DI NAPOLI, Carlo
Nacque a Troina (Enna) nell'anno 1700 da Nicolò ed Elisabetta Di Napoli.
Apparteneva a uno dei rami cadetti di una famiglia che nel corso del secolo precedente, attraverso il consueto passaggio dal ceto forense alla magistratura, era salita dai più alti vertici della magistratura alla acquisizione di grossi feudi (Campobello, Resuttano) con giurisdizione civile e criminale e titolo principesco.
Il D., avviato alla carriera forense, si distinse subito per la preparazione professionale e per l'abilità e la sicurezza con cui difendeva gli interessi di una classe alla quale egli stesso sentiva di appartenere. Alternava infatti, come era consueto, l'esercizio dell'avvocatura con gli incarichi nei tribunali; fu più volte giudice della Gran Corte, sede civile (1741-42; 1747-48) e del tribunale del Concistoro (1738-39). Non acquistò, come inesattamente riferisce qualche biografo, alcun titolo nobiliare, poiché la "Cuba" da lui posseduta non era un feudo, ma una tenuta fuori città con casa di villeggiatura, conosciuta ancora oggi con questo nome.
Morì a Palermo il 29 nov. 1758. Aveva sposato Maria Vanni, da cui ebbe due figlie: Elisabetta, morta a diciotto anni pochi giorni dopo il padre, e Rosalia, che l'anno seguente sposò lo zio Antonino Di Napoli.
L'opera più vasta del D., la Concordia tra i diritti demaniali e baronali, nacque in occasione di una causa che nel 1740 aveva contrapposto i cittadini di Sortino al barone Pietro Gaetani, principe del Cassaro. L'Università di Sortino sosteneva di diritto di riscattarsi, versando al principe l'equivalente del prezzo di acquisto, e divenire demaniale. Grazie alla difesa del D., il viceré B. Corsini decise la causa a favore del barone, dopo il voto conforme del tribunale del R. Patrimonio.
Il peso ideologico e politico della Concordia fu immediatamente avvertito dai contemporanei. A ragione il diarista marchese di Villabianca definì il D. "benemeritissimo di questa nostra patria, e molto più di questo nostro baronaggio": è sintomatica l'identificazione degli interessi dell'isola con quelli della classe baronaie. Il Senato di Palermo, un anno dopo la sua morte, ne fece collocare il busto nel palazzo comunale. Qualche decennio dopo, in epoca illuminista, anche la memoria del D. subì le conseguenze dei provvedimenti del viceré Caracciolo e dei suoi sostenitori contro chiunque o qualunque cosa potesse sminuire l'autorità della monarchia e del suo rappresentante nell'isola; così il busto fu rimosso (1787), insieme con quello di un altro illustre personaggio, Antonino Mongitore.
Comunque, la Concordia era ormai diventata una specie di manifesto ufficiale del baronaggio, proprio per il vasto respiro con cui era stata impostata e per la profusione di dottrina giuridica e per l'approfondita ricerca di fondati precedenti storici. In sostanza il D., risalendo alle origini del Regno di Sicilia, attribuiva ai diritti feudali, nati in Sicilia al sorgere della monarchia normanna, lo stesso carattere originario di perennità e inalienabilità. Il fatto che un feudo fosse occasionalmente acquisito dalla Corona non ne toccava la natura e quindi esso non poteva divenire demanio, non essendoci mai stata una originaria appartenenza al Demanio del sovrano.
Questa tesi trovava conferma proprio nel capitolo "Volentes" di re Federico d'Aragona, che permetteva l'alienazione del feudo rimasto senza titolare. In pratica il D., con l'appoggio dato alla tendenza della dinastia aragonese di favorire la feudalità, si poneva contro la tendenza dominante della sua epoca e la dottrina che andava per la maggiore nel Napoletano, dove comunque gli ordinamenti erano diversi da quelli siciliani. Ma soprattutto, osservava Domenico Scinà, nel "generale silenzio" dei giuristi dell'epoca, ancor maggiore risonanza ebbe la sua opera, in cui la difesa del marchese di Sortino rappresentò semplicemente lo spunto per dare una nuova interpretazione della storia di Sicilia, vista nello spirito delle dottrine "ultramontane", e sostenuta da ampia e approfondita dottrina. La Concordia avrebbe avuto quindi l'importante funzione di contribuire alla formazione delle nuove leve di giuristi e di dare l'avvio alla riforma del sistema giudiziario.
L'ottimismo dello Scinà non è condiviso dalla critica moderna, in quanto lo spunto non fu raccolto dagli scrittori locali e non ne nacque una storia di Sicilia né di spirito nazionale né di tendenza contraria. La lettura della Concordia, però, si rivela di estrema utilità proprio per comprendere la vera natura del contrasto che, contrapponendo il baronaggio alla monarchia - nei confronti della quale esso rivendicava una sostanziale indipendenza -, avrebbe portato alla riforma costituzionale del 1812.
Opere: Difesa e giustificazioni degli ufficiali del Gran Consiglio di guerra, tenuto d'ordine di S.M. in Palermo, Palermo 1737; Decisio tribunalis Concistorii Sacrae Regiae Conscientiae in causa revindicatoria feudi Cifalis, Panormi 1739; Concordia tra diritti demaniali e baronali, trattata in difesa del signor D. Pietro Gaetano Bologna, Strozzi e Ventimiglia, principe del Cassaro, marchese di Sortino, nella causa della pretesa riduzione al demanio della terra di Sortino, Palermo 1744.
Fonti e Bibl.: F. M. Emanuele e Gaetani marchese di Villabianca, Della Sicilia nobile, Palermo 1754, I, pp. 246, 257; II, p. 204; Id., Diario palermitano, in Bibl. storica e letter. di Sicilia, XVII, Palermo 1874, pp. 47, 50, 128, 150, 168, 185, 435 ss.; R. Gregorio, Introd. allo studio del diritto pubblico siciliano, Palermo 1794, p. 23; D. Scinà Prospetto della storia letteraria di Sicilia nel secolo decimottavo, II, Palermo 1825, pp. 76 ss.; A. Narbone, Bibliografia sicola sistematica, II, Palermo 1851, pp. 176, 184, 187, 197, 295; V. Amico, Diz : topografico della Sicilia, II, Palermo 1856, p. 654, V. La Mantia, Storia della legisl. civile e criminale di Sicilia, II, Palermo 1874, p. 92; G. M. Mira, Bibliografia sicil., II, Palermo 1881, p. 125; F. Nobile, I codici di Giovan Luca Barberi sullo stato delle regalie della monarchia siciliana, Palermo 1892, pp. 3 s., 22 ss.; A. Mango, Nobiliario di Sicilia, II, Palermo 1915, p. 3; E. Pontieri, Il tramonto del baronaggio siciliano, in Arch. stor. sicil., LI (1931), pp. 23 s.; LII (1932), p. 119; LIII (1933), p. 96; Diz. dei siciliani illustri, Palermo 1939, pp. 187 s.; G. Giarrizzo, Appunti per la storia culturale della Sicilia settecentesca, in Riv. stor. ital., LXXIX (1967), pp. 580-584; Id., Illuminismo, in Storia di Sicilia, IV, Palermo 1980, pp. 728-731; A. M. Fallico-G. Fallico, Il territorio di Sortino fra antichità e Medioevo, in Sileno, IV (1978), pp. 147, 156, 165 ss.; F. Renda, Dalle riforme al periodo costituzionale (1734-1816), in Storia di Sicilia, VI, Napoli 1978, pp. 209 ss.