COCCIA, Carlo
Nacque a Napoli il 14 apr. 1782 da Nicolò, violinista di talento nonché stimato insegnante presso il conservatorio napoletano di S. Maria di Loreto.
Il C. crebbe in un ambiente che, ricco di stimoli musicali, indubbiamente favorì la sua peraltro naturale inclinazione artistica; questa ben presto ebbe il sopravvento sulla volontà del padre di avviarlo agli studi scientifici e alla carriera d'architetto. Convintosi infatti delle spiccate doti musicali del figlio, Nicolò lo affidò giovanissimo alle cure di un tal Visocchi, modesto maestro d'armonia: dopo aver continuato per qualche tempo gli studi musicali sotto la guida di P. Casella, nel 1790 il C. entrò al conservatorio di S. Maria di Loreto, dove si perfezionò in composizione con F. Fenaroli e nello studio del canto con S. Valente. I risultati raggiunti furono tali che a soli tredici anni il C. poté esordire componendo una Serenata, una Cantata, alcuni solfeggi e un Capriccio per cembalo (Carotti, 1873, p. 8); mentre, per quanto riguarda il canto, dallo studio del quale sarebbe derivata in larga misura quella chiarezza e facilità di scrittura delle parti vocali caratteristiche di tante opere sue, v'è da dire che ben presto la sua presenza come cantore venne sempre più spesso richiesta nelle chiese di Napoli, in occasione di funzioni religiose.
Fu però Giovanni Paisiello che, più di ogni altro, contribuì alla formazione e alla evoluzione artistica del C., rivelandosi per questo non soltanto un ottimo maestro ma anche e soprattutto un amico sincero e affezionato. Fu Paisiello, infatti, a introdurlo in qualità di maestro di musica presso le più illustri famiglie napoletane e ad adoperarsi perché fosse nominato accompagnatore al pianoforte della "musica particolare" del re Giuseppe Bonaparte (1806-1808).
Nei primi anni dell'Ottocento la fama del C. si era estesa a tal punto che gli venne rivolto l'invito a scrivere un lavoro per il teatro Valle di Roma: compito che egli affrontò con grande disinvoltura poiché - come scriveva il Fedeli riportando un giudizio di un amico intimo del C., l'avv. Caire - il C. possedeva "una facilità sbalorditiva nel comporre estemporaneamente qualunque genere di musica. Le idee, lo svolgimento, e perfino la disposizione strumentale d'un pezzo uscivano dalla sua mente in modo integro: egli scriveva correntemente con chiara grafia, senza correzioni, senza pentimenti..." (p. 711). L'opera commissionatagli appunto nel 1807 prese il titolo di Il matrimonio per lettera di cambio: di genere buffo, venne composta dal C. sull'omonimo libretto ("burletta per musica in due atti") di G. Checcherini (o Ceccherini), il quale, a sua volta, si era rifatto ad una commedia in cinque atti di C. Federici intitolata La cambiale di matrimonio, che fu anche la fonte di un libretto di G. Rossi per un'opera musicata nel 1810 da G. Rossini.
L'azione, come si desume dal libretto pubblicato a Roma nell'autunno dell'anno 1807 (attualmente conservato nella Bibl. del Civ. Museo G. B. Martini di Bologna: 1168) in occasione della prima rappresentazione dell'opera, era ambientata ad Amsterdam; i primi interpreti furono F. Checcherini, moglie del librettista, nel ruolo di Carlina, N. Tacchinardi, F. Festa, F. Spada, A. Bartolucci, N. De Grecis e D. Bertozzi.
