CASSOLA, Carlo
Ultimo di cinque figli, nacque a Roma il 17 marzo 1917 da Garzia e da Maria Camilla Bianchi. Il decennio di distanza che lo separava dal quarto fratello (nato nel 1908) lo fece sentire, di fatto, un figlio unico: «La mia […] fu un’infanzia solitaria. Ma non […] triste: perché appresi presto a gustare i piaceri della solitudine: primo fra tutti, il piacere di fantasticare» (Ai miei lettori, in Il taglio del bosco, Torino 1965, p. 5).
Il padre proveniva da una famiglia borghese di Pavia, trapiantatasi a Volterra per la professione di magistrato del nonno Carlo, presidente del tribunale nonché fervente patriota e illustre duunviro delle dieci giornate di Brescia. Laureatosi in giurisprudenza, Garzia si iscrisse al Partito socialista italiano (PSI) e diventò giornalista. Dopo aver lavorato al Messaggero nella capitale e al Mattino di Napoli, si trasferì a Roma nel 1896, anno di fondazione dell’Avanti!, per divenirne caporedattore all’epoca eroica della direzione di Leonida Bissolati. Il 20 aprile 1901 sposò a Volterra Maria Camilla, di una famiglia reazionaria del luogo. Convinto propagandista del socialismo, Garzia seguì Bissolati nel Partito socialista riformista italiano, dopo essere stato espulso dal PSI al congresso di Reggio Emilia del 1912, e fu come lui interventista nel 1914. Una sorella di Garzia, Carolina, fu la compagna di Bissolati; un’altra, Ernesta, sposò il socialista Luigi Campolonghi, esule in Francia e presidente della Lega italiana dei diritti dell’uomo.
Cassola ereditò così dal ramo paterno la tradizione libertaria e un’educazione laica, dalla madre l’amore per la Toscana che, già meta delle vacanze estive a Volterra e Marina di Cecina in età giovanile, divenne poi stabilmente sua terra d’elezione.
Diversamente dai fratelli, ai quali l’istruzione elementare era stata impartita tra le mura domestiche dalla madre maestra, Cassola frequentò la scuola pubblica. Ve lo accompagnava la balia Anna Bandini, le cui umili origini gli fecero precocemente conoscere la realtà popolare e prendere coscienza del divario sociale, lasciando su di lui un’impronta indelebile. Ma Anna sostituì anche nelle cure la madre naturale, ammalatasi di spagnola subito dopo la nascita di Carlo: « […] sono nato e ho vissuto in una famiglia piccolo-borghese, abituata a certe comodità, ma ero stato allevato da una ragazza del popolo, che da piccolo chiamavo mamma. E che era vissuta in ambienti miserrimi» (Una ragazza del popolo, in Non ho dimenticato, Venezia 1981, p. 8). Quando nel 1924, sposandosi, la ragazza lasciò la famiglia Cassola, il piccolo ne patì più dei fratelli l’assenza; la immortalò poi nella protagonista del romanzo Paura e tristezza.
Iscrittosi nel 1927 presso l'istituto romano Torquato Tasso, dal 1932 proseguì gli studi al liceo classico Umberto I: fu il momento delle prime esperienze culturali significative, che fece insieme a Manlio Cancogni, la cui conoscenza, avvenuta nel 1928 in una palestra di via Tevere, divenne proprio sui banchi di scuola un’amicizia destinata a consolidarsi in duraturo sodalizio intellettuale (la storia del loro legame fu narrata da Cancogni, che la traspose in quella di due scrittori spagnoli nel racconto Azonín e Miró – dove Cassola è Miró –, apparso nel 1948 in Botteghe oscure).
