LENGUEGLIA, Carlo della
Nacque probabilmente ad Albenga, da Ettore, dei conti della Lengueglia, e dalla nobildonna Margherita d'Aste. Non è possibile individuare con precisione l'anno di nascita, che andrà verosimilmente collocato intorno al 1600; certamente errata appare l'indicazione (mai sostenuta da elementi concreti) che si può leggere in alcuni repertori e studi, secondo la quale sarebbe nato nel 1582, in contraddizione con i dati sicuri riguardanti la vita sua e dei suoi familiari (basti ricordare che la madre dopo di lui, peraltro secondogenito, partorì il fratello Giovanni probabilmente nel 1608).
La famiglia del L., un tempo assai importante, tra Cinque e Seicento era ormai piuttosto decaduta, soprattutto dal punto di vista economico. Pochissime le notizie certe sulla vita del L., che in sostanza si riducono a un elenco di cariche e dignità. Il 19 apr. 1621 divenne cavaliere gerosolimitano, come in passato parecchi altri membri della sua casata (da segnalare che in parecchi studi viene erroneamente indicato come anno d'ingresso nell'Ordine il 1637). Il 25 ott. 1652 ottenne un "decreto di lode e rendimento di grazie" dalla Repubblica di Genova, al cui servizio aveva compiuto delle imprese navali. Nel 1659 era commendatore di S. Giovanni Battista di Savona, carica che ricoprì per parecchi anni; in seguito, fu commendatore della Beata Vergine del Tempio di Milano e balì di S. Giovanni a Mare di Napoli. Partecipò attivamente alla guerra di Candia, militando nella flotta papale: ne fanno fede due attestati rilasciati dalle autorità veneziane nel marzo 1669, il primo dei quali è firmato dall'ammiraglio Francesco Morosini, che comandò le armate cristiane. All'interno dell'Ordine di Malta venne eletto luogotenente dell'ammiraglio il 6 apr. 1675 e poi ammiraglio l'11 nov. 1677; mantenne quest'ultima carica fino al 22 febbr. 1680.
La data e il luogo di morte del L. sono sconosciuti; per certo, era ancora vivo nel 1681.
Esordì in campo letterario nel 1634, quando pubblicò a Milano Il principe Ruremondo, libro che rappresentava la prima prova romanzesca in Liguria; di lì a pochi anni il romanzo ligure avrebbe conosciuto una fioritura notevolissima. Il breve testo mostra bene la cifra stilistica del L. narratore, che si colloca nell'alveo della più tipica prosa barocca, come appare evidente per esempio nella ostentata metaforizzazione del reale. Nella scarna trama - viene narrato l'esito fatale dell'amore dell'eroe eponimo, principe di Scozia, per una nobile bretone, moglie di un conte - si inseriscono numerose digressioni, in cui trovano luogo in gran quantità spunti mitologici o genericamente eruditi.
Nel Ruremondo il L. si rivolgeva ai lettori affermando che il seguito della sua attività di romanziere era subordinato al successo dell'opera prima, che non si proponeva di essere altro se non una sperimentazione. Il successo venne, tanto che il L. pubblicò presto un secondo romanzo, più corposo, intitolato L'Aldimiro; due edizioni, uscite rispettivamente a Venezia e a Roma nel 1637, si contendono il ruolo di princeps. Si tratta ancora della storia di un amore tragico, quello provato dal vecchio re di Cipro (personaggio che dà il titolo al romanzo); la vicenda è esemplata sulla leggenda medievale di una passione senile causata da un incantamento subito da Carlo Magno, leggenda narrata tra l'altro in una delle più celebri Familiares di F. Petrarca. Anche nell'Aldimiro sono frequenti le digressioni, qui a volte condotte sul modello delle disputationes accademiche; inoltre, nella narrazione sono inseriti brani poetici.
La produzione narrativa del L. continuò con le Cene del principe d'Agrigento (Lodi 1639; la prima edizione, assai rara, è stata individuata poco più di vent'anni fa da D. Conrieri), un testo che non si lascia inquadrare facilmente in un genere letterario definito. Infatti la forma-romanzo, pur non essendo abbandonata completamente, sembra qui cedere il passo a una singolare interpretazione del modello strutturale del Decameron: così, tre "cene", in cui l'autore dà vita per voce dei personaggi a una serie di esercitazioni retoriche concettistiche, con il ricorso a inserti poetici, trovano spazio all'interno dell'intreccio romanzesco, che sembra in realtà trovare ragione soprattutto nella funzione di cornice.
L'ultimo libro pubblicato dal L. è La principessa d'Irlanda (Venezia 1642), romanzo agiografico che deve non poco al modello della Maria Maddalena di A.G. Brignole Sale (scrittore considerato dal L. come un maestro). Vi si narra in maniera piuttosto piatta la vita di s. Dimpina, di cui il L. conosceva varie versioni cinquecentesche e secentesche, in latino e in italiano. La parte più interessante dell'opera è la serie di diciassette "motivi morali" (che peraltro costituiscono i tre quarti del volume), nei quali si trova ogni genere di sfoggio erudito e di ricercatezza formale.
