CASATI, Carlo
Figlio di Alfonso di Carlo Emanuele e di Livia Melzi di Trenno, nacque forse a Milano intorno all'anno 1652. Non si hanno notizie sulla sua vita prima del 1675: in quell'anno suo padre inoltrava dalla Svizzera, ove risiedeva in qualità di ambasciatore spagnolo, un memoriale alla corte di Madrid nel quale chiedeva per il figlio, ormai giunto al termine degli studi di legge, un posto sovranumerario di questore di cappa corta del magistrato delle Entrate ordinarie di Milano. Alla richiesta del diplomatico milanese non fu dato seguito; sembra perciò che dopo il 1677 il C. affiancasse il genitore nel disbrigo degli affari diplomatici. Egli comunque si trovava a Coira nel febbraio 1681, allorquando il 16 di quel mese, vi moriva il padre.
Il fatto che il C. fosse conosciuto personalmente in Svizzera, il peso di una tradizione che voleva un membro della famiglia Casati a capo della rappresentanza diplomatica spagnola e, forse, le sollecitazioni dell'interessato stesso spiegano come all'indomani della morte di Alfonso i Cantoni cattolici, le Leghe Grigie ed il vescovo di Costanza scrivessero a Madrid esprimendo il desiderio che la carica rimasta vacante venisse conferita al figlio dell'ambasciatore defunto. A corte la richiesta fu però disattesa: nel luglio 1681 veniva nominato il conte Giovanni Francesco Arese, cui succedeva, nel 1683, il marchese Enea Crivelli. Tre anni piu tardi quest'ultimo chiedeva di essere esonerato dall'incarico: il conte di Melgar, governatore di Milano, accoglieva le dimissioni ed al posto dell'ambasciatore uscente designava il Casati.
Nel sollecitare dal sovrano la conferma ufficiale della nomina, il governatore precisava che il candidato prescelto era il "sujeto, mas abil, a proposito y informado para aquella occupación", in quanto, nato e cresciuto nel paese, ne conosceva la lingua e soprattutto godeva del "conocimiento, confiança y afecto de los cantones" (Arch. General de Simancas, Estado, leg. 3407, n. 102, Melgar a Carlo II, Milano, 30 marzo 1686).
Il giudizio favorevole del governatore veniva condiviso anche dalla corte di Madrid e il 17 giugno 1686 Carlo II firmava il dispaccio di nomina.
Se indubbiamente la formazione e le capacità del C. lo qualificavano per l'incarico diplomatico in Svizzera, non altrettanto può dirsi del suo carattere. Ambizioso e autoritario, impulsivo e battagliero, egli mancò in più occasioni di quel tatto e di quella moderazione che avevano reso popolare suo padre; certamente alla sua complessa personalità si deve il fatto che nel corso della sua carriera egli doveva crearsi detrattori implacabili e accaniti sostenitori. Così, mentre per il rappresentante piemontese presso i Cantoni cattolici il C. non era all'altezza dei compiti assegnatigli, né si curava di esserlo, preferendo invece fare dell'ambasciata un "botteghino di raggiri a proprio pro" (Rott, Histoire…, IX., p. 397n. s), secondo l'inviato inglese Herwarth, il diplomatico spagnolo era "un très galant homme, fort honnête et fort civil" (Roth, 1916, p. 9).