Con Cancogni, Cassola aderì nel 1933 al Movimento novista italiano di dissidenza giovanile antifuturista, fondato in seno al fascismo da Ruggero Zangrandi, il figlio del duce Vittorio Mussolini, Mario Alicata, Bruno Zevi, Marcello Merlo; nello stesso anno avviò la collaborazione con il foglio studentesco La penna dei ragazzi, che nel 1934, ultimo anno di liceo, si intitolò Anno XII in ossequio al calendario dell’era fascista e che, l'anno successivo, fu sede del suo esordio, avvenuto con esercizi poetici: «Io avevo preso la decisione di diventare uno scrittore a diciott’anni, nell’estate del ’35» (Il mio cammino di scrittore, con illustrazione di V. Venturi, Firenze 1984, p. 12). Nel 1935 Cassola dette pure vita (con Cancogni e Giuseppe Lo Presti) a uno dei vari gruppetti di protesta politica sedicenti antifascisti, ponendosene a capo, ma lo sciolse un anno dopo abbandonando contemporaneamente anche il gruppo Zangrandi.
La scelta irrevocabile della scrittura spinse Cassola a optare per studi universitari che gli lasciassero il tempo di coltivarla e si iscrisse a tal fine alla facoltà di giurisprudenza. «Fu un periodo di letture frenetiche» (Mio padre, Milano 1983, p. 43), svolte sotto la guida di Piero Santi (un parente per parte di madre), sollecito nel rinfocolare il suo amore per la letteratura e orientarlo nella crescita artistica. Cassola, che aveva stretto il suo legame con lui durante i soggiorni estivi in Toscana, lo elesse a proprio interlocutore e maestro, ipotizzando perfino di lasciare Roma per stabilirsi a Firenze, dove intorno a Santi quale apprezzato mentore si radunavano allora numerosi intellettuali e scrittori (i cosiddetti 'cenacolisti'), tra cui Franco Fortini, Alessandro Parronchi, Franco Calamandrei, Paolo Cavallina. Fu a lui che Cassola sottopose le prime prove, soprattutto alcune poesie e un romanzo andato perduto, per una valutazione dei progressi fatti nella scrittura.
Nel 1936, anno della pubblicazione su La Gazzetta di Messina del primo scritto in prosa (Grande adunata), furono due gli incontri decisivi per la formazione sia sentimentale sia intellettuale di Cassola: quello con Rosa Falchi, nativa di Cecina, con la quale si fidanzò, e quello, tra le molteplici letture del momento, con i testi di Joyce, in particolare con i Dubliners e Daedalus, la cui entusiastica scoperta, condivisa con Cancogni, cementò la loro intesa inducendoli a formulare nel 1937 un’originale poetica comune, denominata 'subliminarismo': «Il nome lo trovò Cancogni, e devo dire che era azzeccato […]. Il sublimine è l’oggetto spogliato di ogni attributo ideologico, conoscitivo, etico, psicologico: ridotto quindi a simbolo esistenziale. L’emozione esistenziale era la sola cosa che ci premesse esprimere» (lettera inedita, in data 8 febbraio 1966, a Indro Montanelli: Andreini, Cronologia, 2007, pp. LXXXI s.).
Con Cancogni – stavolta in veste di attore come interprete di un vecchio eccentrico –, Cassola si cimentò in quello stesso anno anche nel cinema, scrivendo il soggetto del cortometraggio avanguardistico Alla periferia (per la regia di Giuseppe Lanari), prodotto dal Cineguf di Roma e in gara ai Littoriali della cultura e dell’arte di Napoli. Proprio un film, la prima romana di À nous la liberté di René Clair alla quale Cassola aveva assistito nel 1933 in un cinema di quartiere, era stato determinante per il suo cominciare «a guardare le cose in altro modo. Fu Piero [Santi] a farmelo capire: molto più tardi, nel luglio del ’35. Io ero un passatista; fu lui a farmi capire la bellezza dell’arte moderna» (Mio padre, cit., p. 43).
Dal 24 novembre 1937 al 31 dicembre 1938 Cassola prestò servizio militare, dapprima allievo ufficiale a Spoleto e poi ufficiale a Bressanone, per accorgersi, rientrando a Roma nel 1938, di aver tratto dall’esperienza un nuovo impulso a interessarsi di politica con coscienza risolutivamente antifascista.