Nella premessa della Principessa il L. parla di una sua opera, L'Ismeria, che sarebbe stata in procinto di essere pubblicata. Molti repertori antichi hanno citato il testo, che sarebbe uscito a Malta, ma nessuno è stato in grado di specificare la data. In realtà, l'opera, di cui non è rimasta alcuna traccia, non deve aver mai visto la luce: esiste bensì un'Ismeria stampata a Malta nel 1648, ma è un romanzo di C. Micallef, peraltro amico e compagno d'armi del L. durante la guerra di Candia. È difficile stabilire quale rapporto esistesse tra i due testi: è possibile che il L. rinunciasse per qualche motivo a pubblicare l'opera (o forse addirittura a comporla, qualora l'accenno fatto nella Principessa vada letto come una pura esposizione di un progetto); ma non si può escludere d'altro canto che il Micallef portasse a compimento un romanzo abbozzato o addirittura incominciato dal Lengueglia.
Va ricordato che altri due romanzi vengono attribuiti al L. da A. Albertazzi: La Rosmonda (Venezia 1641) e Nabucco (s.n.t.). Ma nel primo caso lo studioso avrà curiosamente fatto confusione con l'omonimo romanzo di T.L. Dal Verme (e G. Raya porterà oltre quest'equivoco, affermando che Conte del Verme sarebbe uno pseudonimo del L.); nel secondo, sarà stato tratto in inganno dall'esistenza di un libro di Giovanni Agostino Lengueglia, fratello di Carlo, intitolato Nabucco trasformato, che peraltro non è un romanzo bensì una raccolta di discorsi morali.
La produzione letteraria del L. comprende anche un volumetto di Elegie e canzoni, stampato a Roma nel 1636. Priva di fondamento appare l'affermazione di G.M. Crescimbeni, secondo il quale il volume in realtà era stato scritto dal fratello Giovanni Agostino; non sussistono, infatti, a sostegno di questa tesi elementi concreti (e va notato che in un primo momento lo stesso letterato aveva citato pacificamente le elegie senza fare riferimento a dubbi sull'attribuzione); la sua affermazione che ciò "si stima comunemente" (III, p. 163), peraltro, non trova riscontro nei repertori secenteschi che ricordano il L.; solo A. Oldoini, in un elenco di opere di Giovanni Agostino di cui sembrava avere notizie indirette, citava per evidente confusione delle non meglio specificate "Elegias", oltre a un "Roremundum" e un "Aldemirum". La questione venne poi affrontata da F.S. Quadrio, che non prese però in merito una posizione netta.
La caratteristica più notevole delle 41 elegie raccolte nel volume è la scelta di rendere il distico elegiaco con una quartina di schema ABBA, scelta che verrà fortemente disapprovata da Crescimbeni e da Quadrio; nell'avviso "A' lettori", il L. spiega di avere scartato la terzina dantesca - il metro solitamente usato dai poeti elegiaci italiani - perché l'uso che ne era stato fatto nei capitoli berneschi rischiava di renderla inutilizzabile per poesie estranee al genere comico. Dal punto di vista dei contenuti, a situazioni e immagini ricavate dalla tradizione elegiaca latina si affiancano riprese di spunti dell'Eneide, ma anche della Gerusalemme liberata. Frequenti le concessioni al gusto barocco, come si vede chiaramente sia in alcune descrizioni di orologi (oggetti assai di moda nelle poesie del tempo) sia nelle numerose figure femminili tratteggiate secondo i canoni secentisti: si va dall'elogio dei difetti fisici ("Bella donna, che per infermità d'occhi adoperava gli occhiali") alla descrizione di attività lavorative ("Per bella donna vendemmiante"), e non manca una composizione incentrata su una fantasia erotica a sfondo sadico ("Bella prigioniera"). In fondo al volume sono riunite tre canzoni, che nulla aggiungono alla figura del L. poeta.
L'opera del L. (che fu in buoni rapporti con importanti letterati come A.G. Brignole Sale e A. Aprosio) conobbe un'ottima fortuna nel Seicento, ciò che è provato non solo dagli elogi rivoltigli da A. Abati, A. Lupis e soprattutto F.F. Frugoni (che lo menzionò favorevolmente in più di un'occasione), ma anche dall'ottimo successo editoriale ottenuto dai suoi romanzi, dei quali si conoscono in totale ben 24 edizioni. Il che rende peraltro difficile spiegare il fatto che il L., dopo aver dato alle stampe cinque libri in otto anni, smise totalmente di scrivere o almeno di pubblicare. Si può pensare che gli incarichi militari non gli lasciassero tempo per la letteratura; oppure è possibile che egli partecipasse al deciso cambiamento di gusto dell'ambiente letterario genovese (come ipotizzato da Conrieri), senza però essere in grado di rinnovare la propria prosa.
