COSTAMAGNA, Carlo
Nacque a Quiliano (Savona) il 24 sett. 1881 da Eligio e da Emma Perdusio. Laureatosi in giurisprudenza, entrò nella magistratura, arrivando fino al grado di consigliere della Corte di Cassazione. Fin dal 1920 aderì al movimento fascista, assumendovi una posizione di estrema intransigenza.
Insieme a S. Panunzio e C. Suckert, presentò nell'agosto del 1924 al Consiglio nazionale del partito la mozione per la "conquista dello Stato", approvata all'unanimità.
Collaboratore di M. Rocca nell'organizzazione dei "gruppi di competenza", poi ribattezzati "consigli tecnici nazionali", ne fu nominato segretario nazionale nel gennaio del 1924 ed intervenne ripetutamente presso Mussolini affinché tali organismi, sorti come emanazione del partito, divenissero "i nuclei di un nuovo sistema di rappresentanza politica a carattere corporativo" (A. Aquarone, Aspirazioni tecnocratiche del primo fascismo, in Nord e Sud, XI[1964], p. 125), composto di rappresentanti delle amministrazioni pubbliche, dei sindacati e di altre rilevanti istituzioni sociali, articolato a livello centrale e locale e dotato di esclusive competenze legislative "sulle materie di interesse aziendale e professionale" (cfr. ad es. Il problema dei Consigli tecnici, Roma 1924). Tali progetti incontrarono opposizioni sia da parte dei sindacati fascisti che dei "fiancheggiatori", mentre furono appoggiate dalla Critica fascista di Bottai; il C. continuò a perseguirli anche dopo la nomina della commissione Gentile per le riforme costituzionali, di cui divenne segretario nel gennaio del 1925, quando essa fu ricomposta ed allargata a diciotto membri. La relazione finale di maggioranza sui problemi corporativi, firmata da G. Arias, faceva riferimento alle sue precedenti proposte, ispirate ad un sistema pluralistico di sindacati, giuridicamente riconosciuti, ma dotati di funzioni politiche solo all'interno di organi rappresentativi a carattere misto. Ma nonostante la vivace campagna di stampa promossa dallo stesso C., in un momento che appariva decisivo per l'evoluzione del regime, la scelta di Mussolini cadde su una diversa soluzione: il patto di palazzo Vidoni fu un compromesso tra le esigenze imprenditoriali, le aspirazioni monopolistiche del sindacato rossoniano e il lucido progetto organicistico di Alfredo Rocco.
Nel 1926-27, il C. collaborò con quest'ultimo nella preparazione dell'importante legge sui rapporti collettivi di lavoro, del suo regolamento d'attuazione e della Carta del lavoro. Passò poi al ministero delle Corporazioni, partecipando all'ulteriore edificazione del sistema, sotto la guida di Giuseppe Bottai.
Deputato a partire dal 1929, poi membro della Camera dei fasci, fu nominato senatore il 26 febbr. 1943. Nel 1927 ottenne, presso l'università di Ferrara, il primo incarico italiano di diritto corporativo, materia che passò poi a insegnare a Pisa; chiamato a Roma, dal 1933 tenne corsi di principi di legislazione fascista, presso la facoltà giuridica; dal 1937-38 assolse l'incarico di storia e dottrina del fascismo e dal 1940-41 di diritto costituzionale, presso la nuova facoltà di scienze politiche.
Il C. prese parte attiva al dibattito giuridico dell'epoca, con testi come Diritto corporativo italiano (2 ediz., Torino 1928), Elementi di diritto pubblico fascista (ibid. 1934); Storia e dottrina del fascismo (ibid. 1938; tr. ted., Berlin-Wien 1939; 2 ed., Dottrina del fascismo, ibid. 1940), con interventi particolarmente assidui nei periodici facenti capo a Bottai (Critica fascista, Archivio di studi corporativi, Diritto del lavoro), ma soprattutto attraverso la rivista Lo Stato, da lui pubblicata, con il concorso iniziale di E. Rosboch, tra il 1930 e il 1943.
Importante canale per la diffusione in Italia del pensiero di J. C. Evola e C. Schmitt, Lo Stato ebbe tra i suoi collaboratori anche W. Heinrich e O. Spann, S. Panunzio e R. Michels, C. Curcio, C. Arena, G. Perticone, F. Modigliani, V. Crisafulli, e fu programmaticamente rivolto alla discussione scientifica e politica degli aspetti istituzionali del "nuovo ordine". Qui il C. intensificò il suo impegno per una integrale "bonifica" della cultura italiana, in polemica contro le "vecchie ideologie" raccolte all'ombra del neoidealismo, da lui visto come "il pieno trionfo del formalismo nelle scienze morali" (Storia e dottr., p. 7) e dunque espressione della civiltà razionalistica e individualistica "moderna", matrice sia del liberalismo sia del socialismo, e responsabile di quella "epocale" distruzione del senso unitario della vita che la "rivoluzione spirituale" del fascismo era chiamata a ricomporre.
