alla morte.
All'insegnamento il C. dedicò molte delle sue energie, sia redigendo un Corso elementare di filosofia per i licei che uscì in 2 voll. a Milano tra il 1870 e il 1871 a cui si aggiunse un terzo nel 1887, ed ebbe in seguito numerose edizioni, sia quale membro, a più riprese, del Consiglio superiore della Pubblica Istruzione, rettore per due volte dell'ateneo pavese e preside della facoltà di lettere e filosofia, attività che gli meritarono nel 1898 la nomina a senatore. Numerosi sono gli scritti che testimoniano questa sua dedizione ai problemi didattici e organizzativi dell'istruzione superiore (La questione universitaria, Milano 1874; Professori e studenti nelle università italiane e tedesche, Pavia 1887; Scrittori vari, Pavia 1908).
In essi il C. palesa una vena che non è quella del politico, ma dell'educatore partecipe dei problemi di costruzione dello Stato unitario. Di idee liberali e democratiche, amico dei Cairoli (e particolarmente di Benedetto), politicamente vicino alle posizioni della Sinistra, ma polemico verso il trasformismo di Depretis, in lui si riflette chiaramente l'impegno di parte della cultura liberale del tempo di dare sostanza culturale alle strutture dello Stato laico, onde il problema dell'istruzione come condizione indispensabile per un reale progresso civile della nazione, che si accompagnava alla ricerca di un principio informatore unico che, senza costituire un presupposto dogmatico, fosse punto di riferimento, teoretico ed etico, nello svolgimento del rapporto tra lo Stato e la società civile. Queste idealità trovano riscontro del resto nella stessa impostazione del Corso che nei due primi volumi tratta rispettivamente, con taglio monografico, della logica e della psicologia precettiva, e della morale e dell'estetica, mentre il terzo è dedicato alla trattazione storica.
L'opera più importante e caratteristica del C. sono i tre volumi (Milano 1879-1884) su E. Kant, che, come si è visto, costituiscono lo svolgimento naturale della sua esperienza intellettuale e nel contempo si inseriscono in quel movimento di ritorno a Kant che si era sviluppato nella seconda metà del sec. XIX, sotto il nome di neokantismo; del resto proprio negli anni del soggiorno in Germania del C. erano usciti gli studi del Liebmann su Kant e gli epigoni ela Storia del materialismo del Lange.
Questa collocazione del C. tra i neokantiani fu vivacemente contestata dal Gentile, che notò come "il criterio con cui egli crede di modificare i concetti fondamentali di Kant conducono a una radicale negazione del kantismo" (p. 353), in quanto il C. muoverebbe da un preciso punto di vista che è quello del Ferri, secondo cui sarebbe necessario ammettere una genesi ideale dei principî, da cui deriverebbe inevitabilmente l'impossibilità di accettare i concetti di spazio e di tempo come intuizioni pure, la distinzione tra fenomeno e noumeno, e ancora il carattere formale della legge morale, le categorie come principî puri dell'intelligenza, nonché la convinzione che il giudizio del bello debba essere fondato sul sentimento, onde la collocazione del C. piuttosto tra i "platonici" che tra i neokantiani.
La critica del Gentile, nel suo radicalismo, certamente coglie nel segno se si tien conto che il tentativo del C. di rinnovare il criticismo si appuntava proprio sul problema del "formalismo" del pensiero kantiano e comportava proprio il rifiuto del concetto di "realtà in sé" e il recupero acritico di una teoria dell'esperienza. Non a caso il contributo più originale del C. riguarda il "sentimento", "intorno al quale egli pose il problema se la verità (teoretica del giudizio, o pratica della legge) produca essa i relativi sentimenti; o se invece la verità venga affermata successivamente, fondando il problema sopra un sentimento presupposto, sperimentato questo, innanzi tutto, come un mero fatto senza verità" (Mazzatinti).
L'opera valse al C. la laurea honoris causa dell'università di Königsberg nel 1904 e il premio della Regia Accademia dei Lincei, di cui era socio; egli fu anche membro effettivo del Regio Istituto lombardo e dell'Accademia delle scienze di Torino.
Il C. morì a Gropello Cairoli l'11 settembre 1906.
Fonti e Bibl.: D. Farini, Diario di fine secolo, a cura di E. Morelli, Roma 1962, ad Indicem; E. Sanesi, Le carte di C. C. a Gropello Cairoli, in Rass. storica del Risorg., LVI (1969), pp. 72-87; Id., Tarchetti e C., in Nuova Antologia, luglio1970, pp. 240 ss.; K. Werner, Kant in Italien, in Sitzungsberichte der Akademie der Wissenschaften in Wien, XII (1881), pp. 348-351; G. Vidari, La morale di C. C., in Riv. fil., IX (1906), 5, pp. 45-152; B. Varisco, C. C. e la teoria della conoscenza,ibid., pp. 153-167; In memoria di C. C. Scritti vari, Pavia 1908 (prefaz. di G. Vidari, con bibliogr. completa). L. Credaro, La scuola di Pavia di C. C. Vidari, Milano 1934, passim; G. Alliney, I pensatori della seconda metà del sec. XIX, Milano 1942, pp. 97-125; M. F. Sciacca, Il criticismo realistico di C. C., in Il pensiero moderno, Brescia 1949, pp. 221-29; E. Garin, St. della fil. it., III, Torino 1957, pp. 87 s., 94; G. Gentile, Le origini della filos. contemp. in Italia, Firenze 1957, pp. 273-313; E. Sanesi, Un'amicizia ital. di Enrico Boutroux, in Settanta, V (1974), 1, pp. 63-72; C. Mazzatinti, C. C., in Enc. fil., col. 879.