Conseguita la laurea in giurisprudenza il 20 novembre 1939, con una tesi di diritto civile, iniziò dall’anno successivo a cercare una sistemazione nelle scuole. Grazie all’appoggio di Romano Bilenchi pubblicò nella neonata Letteratura di Alessandro Bonsanti Tre racconti. La visita, Il soldato, Il cacciatore, e ottenne il primo riconoscimento critico con l’immediata segnalazione che ne fece su Corrente di vita giovanile Giansiro Ferrata (con lo pseudonimo di Cirillo e Metodio).
Per due anni insegnò a Volterra, dove abitava la fidanzata Rosa, con cui si unì in matrimonio il 26 settembre 1940: «[…] con lei Cecina e Volterra divennero la stessa cosa e non saprei dire, in quegli anni, a quale delle due andò la mia preferenza» (Mio padre, cit., p. 60). Il 20 luglio 1941 venne richiamato alle armi e fu a Pisa e quindi a la Spezia. Incaricato di far saltare Manarola, disobbedì ai comandi ma riuscì a sfuggire alla corte marziale grazie alla perdita, nei bombardamenti, della documentazione accusatoria. Prese così la decisione di opporsi al fascismo e si legò, a partire dal 1941, prima al movimento liberalsocialista, poi al Partito d’Azione.
Nel 1942, vinto il concorso per l’insegnamento di storia, filosofia e pedagogia negli istituti magistrali e nei licei, divenne professore di ruolo allo scientifico di Foligno, e dette alle stampe due raccolte di testi, in parte già apparsi in rivista e aderenti a una concezione 'allusiva' dell’arte: La visita, per le edizioni di Letteratura (Firenze), e Alla periferia per quelle della rivista Rivoluzione (ibid.). Sempre in quell’anno, in occasione della costituenda nuova redazione di Ansedonia (che invece si chiamò Lettere d’oggi), conobbe Giorgio Caproni, con il quale restò in contatto fino ai suoi ultimi giorni, ritenendolo uno fra i maggiori poeti del Novecento italiano.
Tra il 1943-44 entrò nella Resistenza con il nome di Giacomo, nella 23ª brigata garibaldina Guido Boscaglia, come capo della squadra esplosivisti, e creò a Volterra, con Niccolo Mezzetti e Dino Gabellieri, un comitato militare del Comitato di liberazione nazionale. Operò nel Volterrano e nell’Alto Grossetano e, tra i luoghi di combattimento, ricordò soprattutto il massiccio del Berignone, rievocato nei testi col nome di Monte Voltrajo.
Nell’esperienza resistenziale Cassola ritrovò il diretto contatto con la realtà del popolo alla quale si era accostato attraverso la balia Anna e che divenne di lì a poco materia dei primi romanzi: «L’incontro più memorabile della mia vita l’ho fatto durante la Resistenza con gli operai. Si consideravano infatti tali gli alabastrai di Volterra impegnati nella Resistenza […] Ci affratellava il pericolo. Correvamo gli stessi rischi […]. Diventai specialmente amico di due di loro, soprannominati Ciaba e Lidori. Ne ho parlato nei miei romanzi e racconti. Ho chiamato Ciaba [Nello Bardini] Baba, mentre all’altro ho conservato il soprannome» (Una ragazza del popolo, cit., pp. 7 s.).
Tra il 1944 e il 1945 gli interessi extraculturali finirono per prendere in Cassola il sopravvento su quelli letterari: esclusivamente dedito alla politica, ottenne la vicedirezione, e direzione, di giornali antifascisti a Volterra, dove era sfollato. Dopo avere tenuto qui (dal novembre 1944 al 19 settembre 1945) la cattedra di storia al liceo classico, nonché di italiano e storia all’istituto tecnico commerciale (di cui fu anche preside), si stabilì nel 1945 a Firenze per svolgervi attività giornalistica e collaborare con articoli e raccontini alla Nazione del Popolo (organo del Comitato toscano di liberazione), L’Italia socialista, Il Giornale del mattino e Il Mondo di Bonsanti.