La fredda accoglienza riscossa da questa sua prima fatica teatrale amareggiò molto il C., che sembrò quasi sul punto di abbandonare la carriera operistica, venendone fermamente dissuaso dal deciso incoraggiamento di Paisiello, che gli cedette il contratto per un'opera da eseguirsi al teatro S. Moisè di Venezia. Rincuorato, il C. scrisse la partitura de Il poeta fortunato ossia Tutto il mal vien dal mantello: melodramma giocoso in due atti rappresentato - secondo il Carotti (p. 8) - per la prima volta nell'estate del 1808 al teatro Nuovo di Firenze, mentre nel libretto, stampato a Firenze e conservato presso la Biblioteca del Civico Museo bibliogr. musicale di Bologna (1199), si legge che l'opera doveva "rappresentarsi a Firenze nell'Imperial Teatro degl'Intrepidi nella primavera dell'anno 1808" (cfr. Sesini, p. 128).
Salutato da un caldo successo di pubblico e di critica, questo lavoro venne seguito ben presto da altre due opere buffe, andate entrambe in scena nel carnevale del 1809: L'equivoco ossia Le vicende di Martinaccio (libretto in 2 atti di G. Gasbarri, rappresentata al teatro Marsigli-Rossi di Bologna) e Voglia di dote e non di moglie (libretto in un atto del conte Francesco Aventi, presentata al teatro Comunale di Ferrara). Da notarsi che, in occasione della seconda replica di quest'ultima opera, uno degli interpreti (il buffo Lipparini) si ammalò e venne sostituito dallo stesso C., che rivelò ancora una volta indiscutibili qualità anche nelle vesti di cantante.
Dopo la farsa in un atto La verità nella bugia (libretto di G. M. Foppa), eseguita con successo al teatro S. Moisè di Venezia nell'autunno di quello stesso 1809, il C. sembrò propendere verso l'elaborazione di quelle opere di carattere "semiserio" (genere codificato dal Paisiello, nel quale elementi comici si combinavano con elementi patetici) che gli fecero conquistare largo apprezzamento e stima non solo in Italia ma anche all'estero. La Matilde (dramma eroico su libretto di G. M. Foppa), venne rappresentata durante il carnevale del 1810 al teatro Giustiniani di S. Moisè di Venezia e successivamente ripresa con il nuovo titolo di Amore e dovere,ossia Una fatale supposizione al teatro del Fondo di Napoli nel 1811; venne quindi eseguita - con il titolo originale - a Firenze nel "Regio Teatro di Via della Pergola la primavera del 1814" e, il 3 ottobre dello stesso anno, a Bologna in occasione dell'inaugurazione del "nuovo Teatro Contavalli"; e infine, nella primavera del 1822, sulle scene del teatro Imperiale di Lubiana.
Sempre di genere semiserio furono altre due opere scritte per il teatro S. Moisè di Venezia: I solitari (melodramma di sentimento su libretto di G. Rossi, autunno 1810) e Arrighetto (libretto di A. Anelli, autunno 1812). Sempre del 1812 è invece un'opera seria in due atti (libretto di L. Previtali), rappresentata al teatro La Fenice di Venezia con il titolo Il sogno verificato. All'estate del 1813 (e, per l'esattezza, il 24 giugno) risale l'allestimento de La donna selvaggia (dramma eroicomico in 2 atti, libr. di G. M. Foppa), che, dopo la prima rappresentazione veneziana al teatro S. Benedetto, venne successivamente eseguita nel carnevale del 1814 al teatro Obizzi di Padova (con il titolo La selvaggia), quindi alla Scala di Milano (autunno 1815) insieme alla rossiniana Italiana in Algeri e infine - con nuovi pezzi aggiunti - al teatro Nuovo di Napoli nel 1819, al teatro S. Cruz di Barcellona nella stagione 1819-20 e al teatro S. Carlos di Lisbona nel dicembre 1820.