Non vi è dubbio del resto che le condizioni nelle quali il C. veniva chiamato a svolgere la propria missione erano tutt'altro che favorevoli: la crisi politica ed economica nella quale si dibatteva la monarchia cattolica, la sua debolezza militare non consentivano un'azione diplomatica incisiva, specialmente in Svizzera dove la posizione debitoria della Spagna nei confronti dei suoi alleati aveva assunto ormai carattere cronico. Date queste premesse, non stupisce che il C. non fosse in grado di sfruttare vantaggiosamente i risentimenti suscitati tra i protestanti elvetici dalla politica confessionale di Luigi XIV: dopo la revoca dell'editto di Nantes (18 ott. 1685), la Francia si era infatti alienata le simpatie dei Cantoni riformati, tradizionali difensori dei suoi interessi. La possibilità per la Spagna di surrogarsi alla potenza rivale rimaneva infatti legata alle proprie disponibilità finanziarie, che per tutta la missione del C. furono scarse. Perciò, all'epoca della guerra del Palatinato (1688-1697), nel corso della quale la Francia, da sola, avrebbe tenuto testa alle potenze coalizzate della lega d'Augusta, l'opera del C. doveva rivelarsi sostanzialInente improduttiva. Né i ripetuti tentativi di indurre i Cantoni delle due confessioni ad abbandonare la tradizionale neutralità per schierarsi a fianco degli alleati, né gli sforzi, compiuti insieme all'inviato imperiale, per ottenere il richiamo in patria delle truppe svizzere al soldo della Francia ottenevano risultati di rilievo.
Ma se l'attività del C. non era stata coronata da vistosi successi, un intenso lavorio diplomatico, agevolato dalla conoscenza della situazione locale e dalla fitta rete di aderenze che aveva saputo tessere, gli consentiva di dimostrare che la Corona cattolica era ancora in grado di esercitare una certa influenza sulla vita del paese. Così, nel 1688, egli otteneva che alla sede vescovile di Losanna e alla prima magistratura di Friburgo venissero eletti due elementi di provati sentimenti filospagnoli. Quattro anni più tardi, contribuiva a mandare in fumo il progetto, caldeggiato dalla Francia, di fare del vescovato di Basilea un membro della Confederazione, il che avrebbe comportato la chiusura del corridoio militare asburgico verso la Franca Contea. Nelle Leghe Grigie, poi, il C. riusciva a difendere e a mantenere la posizione privilegiata che la monarchia cattolica si era creata, sin dal 1639con la stipulazione della "pace perpetua". I legami commerciali con lo Stato di Milano rendevano peraltro i Grigioni più acquiescenti alla volontà della Spagna, di modo che l'ambasciatore poté ottenere da loro quel risultato che non gli era stato possibile raggiungere nella Confederazione. In seguito al blocco commerciale della Valtellina, le Tre Leghe procedevano, nel 1691, al richiamo delle truppe al servizio della Francia. Analogo successo coronava i ripetuti sforzi del C. per tenere aperti i passi retici alle truppe asburgiche e per rendere vani i tentativi della diplomazia di Luigi XIV di procurare l'accessione delle Leghe al trattato franco-elvetico del 1663.
Congiuntamente alla difesa degli interessi spagnoli, il C. aveva lavorato, con l'approvazione di Carlo II, anche a favore della causa imperiale, specialmente in vista di ottenere dagli Svizzeri il rispetto dell'"unione ereditaria", che dal 1511 li legava all'Austria. Egli, inoltre, aveva rappresentato Leopoldo I alla Dieta generale di Baden del luglio 1691e l'anno successivo aveva ottenuto l'elezione a vescovo di Coira - il quale era anche principe dell'Impero - del canonico Ulrich von Federspiel, le cui simpatie per la casa d'Austria erano note. L'imperatore non aveva mancato di manifestare concretamente il proprio apprezzamento per l'opera svolta dal C.; nel 1687 aveva appoggiato la sua candidatura alla carica di questore di cappa corta del magistrato delle Entrate ordinarie di Milano, carica che l'ambasciatore otteneva il 23 dicembre di quell'anno; il 24 apr. 1688 gli conferiva il titolo di ciambellano imperiale e il 30 genn. 1696 lo nominava consigliere intimo di Stato.