Nel 1946 fu tra i promotori dell’appello Gli intellettuali italiani per la Repubblica con cui si chiedeva l’abolizione dell’istituto monarchico. Le sue dimissioni in quell’anno dal Partito d’Azione vennero a segnare un allontanamento dalla politica a vantaggio della ripresa dell’attività meramente letteraria, per un senso di «fallimento della Resistenza» (Conversazione su una cultura compromessa, a cura di A. Cardella, Palermo 1977, p. 40) e la disapprovazione della «spaventosa confusione tra letteratura, cultura e politica, alla cui insegna si inaugurò il dopoguerra letterario» (lettera inedita, in data 8 febbraio 1966, a Montanelli: Andreini, Cronologia, 2007, p. LXXXVII). Scrisse i racconti Baba e Rosa Gagliardi (il primo pubblicato immediatamente su Il Mondo di Firenze, il secondo dieci anni più tardi in Botteghe oscure) e, nel biennio successivo, gli inediti Le amiche e Vacanze a San Ginesio. Come insegnante, ottenne la cattedra di storia e filosofia al liceo scientifico di Grosseto e vi trasferì la residenza, lasciando Firenze e la redazione de La Nazione del popolo.
A sconvolgere Cassola giunse però, il 23 marzo 1949, una grave disgrazia: la moglie Rosa morì a Firenze per un attacco renale, all’età di 31 anni. Divenne espressione del lutto il racconto Il taglio del bosco portato allora a conclusione: «Doveva essere semplicemente il racconto di un taglio del bosco […]. Non so perché, avevo messo che Guglielmo era vedovo. Ne avevo scritte 35 pagine […] per disperazione […] pensai di riprendere e finire quel racconto. Naturalmente lo trasformai, versandoci dentro il mio dolore. Ricordo che lo scrissi in pochi mesi, nel luglio. Nell’ottobre cominciai Fausto e Anna» (lettera inedita, in data 2 dicembre 1961, a Franco Fortini: Andreini, Cronologia, 2007, p. LXXXVII). Apparso nel 1950 in Paragone, il raccontò incontrò subito, oltre al favore della critica (lo recensì Geno Pampaloni, in Belfagor, VII [1952], 1, p. 125), quello del pubblico, preannunciando l’imminente conquista della notorietà.
Per lenire il dolore, rimanendo vicino alla tomba della giovane moglie, si fece trasferire come docente a Cecina, dove insegnò dal 1949 al 1951 nella sezione staccata del liceo scientifico di Livorno. Ma l’evento terribile generò nella sua scrittura un nuovo indirizzo, portandolo a ripudiare il passato e rendendolo «[…] un altro uomo. Anche un altro scrittore» (lettera inedita, in data 28 novembre 1961, a Franco Fortini: Andreini, Cronologia, 2007, p. LXXXVIII).
Il primo libro che scaturì dal rifiuto della vecchia poetica, il romanzo Fausto e Anna (Torino 1952: non a caso dedicato «Alla memoria della mia Rosa»), introdusse un’attenzione alla storia raccontando, insieme a una vicenda d’amore, l’autobiografica partecipazione alla Resistenza. Con il testo, Cassola concorse nel 1951 al premio Rizzoli per la pubblicazione di inediti, ma il romanzo, pur elogiato da Leone Piccioni, membro della giuria (La narrativa di Carlo Cassola, in ll Mattino dell'Italia centrale, 25 aprile 1951, p. 2) , fu rifiutato da alcuni editori, tra i quali Einaudi, che lo pubblicò però l’anno seguente.