Di nuovo, due farse in 2 atti, entrambe su libretto di G. Rossi: Il crescendo (Venezia, teatro S. Moisè, carnevale 1813-14) e I begli usi di città, espressamente composta per la Scala di Milano, dove fu eseguita con esito non felice nell'ottobre del 1815, all'indomani cioè dell'ottimo successo (testimoniato da venticinque repliche) della Donna selvaggia. Tra le due farse, registriamo ben cinque opere di genere serio o semiserio: la Carlotta e Werther (dramma in tre atti, libretto G. Gasbarri: Firenze, teatro degli Accademici Infuocati di via del Cocomero, autunno 1814); Evelina o Evellina (melodramma eroico in 2 atti, libretto G. Rossi: Milano, teatro Re in S. Salvatore, carnevale 1815; replicata al teatro di via della Pergola di Firenze nel carnevale 1817 e alla Fenice di Venezia nel carnevale 1818); Euristea o l'amore generoso (dramma in 2 atti, libretto G. M. Foppa: Venezia, teatro La Fenice, 21 genn. 1815); Medea e Giasone (dramma in 3 atti, libretto di anonimo: Torino, teatro Regio, carnevale 1815); infine la Clotilde (melodramma semiserio in 2 atti, libretto G. Rossi: Venezia, teatro S. Gallo a S. Benedetto, 8 giugno 1815; rappresentata con il titolo La foresta d'Hermannstadt anche al teatro Carignano di Torino il 30 agosto 1817).
Quest'ultima opera, se si eccettua l'accoglienza piuttosto fredda riservatale al Théâtre-Italien di Parigi nel maggio del 1821, riscosse un grande successo e un gran numero di repliche (presso la Biblioteca del Civ. Museo bibliogr. musicale di Bologna sono conservate quindici copie diverse del libretto, pubblicate in occasione delle rappresentazioni avvenute nei più importanti teatri italiani), occupa un posto di particolare rilievo nella produzione melodrammatica del Coccia. Nella Clotilde, infatti, egli - seguendo il modello di S. Mayr - non solo conferisce nuovamente al coro una funzione essenziale dell'azione drammatica, ma rivela altresì una maestria tecnica e una espressività certamente non inferiore - come venne rilevato dalle critiche del tempo - a quella del suo grande contemporaneo G. Rossini.
Continuatore della tradizione operistica napoletana, ricca di ritmi vivaci e brillanti, di melodie spontanee, di una liricità naturale ma anche di elementi belcantistici, il C. avrebbe potuto essere - è stato detto - "il successore di Cimarosa e di Paisiello, se il genio gigante di G. Rossini non fosse venuto a rivoluzionare il mondo musicale..." (V. Fedeli, p. 712). Benché la personalità del C., insieme a quella di altri degni musicisti del tempo, risultasse schiacciata dalla presenza del compositore pesarese, è indubbio che egli fu tra i primi a riconoscere la grandezza di Rossini e a nutrire sempre nei suoi confronti una profonda e sincera ammirazione. Si narra per es. che, udita a Venezia nel 1812 la terza opera rossiniana (L'inganno felice) e indignato per le affermazioni del Perotti, maestro di cappella di S. Marco, che la giudicava un'opera comunissima e infantile, così gli rispose: "Sarà comunissima l'opera, come voi dite, ma andate franco che questo ragazzo ci metterà a dormire quanti siamo, e presto" (V. Fedeli, p. 712). Al C., rivelatosi in questo caso ottimo profeta, è stato rimproverato di essersi fatto troppo influenzare da certe intuizioni geniali e certi spunti stilistici innovatori di Rossini, sacrificando in parte tratti genuinamente originali della sua personalità artistica: in effetti, gli va riconosciuto il merito di aver saputo sempre conservare un suo spazio creativo e di essersi costantemente mantenuto fedele al principio della massima adesione della musica al significato delle parole.
Sono questi gli elementi stilistici più caratteristici che si ritrovano in opere come Rinaldo d'Asti (dramma buffo in 2 atti, libretto J. Ferretti: Roma, teatro Valle, 17 febbr. 1816), Etelinda (melodramma semiserio in 2 atti, libretto G. Rossi: Venezia, teatro S. Gallo a San Benedetto, 26 giugno 1816), Faiello (dramma tragico in 2 atti, libretto anonimo: Firenze, teatro degl'Infuocati, autunno 1817; rappresentata nuovamente, con qualche modifica, al Nuovo di Trieste nell'autunno 1818 con il titolo Gabriella di Vergy e, successivamente, a Firenze nel 1819 con il titolo Fayel).
