COCCORESE, Carlo
Di origine presumibilmente napoletana - a giudicare dal cognome - il giovane C. entrò nella Real Fabbrica della porcellana, aperta da Carlo di Borbone a Capodimonte, nel luglio 1745, con la qualifica di pittore (Minieri Riccio, Gli artefici... 1878, p. 276).
Da un rapporto dell'intendente della manifattura si possono conoscere l'entità e, all'incirca, il genere di lavoro eseguito dal C. a Capodimonte durante il 1745 (Minieri-Riccio, Delle porcellane ... 1878, pp. 364 s.). L'ingente numero di piattini, ciotole e chicchere, porta a dedurre che le porcellane decorate dal C. appartenessero a quel genere di produzione che viene detta "corrente". Tale teoria trova conferma nell'esame dei salari pagati nel 1755 ai componenti l'organico: dopo dieci anni di anzianità il suo nome figura solo nel gruppo di quei pittori che ricevono 9 ducati (Minieri Riccio, Gli artefici..., p. 287), modesto "soldo" superiore soltanto ai 3 ducati concessi ai giovanissimi.
Nell'autunno del 1759, quando Carlo di Borbone, ereditato il trono di Spagna, lasciò Napoli, il destino del C. era ancora legato alle sorti della fabbrica di Capodimonte, obbligato con l'intero organico a partire al seguito del sovrano. Ma egli non giunse mai a Madrid: costretto a fermarsi per ragioni di salute ad Alicante (ibid., p. 292) - difficile giudicare quanto fosse reale la sua malattia, dato che molti artefici tentarono l'impossibile per sottrarsi alla forzata partenza trovò modo di rientrare a Napoli nel 1760.
Tuttavia Napoli dal 1759, ossia dalla chiusura di Capodimonte fino al 1771, anno della apertura della Real Fabbrica Ferdinandea, non offriva lavoro per gli artefici della porcellana. A Roma, invece, Filippo Cuccomos otteneva proprio in quegli anni - precisamente nel 1761 - dalla Camera apostolica la privativa della produzione della porcellana, e il C. deve aver approfittato di tale occasione per farsi assumere nella nuova manifattura.
Per tutto l'Ottocento e fino agli anni '50 del Novecento, il ruolo sostenuto dal C. nella fabbrica Cuccomos è stato decisamente sopravvalutato: alcune figure di santi (forse proprio quelle che Cuccomos si era impegnato per contratto a consegnare annualmente alla Camera apostolica) eseguite da questa fabbrica, e siglate con due lettere "C" incrociate sormontate da corona, gli sono state attribuite come modellato, in base a tale firma. Tuttavia, da quando sotto una di queste figure religiose (della raccolta di villa Cagnola di Gazzada) in aggiunta al monogramma formato dalle due "C" coronate è stata individuata la scritta "Petrus Morigi fecit Romae 1769", tale attribuzione, che d'altra parte la corona rendeva alquanto dubbia, è definitivamente caduta e le doti artistiche del C. hanno subito di conseguenza un notevole ridimensionamento. D'altra parte i documenti giunti fino a noi non concordavano affatto con tali supposizioni ottocentesche. In essi il C., che pure amava inoltrare suppliche decantando le sue qualità di ceramista, non si è mai definito scultore. Le sue aspirazioni erano piuttosto indirizzate verso la qualifica di miniatore o di compositore degli impasti, ruolo ben più misterioso e pieno ancora di fascino "alchemico".