Conosciuta nel frattempo Giuseppina Rabagli, Cassola chiese il trasferimento a Grosseto per convolare con lei a nuove nozze e si sposò il 14 novembre 1951 in quella città, dove tornò a insegnare storia e filosofia presso il liceo scientifico Guglielmo Marconi. Svolgeva intanto, da un anno, un’intensa attività pubblicistica, scrivendo articoli di orientamento azionista per Il Mondo di Pannunzio. Avviò anche una collaborazione politico-culturale con Luciano Bianciardi, incontrato precedentemente a Grosseto come bibliotecario della Biblioteca comunale, e si adoperò nel 1951 per diffondere nella provincia la lettura, attraverso il 'bibliobus' da lui ideato in base al principio che ‘se la gente non andava ai libri, sarebbero stati i libri ad andare alla gente’.
Nel 1952, nuovamente attratto dall’azione politica, fu tra i fondatori del Movimento di unità popolare capeggiato da Tristano Codignola, e riuscì a coinvolgervi Ferruccio Parri e Carlo Levi.
Intanto, l’apparizione nei «Gettoni» di Vittorini di Fausto e Anna, accolta con giudizi discordanti, provocò una polemica nella quale intervenne su Rinascita anche il segretario del Partito comunista italiano Palmiro Togliatti, accusando Cassola di aver vilipeso la Resistenza con una sua visione antieroica di cui nel romanzo si fa portavoce il protagonista. Amareggiato e in crisi sia politicamente sia letterariamente, Cassola fu invece allietato dalla nascita, il 27 settembre, della figlia Barbara.
Nel 1953 si impegnò attivamente – sempre con l’amico Bianciardi – nella campagna di Unità popolare per le elezioni del 7 giugno (opponendosi subito dopo alla sua confluenza nel Partito socialista), ma anche nella scrittura (pubblicò, ancora nei «Gettoni» di Vittorini, I vecchi compagni [Torino 1953], e iniziò altri racconti) e nel giornalismo (collaborando a Comunità e a Il Nuovo Corriere). Vide la luce in quell’anno, presso i Fratelli Fabbri (Milano), una raccolta di racconti con lo stesso titolo del fortunato Il taglio del bosco: la prima di tre sillogi omonime, di cui la seconda apparve poco più tardi, a Pisa nel 1955, per l’editore Nistri-Lischi, con il sottotitolo Venticinque racconti.
Nel 1954 chiuse la collaborazione con Il Mondo, in contrasto con l’orientamento terzaforzista di Pannunzio, per iniziare quella con Il Contemporaneo di Bilenchi, allo scopo di stimolare una critica costruttiva in seno al Partito comunista, cui si era avvicinato. Pubblicò anche un’inchiesta su I minatori maremmani, nella rivista Nuovi Argomenti, con Bianciardi, distaccandosi però da lui per dissidi ideologici e privati. Nell’autunno dell’anno seguente fece il suo primo viaggio all’estero: si recò in Cina con una delegazione di intellettuali e artisti (tra cui Fortini, Ernesto Treccani, Franco Antonicelli, Antonello Trombadori, Cesare Musatti e altri), e al ritorno ne scrisse sui giornali. Entrambe le esperienze giornalistiche confluirono in volume (I minatori della Maremma, cofirmato, per Laterza, Bari 1956; e il Viaggio in Cina, con disegni di Ernesto Treccani, per Feltrinelli, Milano 1956).
In quell’anno Cassola interruppe l’attività pubblicistica e lasciò Il Contemporaneo per discordia ideologica sulla valutazione dei lavori del congresso del Partito comunista sovietico, da lui seguiti commentando con gioia la nuova linea di critica al passato; confrontandosi con Bilenchi, Fortini e Trombadori, e auspicando una discussione libera all’interno del partito in Italia.
Si avvicinò allora al Partito socialista, nelle cui liste fu candidato a Grosseto, e partecipò in aprile alla campagna elettorale (per iscriversi al partito nel 1958, con la confluenza in esso della disciolta Unità popolare); in agosto pubblicò La casa di via Valadier (Torino) e, tra vari programmi letterari, riprese quello della continuazione di Fausto e Anna, alla quale pensava dal 1952.