Sempre di quegli anni sono anche le opere Donna Caritea,regina di Spagna (dramma tragico in 2 atti, libretto anonimo secondo il Carotti, o di C. Pola secondo il Manferrari: Genova, teatro S. Agostino, 7 genn. 1818) e Claudina in Torino (opera semiseria in 2 atti, libretto G. M. Foppa: Venezia, teatro S. Moisè, carnevale 1817 e Roma, teatro Valle, 13 sett. 1817). Nello stesso periodo compose le cantate La vera gloria, eseguita per la prima volta a Padova nel 1817, e La fedeltà in onore dell'imperatore Francesco I, al teatro Grande di Trieste nel 1819. Precedentemente sono da segnalare la cantata per la nascita del re di Roma (Treviso, Società del Casino, 1811) e una grande cantata per l'ingresso degli alleati a Parigi (Padova, teatro Grande, 1814).
Dal 1820 il C. cominciò a viaggiare per l'Europa, stabilendosi dapprima a Lisbona e successivamente a Londra. In Portogallo egli rimase tre anni, presentando in occasione del genetliaco dello (assente) re Giovanni VI il dramma in 3 atti Atar (libretto F. Romani, già musicato nel 1814 dal Meyr: Lisbona, teatro S. Carlos, carnevale 1820) e La festa della rosa (opera buffa in 2 atti, libretto G. Rossi: ibid., 21 ag. 1821; rappresentata successivamente a Madrid, teatro del Principe, 30 dic. 1822, e al teatro Nuovo "de' quattro Ill. Sig. Cavalieri Compadroni" di Pavia nel carnevale 1825): opera, quest'ultima, che ripeté il successo ottenuto da I Lusitani, cantata a più voci con grande orchestra, e da tre brani militari composti per festeggiare il ritorno a Lisbona del re Giovanni di Portogallo.
Nel 1822 fu la volta di Mandane,regina di Persia (opera seria in 2 atti, libretto F. Romanelli), rappresentata a Lisbona nell'ormai "suo" teatro S. Carlos. Nello stesso teatro, ma l'anno successivo, venne rappresentata l'opera Elena e Costantino (dramma semiserio in 2 atti, libretto A. L. Tottola, 6 febbr. 1823) con la quale il C. si congedò dal pubblico portoghese prima di trasferirsi in Inghilterra, anche se molti anni dopo, nel 1836, vi avrebbe fatto eseguire una delle sue ultime fatiche teatrali, la Caterina di Guisa.
A Londra, nel gennaio del 1824, il C. venne nominato "direttore di musica" del King's Theatre e ottenne, inoltre, l'incarico di maestro di armonia e di canto presso la Royal Academy of Music. Durante la sua permanenza in Inghilterra compose anche Maria Stuarda (opera seria in 3 atti, libretto P. Giannone: Londra, King's Theatre 7 giugno 1827), protagonista della quale fu la celeberrima soprano Giuditta Pasta.
Mosso dalla nostalgia, nel 1828 fece ritorno in Italia dove, a partire da quello stesso anno, vennero rappresentati gli ultimi suoi lavori operistici e cioè: L'orfano della Selva (melodramma comico in 2 atti, libretto G. Rossi: Milano, teatro alla Scala, 15 nov. 1828; replicato in seguito a Napoli, teatro del Fondo, dicembre 1829; Venezia, teatro di S. Luca, autunno 1832 e ancora a Milano, teatro alla Canobbiana, primavera 1834) e la Rosmunda d'Inghilterra (opera seria in 3 atti, libretto F. Romani, musicato anche da Donizetti nel 1834: Venezia, teatro La Fenice, carnevale 1829), che ebbe come protagonista Giuditta Grisi affiancata da G. B. Vergè, C. Corradi Pantanelli, C. Ottolini Porto, M. Brambilla e R. Pocchini Cavalieri. Dopo una pausa di due anni troviamo l'Edoardo Stuard,re in Scozia (dramma in 2 atti, libretto D. Gilardoni: Napoli, teatro S. Carlo, maggio 1831; replicata successivamente al Comunale di Bologna nell'autunno 1833 con grande ballo tragico intitolato Virginia) e, ancora con la Grisi, Enrico di Montfort (melodramma in 2 atti, libretto G. Rossi: Milano, teatro alla Scala, 12 nov. 1831).
