AQUINO, Carlo d'
Letterato e poeta cosentino, nato nei primi decenni del sec. XVII, morto dopo il 1654. Scarsissime le notizie della sua vita. Pare che con altri gentiluomini accompagnasse il marchese G. B. Spinella, gran giustiziere dei Regno, quando la città di Pozzuoli, assediata da una flotta francese, veniva protetta dai soldati di don Giovanni d'Austria (1648); ma il fatto, attestato da alcuni dei suoi biografi, viene da altri messo in dubbio. Non doveva essere ricco, se in molti luoghi delle sue poesie lamenta le proprie strettezze, scagliandosi contro le avversità della sorte e contro non meglio identificate ingiustizie giudiziarie. Quando nel 1647-48 i Cosentini ribellatisi saccheggiarono e incendiarono le case dei nobili loro concittadini, la sua fu risparmiata. In occasione delle feste celebrate in Cosenza per la resa di Barcellona, si rappresentarono, unitamente ad una delle commedie dell'A., a noi non pervenute, gli intermedi dell'Orfeo, che ricordano in alcuni punti l'Euridice del Rinuccini.
L'A. fece parte, con il soprannome di Pertinace, dell'Accademia Cosentina, quando questa, sotto la guida rinnovatrice di P. Schettini, attraversava un momento di grande alacrità culturale, dopo la parentesi piuttosto infeconda del periodo marinlista. Il nome dell'A. si suole accostare a quello dell'illustre apriglianese suo contemporaneo, dei quale avrebbe approvato e continuato, con C. Buragna, L. Di Capua, ed altri, il tentativo di reazione antimarinista. Una lettura, anche frammentaria, delle sue Rugiade di Parnaso, raccolte dall'accademico cosentino G. Favari (Cosenza 1654), conferma solo in parte questo giudizio. Ci troviamo di fronte a un'opera assai eterogenea, comprendente sonetti amorosi, religiosi e di vario argomento, versi per musica, stanze, canzoni, una parafrasi del salmo 126 e i quattro intermezzi per musica intitolati L'Orfeo. Nella produzione dell'A. è possibile ravvisare uno schema vagamente petrarchesco: il poeta canta il suo amore, generalmente purissimo, e casto, per una donna, che, dopo averlo illuso, lo spregia e lo respinge; costei successivamente muore, suscitando nel poeta un pentimento che gli fa volgere l'anima a Dio. Nelle rime religiose, e in particolare in un sonetto alla Vergine, che arieggia la famosa canzone dei Petrarca, si può osservare una certa sobrietà d'accenti e di dettato. Ma più sovente l'A. si deve convenientemente collocare nel solco della tradizione marinista.
L'A. fu anche nell'Accademia Cosentina dei Negligenti, quando ne era "principe" don Francesco di Luna e vi apparteneva lo stesso Schettini. Un suo sonetto si trova alla p. 274 delle Poesie di G. Fontanella, Napoli 1640.
Bibl.: La maggior parte dei suoi biografi si limita a sunteggiare le notizie reperibili nelle Rugiade. Citiamo perciò soltanto le voci che sono essenziali: F. S. Salfi, in Atti dell'Accademia Cosentina, I(1838), p. 283; D. Andreotti, Storia dei Cosentini, II, Napoli 1869, pp. 429 s.; L. Accattatis, Le biografie degli uomini illustri delle Calabrie, II, Cosenza 1870, pp. 260-262; C. Minieri Riccio, Notizie biogr. e bibliogr. degli scrittori napoletani fioriti nel sec. XVII, Milano 1875, p. 54; G. Storino, C. d'A. e le "Rugiade di Parnaso", Cosenza 1891; Giorn. stor. d. letter. ital., XVIII(1891), p. 470; B. Croce, Saggi sulla letteratura italiana del Seicento, Bari 1948, p. 376; A. Belloni, Il Seicento, Milano 1955, p. 97.