Nel 1957 fu colpito da un nuovo lutto familiare: la figlia Nora, nata il 15 maggio già segnata da una malformazione congenita, morì a soli sei mesi. Dette alle stampe per i tipi Einaudi Un matrimonio del dopoguerra ma, non del tutto soddisfatto del rapporto con l’editore torinese, si accordò tramite l’amico Giorgio Bassani con Feltrinelli per la pubblicazione de Il soldato: il rimprovero di Einaudi fu immediato e il perdono chiuse poi l’incidente con la richiesta di limitare il ‘tradimento’ a una sola edizione. Il soldato uscì, in una nuova collana diretta dallo stesso Bassani per Feltrinelli (Milano 1958), e concorse allo Strega senza successo, conquistando invece il premio Salento ex aequo con Giuseppe Cassieri. Nello stesso anno, Cassola lesse con entusiasmo e commozione Il dottor Živago di Boris Pasternak, pubblicato anch’esso dall’editore milanese, e lo considerò il più bel romanzo del secolo: «[…] è veramente un messaggio di fiducia nella vita, nella poesia, nella Russia e nell’umanità intera» (lettera inedita, in data 30 gennaio 1958, a Bilenchi: Andreini, Cronologia, 2007, p. CII). Presso Einaudi apparve l’edizione riveduta di Fausto e Anna.
Nel 1959, alle prese con difficoltà economiche, Cassola stipulò con la casa torinese un contratto triennale che le riservava i diritti esclusivi delle sue opere e pattuiva come anticipo sui diritti d’autore una cifra mensile in cambio della consegna di almeno un libro all’anno. Si aggiudicò anche l’agognato riconoscimento di un premio, il Selezione Marzotto, con l’'omnibus' Il taglio del bosco (la terza silloge di racconti con questo titolo, stavolta einaudiana e accompagnata dal sottotitolo Racconti lunghi e romanzi brevi). Ma la vera fama arrivò l’anno successivo con il romanzo che aveva già iniziato a scrivere, La ragazza di Bube (Torino 1960): il 6 luglio 1960 fu incoronato vincitore del premio Strega, tra forti contrasti di cui si era già fatto portavoce Pier Paolo Pasolini (presentatore del concorrente Italo Calvino) con un attacco pronunciato il 27 giugno in forma di orazione shakespeariana, In morte del realismo (pubblicato in Paese sera), che accusava lo scrittore di tradimento nei confronti della poetica neorealista. Il successo vertiginoso delle vendite e la fortuna del romanzo – di cui Luigi Comencini acquistò i diritti prima della premiazione, per ricavarne l’omonimo film (che uscì nel 1963) – fecero scoppiare il caso del ‘vero Bube’, alla cui vicenda Cassola si era ispirato. Della scarcerazione di Renato Ciandri, ancora detenuto, Cassola si occupò, interessando alla sua causa quanti più amici possibile, e ottenendola il 22 dicembre 1961.
L’enorme popolarità del libro, che fece di Cassola uno dei massimi rappresentanti della stagione dei best-sellers, si estese dal 1961 anche all’estero, a partire dalla Francia, che in quell’anno accolse molto favorevolmente l’uscita della traduzione (di Philippe Jaccottett) di Fausto e Anna con l’introduzione Cassola ou la fidélité di Franco Fortini. Da allora in poi, iniziarono a fioccare numerosi i contratti per le traduzioni, anche dei romanzi precedenti, e si scatenò l’interesse dei giornali per la figura di Cassola, con interviste e servizi fotografici affidati alle agenzie più prestigiose. Inaugurò intanto, con la pubblicazione di Un cuore arido (Torino 1961) e il nuovo mutamento di rotta che il romanzo attuava, un’ulteriore svolta artistica: decise di ripristinare la poetica del suo passato più remoto, progettando il recupero e l’ampliamento alla dimensione di romanzo di vecchi scritti; e cominciò a realizzare il piano di lavoro, che prevedeva di lasciare immutato il titolo degli antichi raccontini, con Il cacciatore e Ferrovia locale.