Con la Caterina di Guisa (melodramma in 2 atti, libr. di F. Romani che si era rifatto ad un dramma di Dumas intitolato Enrico III e la sua corte), rappresentata alla Scala di Milano il 14 febbr. 1833 con straordinario successo, confermato da diciassette repliche, il C. raggiunse uno dei risultati più alti nel genere serio, facendosi apprezzare per una notevole libertà formale, per il raffinato, lirismo di certi pezzi vocali, per l'originalità della strumentazione e per la sapiente fusione di elementi a carattere contrastante.
Già in occasione di una replica di questa opera nel 1836 il Romani, librettista tra i più colti del tempo, esprimeva in questi termini il suo giudizio nella Gazzetta piemontese (18giugno 1836): "Pocheopere conosco io dove la musica sia tanto fedele alla parola, il canto così drammatico, i caratteri così ben definiti, gli affetti espressi con tanta evidenza. C'ha la mestizia con le sue dolci querele, l'amore infelice con i suoi repressi sospiri ...: avvi in una parola tutta la patetica maestà della tragedia. La sola introduzione rivela l'ingegno, non che la filosofia del maestro, e un artifizio che ben pochi dopo l'Haydn e il Mozart seppero adoperare con lode" (cfr. M. Rinaldi, pp. 292 s.). Giudizio confermato anche ai giorni nostri da uno studioso attento come G. Carli Baliola che definisce quest'opera: "...tra le cose più ragguardevoli apparse sulle scene italiane dopo il silenzio di Rossini e sul tracciato aperto da Norma e Anna Bolena, delle quali il Coccia, prima ancora di Mercadante, avverte la novità e mette a frutto l'insegnamento. Notevole è infatti in quest'opera l'emancipazione dalle più stereotipe formule rossiniane e la sensibilizzazione verso un fare concitato..." (Storia dell'Opera, I, 2, p. 407).
Successivamente alla Caterina di Guisa vennero rappresentate al teatro S. Carlo di Napoli La figlia dell'arciere (melodramma tragico in 3 atti, libretto F. Romani per i primi due atti, e G. M. Marini per il terzo atto: 12 genn. 1834) e Marfa o Marsa (melodramma in 2 atti, libretto G. E. Bidera, carnevale 1835).
Il 18 ag. 1836 il C. venne chiamato a dirigere, sostituendo nell'incarico G. Riccardi, l'Accademia filarmonica di Torino che, sotto la sua guida, riuscì a raggiungere un livello artistico ed una qualità d'insegnamenti per nulla inferiore a quella di più illustri conservatori come, ad esempio, quelli di Milano e di Napoli. Nel frattempo, giunto ormai per scelta personale quasi al termine della sua carriera operistica, il C. compose due opere serie per la Scala di Milano, che vennero rappresentate rispettivamente il 6 marzo 1838 e il 12 marzo 1840: La solitaria delle Asturie o sia La Spagna ricuperata (melodramma in 2 atti, libretto F. Romani), giudicata generalmente una delle sue opere più riuscite, e Giovanna II,regina di Napoli (melodramma in 2 atti, libretto G. Rossi), partitura invece non all'altezza della sua fama.