Fonti e Bibl.: R. Soprani, Li scrittori della Liguria e particolarmente della Maritima, Genova 1667, p. 68; M. Giustiniani, Gli scrittori liguri, Roma 1667, pp. 158 s.; A. Aprosio, La Biblioteca Aprosiana, Bologna 1673, pp. 574-578; A. Oldoini, Athenaeum Ligusticum, Perusiae 1680, p. 202; B. Del Pozzo, Ruolo generale de' cavalieri gerosolimitani della veneranda lingua d'Italia, Torino 1715, pp. 208 s.; G.M. Crescimbeni, Dell'istoria della volgar poesia, Venezia 1730-31, I, p. 208; IV, p. 163; F.S. Quadrio, Storia e ragione d'ogni poesia, II, Milano 1752, pp. 308, 660; F.P. Smitner, Catalogo della Biblioteca del Sovrano Militare Ordine di S. Giovanni Gerosolimitano oggi detto di Malta, s.l. [ma Roma] 1781, p. 110; C.A. Villarosa, Notizie di alcuni cavalieri del Sacro Ordine gerosolimitano illustri per lettere e per belle arti, Napoli 1841, p. 190; G. Rossi, Storia della città e della diocesi d'Albenga, Albenga 1870, p. 310; F. de Hellwald, Bibliographie méthodique de l'Ordre de S. Jean de Jerusalem, Roma 1885, p. 170; A. Guglielmotti, La squadra ausiliaria della Marina romana a Candia ed alla Morea, Roma 1888, pp. 312, 315; A. Albertazzi, Romanzieri e romanzi del Cinquecento e del Seicento, Bologna 1891, p. 191; S. Fermi, Un romanziere ligure del secolo XVII (C. L.), in Giorn. stor. e letterario della Liguria, IX (1908), pp. 70-97; G. Raya, Il romanzo, Milano 1950, p. 113; G.M. Delle Piane, Un'antica casata di Albenga: i Peloso, in Rivista araldica, LXIV (1966), pp. 95, 100; A.N. Mancini, Il romanzo nel Seicento. Saggio di bibliografia, in Studi secenteschi, XI (1970), pp. 266-268; XII (1971), pp. 486, 488 s.; U. Mori Ubaldini, La Marina dell'Ordine di S. Giovanni di Gerusalemme di Rodi e di Malta, Roma 1971, pp. 546, 551; G.M. Delle Piane, San Giovanni di Prè, Genova-Venezia 1973, pp. 95, 100 s.; D. Conrieri, Il romanzo ligure dell'età barocca, in Annali della Scuola normale superiore di Pisa, s. 3, IV (1974), pp. 939-941, 949-974, 1069 s., 1088-1090; D. Ortolani, Il problema dello Stato nel romanzo genovese del Seicento, in Dibattito politico e problemi di governo a Genova nella prima metà del Seicento, in Miscellanea stor. ligure, VII (1976), 2, pp. 209-214, 223-227; L. Tacchella, I cavalieri di Malta in Liguria, Genova 1977, pp. 182, 242; "La più stupenda e gloriosa macchina". Il romanzo italiano del sec. XVII, a cura di M. Santoro, Napoli 1981, pp. 37-79, 98-101 e passim; G.F. Bernabò Di Negro - G.M. Delle Piane, Nobiltà e patriziato nell'antica Repubblica genovese, in Liguria, XLVIII (1981), 5-6, p. 4; G.M. Delle Piane, Un caso feudale nella Liguria occidentale della fine del '500: i della L. e l'Ordine di Malta, ibid., XLIX (1982), 3, pp. 17, 19; A. Quondam, La letteratura in tipografia, in Letteratura italiana (Einaudi), II, Produzione e consumo, Torino 1983, p. 683; C. Jannaco - M. Capucci, Storia letteraria d'Italia. Il Seicento, a cura di A. Balduino, Padova 1986, pp. 629, 639, 650, 659; F. Gallea, Per una storia della letteratura ingauna, Albenga 1986, p. 9; M. Gori, Il romanzo italiano del Seicento. Rassegna bibliografica, in Rass. della letteratura italiana, XCVII (1993), pp. 123-125; V. De Maldé, Appunti per la storia dell'elegia volgare in Italia tra umanesimo e barocco, in Studi secenteschi, XXXVII (1996), pp. 131 s.; G.M. Delle Piane, Della L., C., in Diz. biogr. dei Liguri, a cura di W. Piastra, IV, Genova 1998, pp. 579 s.; R. Colombi, Lo sguardo che "s'interna". Personaggi e immaginario interiore nel romanzo italiano del Seicento, Roma 2002, pp. 101-130 e passim.