Da una sua richiesta inoltrata nel 1773 alla direzione della Real Fabbrica Ferdinandea, da poco attiva nella sua nuova sede a ridosso del palazzo reale di Napoli, veniamo a sapere che egli era stato fra i primi artefici assunti nella nuova fabbrica di Ferdinando di Borbone, che aveva lavorato come miniaturista, nella breve fase sperimentale di Portici, e che infine era stato licenziato alla morte del direttore Ricci. Nel 1777 il C. inoltrò un'altra richiesta per un posto di "pittore e mettitore d'oro", che ancora una volta non venne presa in considerazione dalla direzione (per entrambe le domande, vedi Minieri Riccio, Gliartefici... 1878, pp. 295, 301 s.). Infine, in data 13 luglio 1780. inoltrò sempre alla direzione della Real Fabbrica Ferdinandea, una supplica in cui, dopo aver riassunto la sua vita, dichiarava di ritrovarsi "senza impiego e senza soldo". E aggiungeva: "Il supplicante si esibisce di fare la vera e perfetta Porcellana, cioè la pasta, di lavorarla, di cuocerla e inverniciarla, pittarla a colori ed oro. Ed il primo saggio a sue proprie spese. Altro non desidera da Sua Maestà che la libertà di macinare a molini di Sua Maestà detta robba e di cuocerla a sue fornaci di detta Real Fabbrica di Porcellana". Fece seguito la decisa risposta negativa del direttore Venuti, il quale affermava di essersi pure assicurato "d'aver egli nella Fabbrica della Porcellana di Roma fatto simili sperimenti con sommo dispendio della Camera Apostolica senza ricavarne effetto". Ciò nonostante, nell'anno 1782, quando all'interno della Real Fabbrica Ferdinandea si diede inizio ad una piccola attività sperimentale per la produzione di "creta all'uso inglese" troviamo incluso nel "piano" il nome del C., seguito dalla qualifica di "stampatore" e assunto per soli 6 ducati al mese: è l'ultima notizia "certa" che lo riguarda (per le due suppliche ed il piano, Carola Perrotti, 1980).
Sull'attività effettivamente svolta dal C. dal 1772 in poi si potrebbe tuttavia formulare la supposizione che egli abbia lavorato presso le piccole fabbriche napoletane che producevano maiolica al "Ponte della Maddalena". Luigi Mosca riporta un discorso romano del professore Felice Barnabei nel quale si fa riferimento a un piatto in maiolica "dipinto nello stile di Abruzzo e portante la firma di Carlo Coccorese" (L. Mosca, Napoli e l'arte ceramica dal XIII al XX secolo [1908], Napoli 1963, p. 128). La notizia è vaga e di seconda mano, in aggiunta non viene specificato se la firma del piatto è costituita dal nome dell'artista scritto per esteso, o se si tratta di un monogramma interpretato come "Carlo Coccorese".
Altra notizia che concernerebbe l'attività del C. nell'ambito della produzione di maiolica è tramandata dal vecchio elenco del Museo civico "Gaetano Filangieri", di Napoli: fra gli oggetti andati poi distrutti durante la seconda guerra mondiale figuravano due "tondini" in maiolica, decorati con scene allegoriche, firmati - sembrerebbe - "Carlo Coccorese".
Infine al Museo Nazionale di S. Martino (Napoli) è conservata una placca in maiolica con il Sacrificio di Isacco firmata "Io Carlo Coccorese fecit 1731"; tale pezzo viene a confermare l'ipotesi che il C. abbia alternato l'attività di decoratore su porcellana con quella di "maiolicaro"; e anzi la sua data precoce suggerisce una priorità della seconda sulla prima.
Fonti e Bibl.: C. Minieri Riccio, Gli artefici ed i miniatori della Real Fabbrica della porcellana di Napoli. Memoria... 1878, in Atti dell'Acc. Pontaniana, XIII (1880), pp. 276, 287, 292, 295, 301 s.; Id., Delle porcellane della Real Fabbrica di Napoli,delle vendite fattene e delle loro tariffe. Memoria... 1878,ibid., pp. 364 s.; F. Stazzi, Capodimonte, Milano 1972, pp. 92, 102, 138, 139; A. Mottola Molfino, L'arte della porcellana in Italia, Busto Arsizio 1977, II, p. 53; A. Carola Perrotti, La porcellana della Real Fabbrica Ferdinandea, Cava dei Tirreni 1980, pp. 23, 68, 242.