Ultima opera composta dal C. fu Il lago delle fate (melodramma in 4 atti, libretto F. Romani), rappresentata al teatro Regio di Torino il 6 febbr. 1841; nel Manferrari (p. 262) è citato inoltre un Aureliano in Palmira il cui spartito - conservato presso la Biblioteca del Civ. Museo bibliogr. mus. di Bologna - non porta alcuna indicazione né dell'autore del libretto né di eventuali rappresentazioni dell'opera.
Chiamato nel 1840 dal capitolo della cattedrale di Novara a ricoprire l'incarico - che era stato lasciato vacante da S. Mercadante trasferitosi a Napoli - di maestro compositore e direttore di cappella nella cattedrale di quella città, il C. vi si trasferì portando ben presto la cappella novarese a grandissima rinomanza. Amareggiato forse dall'esito mediocre della Giovanna II e dall'ingiusta ostilità manifestatasi nei confronti de Il lago delle fate, decise di abbandonare le scene per dedicarsi esclusivamente - in conformità anche ai suoi nuovi compiti - alla musica religiosa: la nostalgia per il teatro lo accompagnò però ancora a lungo, anche se molti anni più tardi (nel 1852) seppe resistere alla tentazione di accettare l'invito rivoltogli perché componesse un'opera per uno dei maggiori impresari del Lombardo-Veneto.
I restanti trentadue anni della sua vita, trascorsi a Novara, dove fu anche "censore" (l'attuale direttore) del Civico Istituto musicale Brera nel quale insegnò contrappunto e composizione, lo videro circondato dalla stima e dall'ammirazione generale per l'attività artistica e la personalità umana. "Il Coccia fu uomo... di mente aperta, di carattere vivace ed allegro, quantunque sovente amasse la solitudine ed il ritiro, di cuore ottimo, di modi schiettissimi" -scriveva il Carotti (p. 20); mentre il Fedeli lo descrive con queste parole: "Di modi semplici e affabili, a novant'anni era ancor fresco ed arzillo come un giovinotto, ed era piacevolmente loquace ed arguto nella conversazione che infiorava assai spesso con un caratteristico e noto intercalare napoletano tutt'altro che parlamentare..." (p. 713). Negli ultimi anni venne insignito del grado di ufficiale mauriziano e, più tardi, di quello di commendatore dello stesso Ordine e di ufficiale della Corona d'Italia.
Morì a Novara, dopo breve malattia, all'alba del 13 aprile 1873: in quello stesso anno venne intitolato al suo nome il teatro della città.
Del centinaio circa di composizioni vocali e strumentali di genere sacro composte dal C. "in uno stile che risente, naturalmente, delle forme teatrali allora predominanti, ma che pur contiene pregi d'inspirazione, di espressione e di tecnica..." (V. Fedeli, p. 712), ricordiamo: ventisei messe (tra queste, la Messa per l'Assunta del 1841 con una singolare strumentazione affidata, ad arpe, fagotti, corni, violoncelli e contrabbassi; la Messa di Requiem a quattro voci e grande orchestra, composta nel 1849 "per le esequie all'anima del magnanimo re Carlo Alberto, eseguita nell'insigne basilica di S. Gaudenzio in Novara...": cfr. Gaspari, II, p. 58), ed altre per organo solo ovvero organo ed accompagnamento strumentale); sedici mottetti (tra cui un Salve Regina, per tenore e coro, con organo e grande orch. del 1845; un Tota Pulchra per l'Immacolata Concezione, a 4 voci, per organo e orchestra del 1855; un inno a S. Michele, Te splendor et virtus patris, per basso e coro con organo, scritto nel 1864), diciotto vespri (notevoli il Magnificat ed il Laudate pueri, per organo e orchestra scritti per l'Assunta nel 1844), diciassette Tantum Ergo, tre Miserere, un Te Deum, uno Stabat Mater a 4 voci con organo, centotrentuno salmi e sei altri pezzi di carattere vario.