Un altro dei costanti termini di riferimento della critica del C. fu il normativismo di Kelsen, del quale egli, pur rifiutando la complessiva impostazione purista e "monista" e il primato accordato al diritto internazionale su quello costituzionale, accolse, in una prima fase, l'identificazione tra Stato e "ordinamento giuridico" (Lo Stato corporativo quale Stato di diritto, Roma 1928) e, in parte, anche la concezione "positivistica" dei compiti dei giuristi, chiamati, in quanto tali, a comprendere il diritto come fenomeno storico, e dunque "in continuo movimento ed in perenne trasformazione" (Alfredo Rocco, Roma 1928, p. 7), senza però pronunciarsi sull'elemento originario, metagiuridico del sistema normativo.
Negli scritti più maturi egli accentuò la sua interpretazione "integrale" dello Stato, irriducibile agli schemi della logica giuridica o economica. La critica alle teorie della rappresentanza e della divisione dei poteri (cfr., p. es. Il processo storico di formazione della rappresentanza politica, in La Camera dei Fasci e delle Corporazioni, Roma 1939, pp. 19-33) e ai concetti di "personalità giuridica" e di "diritto soggettivo" nella sfera pubblicistica erano intese dal C. come contributi della scienza giuridica all'edificazione dello Stato nuovo. Egli appoggiò l'idea, ventilata dal ministro Grandi, di una "Carta del diritto" che, fissando, con il valore di atto costituzionale, i principi generali del nuovo ordinamento, avrebbe rappresentato "l'opera conclusiva del lungo processo della trasformazione fascista dello Stato italiano", togliendo spazio alle resistenze conservatrici. Intervenne più volte nel dibattito sulla riforma dei codici, chiedendo che essa sanzionasse il superamento della concezione liberale del diritto privato (che egli voleva rescindere dall'eredità romanistica) ed affermasse la nuova visione totalitaria dei rapporti tra Stato e società civile (cfr. Ancora sul "problema dei codici", in Lo Stato, VIII [1937], 1, pp. 363-67 e Fascismo e codici, ibid., XI [1940], pp. 49-60).
Restò comunque contrario all'idea di una "fine" del diritto privato, che avrebbe ridotto il fascismo a "via italiana" al collettivismo, e condusse un lungo e serrato confronto con le teorie dello "Stato sindacale" (Panunzio ), della "corporazione proprietaria" (Spirito) e del "pluralismo istituzionale" (Romano), nelle quali scorgeva un ennesimo ritorno del motivo pluralistico ed economicistico, penetrato nello stesso fascismo per opera della "piccola borghesia politicante e affaristica", principale responsabile di quella "spaventosa dilapidazione del senso dello Stato" cui il fascismo intendeva porre riparo (Il senso dello Stato, in Critica fascista, V [1927]), pp. 27 s.). Di fronte a tale minaccia, il C. finì col ridimensionare l'ordinamento corporativo come "un aspetto, caratteristico sia pure, ma particolare, dello Stato fascista" (Storia e dottrina ..., p. 170) e come uno solo tra i vari strumenti di cui questo disponeva per "concretare unitariamente in se stesso, quale impresa essenzialmente politica della stirpe, tutte le iniziative dei singoli in qualsiasi ordine di attività umana" (Unità fascista, in LoStato, II [1931], 1, p. 124).
Le corporazioni erano per il C. non già "enti" dotati di personalità giuridica e rappresentanti immediati di interessi particolari, ma "organi dello Stato", cui sarebbe spettata, in linea di principio, "la disciplina giuridica degli scambi di beni e di prestazioni fra le categorie professionali in via di effettuare un piano nazionale di produzione", anziché quelle ipertrofiche funzioni burocratico-assistenziali, assunte nel corso degli anni Trenta, da cui esse potevano essere liberate solamente se poste alle dipendenze di un ministro "senza portafoglio", dotato di esclusive attribuzioni politiche (Perché le Corporazioni non funzionano, ibid., XIII [1942], p. 241.