I vincoli che legavano il C. alla causa asburgica non potevano non pesare sulle sue scelte, allorquando, alla morte di Carlo II, saliva sul trono di Spagna Filippo V di Borbone. Non appena, agli inizi del dicembre 1700, si era diffusa in Svizzera la notizia del decesso e della apertura del testamento che faceva del duca d'Angiò l'unico erede della corona spagnola, l'ambasciatore si era precipitato a Milano con l'intenzione di presentare le proprie dimissioni. La faccenda doveva prendere una piega diametralmente opposta: giunto in patria, il C. si lasciava convincere a conservare l'incarico e a rinunciare invece alle cariche imperiali, cosa che egli faceva, non senza avere giustificato la propria condotta dinnanzi alla corte di Vienna, dalla quale riceveva, per mezzo del conte Harrach, parole di comprensione. Probabilmente. oltre all'ambizione che spingeva il C. a mantenere una posizione di prestigio, aveva influito sulla decisione la necessità, nella quale lo ponevano le sue scarse risorse economiche, di conservare un incarico retribuito.
Il nuovo decreto di nomina veniva firmato soltanto il 2 febbr. 1701, perché gli oppositori del C. a Madrid, in particolare il reggente milanese Rubino, suo nemico personale, avevano accanitamente osteggiato la designazione. Alla fine di quello stesso mese, il C. era già rientrato a Lucerna, prima ancora che vi giungessero le sue credenziali.
Nella Confederazione lo attendeva un compito difficile: egli doveva ottenere il riconoscimento del nuovo sovrano spagnolo e la conferma dell'alleanza del 1634 con i Cantoni cattolici; in caso di insuccesso, l'Austria avrebbe potuto conseguire l'apertura dei passi alpini alle proprie truppe, dando inizio a un'offensiva militare in Lombardia. Né si trattava di un pericolo remoto perché l'ostilità dei Cantoni protestanti verso la Francia e la sfiducia di quelli cattolici nella solvibilità della Spagna rendevano la Confederazione ancora più sensibile alle promesse austriache, promesse che l'inviato imperiale non mancava di alternare con oscure minacce.
Inizialmente, nonostante la fattiva collaborazione dell'ambasciatore francese Puysieulx, sembrò che la missione affidata al C. fosse condannata al fallimento: nell'aprile 1701 egli veniva ammesso a parlare nella Dieta di Baden soltanto in veste di ambasciatore del defunto Carlo II. Di lì a pochi mesi conseguiva il primo successo, ottenendo dalla Dieta, riunita una seconda volta a Baden nel luglio successivo, il riconoscimento del suo titolo di ambasciatore di Filippo V, il che rappresentava un implicito riconoscimento della successione verificatasi sul trono di Spagna. Il riconoscimento formale del nuovo stato di cose e la conferma dell'alleanza spagnola gli venivano quindi concessi dai rappresentanti dei Cantoni cattolici riuniti a Lucerna nel giugno del 1702: nonostante la defezione del Cantone di Friburgo e dell'abate di San Gallo, il C. aveva brillantemente assolto il suo compitò, tanto più che i Cantoni avevano deciso di aderire a una richiesta di reclutamento di truppe per la difesa di Milano.
Adempiuta la sua missione, agli inizi del 1703, egli presentava le proprie dimissioni: a tale gesto lo aveva spinto, non già una scarsa simpatia per la causa borbonica, quanto l'impossibilità di fare fronte alle eccessive spese che ormai comportava l'incarico diplomatico. Le sue speranze di poter conservare il titolo e gli emolumenti di ambasciatore andavano però deluse, mentre, a riconoscimento dei suoi meriti, il 15 genn. 1704, Filippo V lo nominò consigliere segreto. Contemporaneamente veniva chiamato a fare parte della "giunta per gli Svizzeri", creata con il fine di sovraintendere alle relazioni con la Confederazione e con i Grigioni. Tale giunta rimaneva in funzione anche dopo il passaggio della Lombardia sotto la dominazione austriaca: il C. ne faceva ancora parte nel 1724, anche se all'epoca le sue precarie condizioni di salute lo avevano già costretto ad appartarsi dalla vita pubblica. Morì a Milano il 25 luglio 1730.
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