Sull’onda del trionfo raggiunto e del conseguente fervore della scrittura, e grazie soprattutto all’imprevisto benessere economico, poté abbandonare nel 1962 l’insegnamento e vivere unicamente del suo lavoro di scrittore, consentendosi pure la costruzione di una casa a Marina di Castagneto. Tuttavia, proprio il favore del grande pubblico gli attirò anche accuse e strali: all’apice delle tirature e della crescente celebrità, fu attaccato dalla neoavanguardia, che lo tacciò di essere la nuova 'Liala del ’63' condannandone il successo commerciale (Giorgio Bassani assunse subito anche per se stesso, per sintonia e con solidarietà amichevole e contestatrice, la definizione dispregiativa: Andreini, 2007, p. XVIII). Dal 19 marzo 1963, Cassola tenne un Diario manoscritto, inedito, che si protrasse fino al 2 ottobre 1981 e risulta adibito al computo meticoloso delle traduzioni in molte lingue delle sue opere, ma anche a date e note di lavoro sulla loro redazione e ripulitura.
Nell’autunno del 1964 pubblicò da Einaudi Il cacciatore, mentre si dedicava alla stesura di altri testi (per es. Angela) e trattava con Alberto Mondadori il trasferimento di alcuni nelle sue collane. Nel 1965 La ragazza di Bube inaugurò infatti la serie degli autori italiani della neonata collana degli «Oscar» (preludendo alle future riprese, tra cui lo stesso Il cacciatore nel 1970; Fausto e Anna nel 1971; Ferrovia locale nel 1972) ed entrò nel circuito scolastico di Einaudi Il taglio del bosco. Tra i numerosi viaggi compiuti in questo periodo per conferenze in Italia e all’estero, soprattutto in Francia e Inghilterra, quello a Parigi del 1966 per un dibattito pubblico con alcuni esponenti del nouveau roman si risolse in scontro.
Da Einaudi continuò a pubblicare con la cadenza stabilita per contratto: nel 1966 Tempi memorabili; nel 1967 Storia di Ada; nel 1968 (anno di collaborazione stabile – protrattasi con discontinuità fino al 1973 – con il Corriere della sera per la rubrica «Fogli di diario», i cui interventi furono raccolti con titolo omonimo nel 1974 per Rizzoli) Ferrovia locale; nel 1969 Una relazione; nel 1970 (anno in cui fece un viaggio negli USA, raggiungendo Cancogni), Paura e tristezza, con cui ottenne il premio Napoli e poco dopo, nel 1971, uno Strega straordinario istituito in occasione dei 25 anni del premio.
Con Paura e tristezza Cassola chiuse definitivamente la terza fase della propria produzione. A marcare una cesura fu anche l’infarto avuto nel febbraio 1971: all’ospedale Gemelli di Roma, dove venne ricoverato, gli fu diagnosticata pure una malattia degenerativa. Subito dopo, andò a stabilirsi da solo – essendo ormai in crisi il matrimonio – a Marina di Castagneto e, stimolato dalle circostanze, si dedicò al riordino dei propri scritti, programmandone la sistemazione. Intanto, sfociarono in rottura i dissapori con Einaudi, che erano andati maturando nel tempo, e nel 1972 se ne separò per passare a Rizzoli. Nel 1973 pubblicò Monte Mario e, con Mario Luzi, Poesia e romanzo, mentre usciva per Mondadori il «Meridiano» da lui curato delle opere di Thomas Hardy (sul quale ebbe il merito di ridestare l’attenzione). Nel 1974 sempre Rizzoli fu l'editore di Gisella.