Fonti e Bibl.: Un'occhiata all'I. R. Teatro alla Scala nel carnevale del 1833,o piuttosto due parole sulla "Caterina di Guisa", nuova musica del maestro C., osservazioni di D. B. S., Milano 1933; G. Carotti, Biografia di C. C., Torino 1873 (ristampa, a cura di C. Marocco, Asti 1929); F. Florimo, Storia della scuola music. di Napoli, II, Napoli 1881, pp. 453 ss.; O. Chilesotti, I nostri maestri del passato, Milano 1883, pp. 342 ss.; C. Ricci, I teatri di Bologna, Bologna 1888, p. 416; G. Gaspari, Catal. della bibl. del Liceo mus. di Bologna, II, Bologna 1892, pp. 58, 203; Musicisti contemp. italiani giudicati da A. Bazzini, in Riv. music. ital., V (1898), p. 144; V. Fedeli, Lettere di musicisti ital., ibid., XIX (1912), pp. 711 ss.; G. Pavan, Teatri mus. venez., in Ateneo veneto, XXXIX (1916), 1, p. 268; 2, pp. 72 s., 75 s., 185; G. B. Katschthaler, St. della musica sacra, Torino 1926, p. 290; A. Locwenberg, Annals of Opera, I, Genève 1955, col. 640; U. Sesini, Catal. della Bibl. del Liceo mus. di Bologna, V, Libretti d'opera in musica, Bologna 1943, pp. 125 ss., D. Rigotti, Operista Fortunato, in La Scala (Milano), febbr. 1925, pp. 25 ss.; F. De Filippis-R. Arnese, Cronache del teatro S. Carlo (1737-1960), I, Napoli 1961, pp. 60 s., 67 s., 70 s., 145; C. Gatti, Il Teatro alla Scala, II, Milano 1963, pp. 60, 75, 78, 93 s., 113; M. Rinaldi, F. Romani. Dal melodramma classico al melodramma romantico, Roma 1965, pp. 117, 220 s., 291 ss., 313 s., 377 s.; L. Rognoni, Rossini, Torino 1968, p. 14; V. Viviani, Storia del teatro napoletano, Napoli 1969, pp. 448, 478; A. Caselli, Catalogo delle opere liriche pubblicate in Italia, Firenze 1969, pp. 116 ss.; G. Pestelli, La fortuna di Beethoven nella vita musicale di ieri, in Nuova Riv. music. ital., IV (1970), 6, p. 1026; C. Gabanizza, Beethoven a Genova nell'Ottocento,ibid., VI (1972), 3, p. 342; A. Cassi Ramelli, Libretti e librettisti, Milano 1973, passim; F. Cacaci, La cambiale di matrimonio da Federici a Rossi, in Bollett. del Centro rossiniano di studi (Pesaro), 1975, nn. 1-2, pp. 24 ss.; V. Terenzio, La musica ital. nell'Ottocento, Milano 1976, pp. 35 s.; Storia dell'Opera, a cura di A. Basso, Torino 1977, I, 2, pp. 406 s.; III, 1, pp. 340, 366; III, 2, pp. 177, 184, 195; F.-J. Fétis, Biogr. univ. des musiciens, II, pp. 326 ss.; suppl. I, p. 188; Cyclopedia of Music and Musicians, New York 1888 pp. 336 s.; Encycl. de la Musique et dict. du conserv., Paris 1913, pp. 861 s.; C. Schmidi, Diz. univ. dei music., I, p. 354 e suppl., p. 203; U. Manferrari, Diz. univ. delle opere melodrammatiche, I, Firenze 1954, pp. 259 ss.; Enc. dello Spett., II, coll. 1008 ss.; Grove's Dict. of music and musicians, II, p. 360; La Musica. Diz., I, p. 417; M. Honegger, Dict. de la musique, I, Paris 1970, p. 220; Encicl. della Musica Rizzoli-Ricordi, II, p. 138; Die Musik in Geschichte und Gegenwart, XV, Suppl., coll. 1525 s.; New Grove Dict., s. v.