Sebbene distante dalle posizioni del fascismo "di sinistra", il C. accolse positivamente la campagna "antiborghese" dei tardi anni Trenta, culminata nelle leggi antiebraiche, da lui viste in funzione della lotta al "pensiero moderno" (cfr. Professori ebrei e dottrina ebraica, ibid., IX [1938], pp. 490-93; La mentalità borghese e la trasformazione fascista dello Stato, ibid., pp. 676 ss.); ma criticò il concetto deterministico di razza proprio del nazional-socialismo, che urtava, ai suoi occhi, contro il primato delle "energie morali" nelle vicende dei popoli (cfr. Razza e diritto al convegno italo-tedesco di Vienna, ibid., X [1939], pp. 129-46). Fu comunque un deciso fautore dell'alleanza con la Germania hitleriana e dell'intervento nella guerra mondiale, come naturali conseguenze, ancor prima che di comuni interessi geopolitici, di un'affinità ideologica e storica dei due Stati totalitari.
L'unica risposta possibile al "tramonto dell'Occidente" e al risveglio dei popoli extraeuropei era per il C., come per Evola, non già l'affermazione degli ideali collettivistici e/o tecnocratici circolanti in altre aree culturali del regime, ma la lotta "tra la concezione solare della razza ariana e la concezione ctonica dei popoli tenebrosi e all'Italia fascista, tornata alle proprie radici "mediterranee", romano-imperiali e cattoliche, era assegnato il "compito supremo della sintesi", nel progetto di un nuovo ordine internazionale, gerarchico-federativo, in luogo dell'anarchia cosmopolitica, funzionale agli scopi del "gretto" colonialismo mercantile inglese (cfr. ad es. L'idea dell'Europa e la guerra, in Lo Stato, XIV [1943], pp. 6578, ora in C. C.: Dalla caduta dell'"ideale moderno" alla "nuova scienza" dello Stato, a cura di G. Malgieri, Vibo Valentia 1981, pp. 123-36).
Dopo la guerra, escluso dall'insegnamento, tornò all'attività politica e pubblicistica. Partecipò alla fondazione del Movimento sociale italiano, riprendendo le antiche polemiche contro la sinistra interna, rinvigorita dall'esperienza di Salò.
La riscossa della "tradizione mediterranea della nostra civiltà" contro l'esperimento di una "democrazia imposta dal vincitore" e destinata a sfociare nell'assoggettamento a Mosca, la Repubblica presidenziale come alternativa allo "Stato dei partiti", asservito a potenze "cosmopolitiche" e spalancato alle istanze "regionaliste" e "sindacaliste", sono i principali motivi degli interventi di quest'ultimo periodo.
Il C. morì a Pietra Ligure (Savona) il 1º marzo 1965.
Per una ricognizione essenziale del pensiero del C., si indicano inoltre i seguenti scritti: Stato corporativo. (A proposito del neo-sindacalismo di Stato), in Rivista internaz. di filosofia del diritto, VI (1926), pp. 414-23; Teoria della corporazione fascista, Roma 1927; Dal sindacato alla corporazione, Roma 1928; L'ordinamento corporativo e la cooperazione, ibid. 1928; Lateoria delle istituzioni sociali, in Archivio giuridico, s. 4, XVIII (1929), pp. 156-209; L'associazione professionale nell'ordinamento corporativo (relazione al I Convegno nazionale di studi corporativi), Città di Castello 1930; Corso di lezioni di storia delle dottrine dello Stato politiche ed economiche, Padova 1930; Iconflitti collettivi di lavoro e L'ordinamento corporativo e gli enti autarchici, in Relazioni e proposte della Commissione presidenziale per lo studio delle riforme costituzionali, Firenze 1932, pp. 179-88; Corporativismo e unità dell'ordinamento giuridico, in I Congresso giuridico italiano. Atti, Roma 1932, pp. 135-76; Diritto pubblico e diritto privato nel nuovo sistema del diritto italiano, in Studi in onore di F. Cammeo, I, Padova 1933, pp. 283-304; Il principio corporativo dello Stato fascista, in Le corporazioni fasciste, a cura di L. Lojacono, Milano 1934, pp. 74-89; I principi dell'economia fascista, in L'indipendenza economicaitaliana, Milano 1937.s pp. 56-65; Magistratura del lavoro, in Nuovo Digesto italiano, a cura di M. D'Amelio, VIII, Torino 1939, pp. 6-24; Corporativismo, I, La concezione corporativa, in Dizionario di politica, a cura del P.N.F., Roma 1940, I, pp. 628-35; Regime e Stato, ibid., IV., risp. pp. 31-35, 381-98; Che cosa è il marxismo, Torino 1949; Discorso sulla "socializzazione", Roma 1951. Alcuni scritti brevi sono stati raccolti in G. C. A. Evola-C. Costamagna, L'idea di Stato, Padova 1977, e in C. C., a cura di G. Malgieri, cit.; Dottrina del fascismo (è stato rist. nel 1983, s. l.).
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