Ad aprire una nuova fase contribuì anche l’incontro, avvenuto nel 1974 a Pescia durante la partecipazione al convegno su Collodi, con una ragazza del luogo, Pola Natali, che rasserenò da allora la sua vita e poté sposare soltanto nel 1986. Con lei si trasferì nel 1978 a Montecarlo di Lucca, realizzando un antico desiderio espresso in passato a Cancogni: «[…] il mio rifugio finale sarà una casa in campagna» (lettera inedita, in data 2 ottobre 1959: Andreini, Cronologia, 2007, p. CXXVII).
Nel voltare pagina, rinacque in lui l’idea di una cultura impegnata: «Una letteratura problematica – aveva scritto qualche anno prima a Fortini –, una letteratura d’indagine, è ormai la sola che m’interessi […] sono pronto a rimettere tutto in discussione. Ed è bene che sia così» (lettera inedita, datata 12 gennaio 1970: ibid., p. CXVI). Su tale slancio, concepì nel 1975 un settimanale di discussione politica non di tendenza e contattò, per coinvolgerli nella proposta, Fortini (con cui venne meno la consueta intesa a causa del rifiuto a condividere il progetto), Pasolini, Cancogni, Caproni, Calvino, oltre ad Alberto Moravia, Francesco Leonetti, Enzo Enriques Agnoletti, Cesare Garboli, Giovanni Testori, Leonardo Sciascia, Alessandro Parronchi e altri.
Si dedicò, inoltre, alla riflessione saggistica, consegnando la sua posizione ad alcuni libri (tra cui uscirono per Rizzoli Il gigante cieco e L’ultima frontiera, nel 1976), ma si espose anche con l’azione politica. Partecipò su invito, nel novembre 1976, al XVII congresso del Partito radicale (PR), dove pronunciò l’intervento Per il disarmo unilaterale dell’Italia; l’anno successivo fondò la Lega per il disarmo, assumendone la presidenza, e si impegnò con conferenze e dibattiti in una campagna per sensibilizzare l’opinione pubblica sulla difesa della vita e la non violenza.
Il successo letterario non venne frattanto meno, con il riconoscimento di nuovi premi: vinse nel 1976 il Bancarella con L’antagonista (Milano), apparso in quell’anno, e nel 1978 il Bagutta con L’uomo e il cane (ibid.), uscito l’anno precedente.
Nel 1978, collaborò con frequenza a La Stampa (fino al 1980) e tenne a Firenze, il 30 aprile, il congresso per la costituzione ufficiale della Lega per il disarmo unilaterale dell’Italia (che di lì a un anno si fuse con la Lega socialista dei radicali di Francesco Rutelli). Il mancato sostegno di Cancogni alla proposta di disarmo e il parere negativo da lui espresso a Rizzoli sul romanzo Ferragosto di morte segnarono la fine della loro amicizia.
La vena narrativa di Cassola, non inariditasi anzi straripante, attinse ispirazione in quest’ultima fase dai temi agitati politicamente e dall’amore per gli animali al quale si era aperto attraverso Pola. Li intrecciò nella trilogia atomico-apocalittica avviata nel 1978 con Rizzoli da Il superstite (o da Il paradiso degli animali, a voler considerare l’insieme una quadrilogia): storie del progressivo spegnersi della vita nel mondo, fino alla sua totale estinzione. Altri testi del ciclo (Il mondo senza nessuno del 1978, e Ferragosto di morte del 1980) videro la luce presso l’editore Ciminiera per i contrasti che stavano ormai allontanando Cassola anche da Rizzoli.
Le ultimissime pubblicazioni affiancarono infine ai due editori, con smilzi testi, Pananti. All’intensa operosità narrativa venne a intrecciarsi fino all’ultimo un’altrettanto instancabile attività pubblicistica: Cassola diresse nel 1980, con Rutelli, L’asino, nei sette mesi della sua breve vita e, in rotta con il Corriere della sera, avviò nel 1984 una collaborazione con Paese sera.
Morì il 29 gennaio 1987, a Montecarlo di Lucca, per un collasso cardiocircolatorio.
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