MADRUZZO, Carlo Emanuele
Nacque nel 1599, il 5 (Vareschi, p. 70) o il 7 novembre (Gelmi, p. 290) nel castello di Issogne, nella contea di Challant in Savoia, da Emanuele Renato marchese di Challant, fratello del principe vescovo di Trento e cardinale Carlo Gaudenzio, e da Filiberta dei marchesi di Chambre. La famiglia possedeva vaste proprietà in Val d'Aosta e nel vescovato di Trento e aveva stretti legami di parentela con la nobiltà di entrambe le regioni.
Insieme con il fratello Vittorio Gaudenzio (1602-32), il M. crebbe dal 1608 presso il cugino del padre Gianangelo Gaudenzio Madruzzo, comandante della guarnigione di Riva del Garda. Con un occhio al vescovato di Trento, che da tre generazioni era nelle mani della famiglia Madruzzo, egli fu presto indirizzato alla carriera ecclesiastica e quindi alla successione di Carlo Gaudenzio. Come lo zio, si formò nel collegio dei gesuiti a Monaco e Ingolstadt, poi studiò diritto e si addottorò a Perugia.
Già nel 1616 ottenne un canonicato nel duomo di Trento e nel 1621 uno anche a Bressanone. Inoltre, in questi anni il cardinale gli trasmise le commende di S. Abbondio a Como, di S. Orso ad Aosta e poi di S. Cristoforo a Nizza della Paglia in Monferrato. Con il pretesto delle frequenti assenze di Carlo Gaudenzio dalla diocesi, costretto a risiedere a Roma per gli impegni in Curia, già nel 1619 fu fatto un primo tentativo di ottenere dal capitolo diocesano la nomina del M. a coadiutore, ma i canonici si opposero, irritati dal vedersi imposto un candidato d'autorità. Il 2 luglio 1622, tuttavia, furono costretti a cedere e il M. fu eletto coadiutore, perché il concistoro in Curia, su pressione di Carlo Gaudenzio, si era pronunciato per questa soluzione, cui guardavano con favore anche l'arciduca del Tirolo Leopoldo V e l'imperatore Ferdinando II d'Asburgo. Il 24 agosto, inoltre, il M. fu insediato come amministratore della diocesi con la designazione a vescovo di Aureliopoli in partibus infidelium. Solo nel 1627 ricevette gli ordini sacri e la consacrazione vescovile.
Il 4 genn. 1629 il concistoro nominò il M. vescovo di Trento; il cardinale Carlo Gaudenzio, che si era riservato una pensione annua di 3000 talleri sulla mensa vescovile, rinunciò all'ufficio e il 14 agosto morì, avendo, nel corso dell'anno precedente, designato il nipote suo erede. Il M. richiese anche l'abbazia di S. Paolo a Besançon e la ottenne.
Il M. divenne il quarto membro della famiglia, senza interruzioni, a ricoprire la carica di vescovo principe di Trento, che sembrava così essere diventata una sorta di appannaggio ereditario; peraltro tutti i predecessori erano stati impegnati nella sfera della grande politica e si erano segnalati per il mecenatismo e la magnificenza principesca. Da essi il M. si distinse sotto più aspetti. Non fu legato alla dinastia asburgica e neppure fu attivo a Roma in Curia, non svolse incarichi diplomatici e risedette stabilmente nella diocesi. Il palazzo di famiglia a Roma fu affittato e, infine, venduto all'ex nunzio in Germania Giovan Battista Pallotta.
Con i predecessori il M. condivise il tenore di vita principesco e la predilezione per i grandi eventi religiosi e secolari. L'assunzione del vescovato fu festeggiata con grande sfarzo, tra l'altro con uno spettacolo allestito dai gesuiti, intitolato Madrutia Tempe. Anche le processioni annuali nel giorno dedicato al patrono della diocesi, s. Vigilio, e al beato Simonino, supposta vittima, nel XV secolo, della ferocia giudaica, furono celebrate con solennità. I frequenti passaggi di personalità principesche furono sempre occasione per erigere archi di trionfo e allestire spettacoli pirotecnici, balletti e rappresentazioni teatrali. Tra questi, il soggiorno di cinque mesi dell'arciduchessa Maria Anna, che nel 1648-49 si recava con la sua corte in Spagna come moglie di re Filippo IV, fu salutato con una serie di solenni festeggiamenti. Anche il passaggio dell'imperatrice Eleonora nel 1651 e quello della regina Cristina di Svezia nel 1655 furono occasione di grandi celebrazioni.
Il governo del M. fu, fin dall'inizio, condizionato da circostanze sfavorevoli. Negli anni della guerra per la successione di Mantova (1628-31), il Trentino subì il transito dell'esercito imperiale. Dal settembre al dicembre 1630 infierì la peste, a causa della quale morì il vescovo eletto Pietro Belli, responsabile dell'amministrazione della diocesi dal tempo del cardinale Carlo Guadenzio. Il M. stesso, per sfuggire al contagio, fu costretto a trasferirsi nel castello d'origine della famiglia Madruzzo, castel Nanno nella Val di Non.
Il cattivo rapporto del M. con il capitolo del duomo si trasformò in ostilità costante: un lungo conflitto sorse intorno all'assegnazione del decanato, che il M. aveva conferito al suo agente romano Giovanni Todeschino. Sull'opposizione a questa scelta, dettata da ragioni personali, pesò la contesa circa il numero ammissibile di canonici di origine tedesca rispetto a quelli di origine italiana. Per risolvere la questione già nel settembre 1630 il M. si rivolse a Roma, ma quattro anni dopo il caso era ancora aperto e fu discusso ancora ripetutamente dinanzi alla Sacra Rota romana; nel 1642 il M. si lamentava di continue liti tra il Todeschino e gli altri canonici. Il capitolo, d'altra parte, si sentì danneggiato dalla cattiva amministrazione della diocesi e con un appello al Consiglio aulico ottenne che fosse insediata una commissione; essa esaminò le lamentele e stabilì che il M. nei casi di rilievo doveva richiedere il consiglio e l'approvazione del capitolo.
Tra i problemi pendenti da varie generazioni, vi furono anche i conflitti con gli Asburgo del Ducato del Tirolo, che sotto la reggenza della vedova dell'arciduca Leopoldo V, Claudia de' Medici (1632-46), si acuirono. Il M. dovette subire ingerenze nella sua sovranità e si difese riuscendo a ottenere che il papa intervenisse in suo favore presso l'imperatore. In occasione della Dieta dei principi elettori del 1636 inviò un agente a Ratisbona e sollecitò anche un intervento del nunzio presso l'imperatore a favore delle proprie richieste. Nel 1639 si recò di persona con alcuni canonici a Innsbruck per trattative, senza tuttavia ottenere che cessassero le interferenze. Sullo sfondo vi era la grave situazione finanziaria del Tirolo all'epoca della guerra dei Trent'anni, che aveva costretto il governo a un massiccio rialzo delle imposte nel vescovato di Trento. In una prospettiva più lunga si trattava di un conflitto per la sua effettiva secolarizzazione e annessione. In questo scenario emergono gli sforzi dell'arciduchessa Claudia per procurare ai figli canonicati a Bressanone e Trento e, in particolare, la coadiutoria del M. per Sigismondo Francesco, al fine di consentire loro di succedere nei vescovati. Un sostegno all'indipendenza del principato ecclesiastico giunse, invece, dal principe Massimiliano di Baviera, interessato a contrastare ogni rafforzamento della potenza asburgica nella regione.
Anche la vita familiare del M. fu segnata da incidenti. Dopo la morte del fratello, Vittorio Gaudenzio, che ebbe come unica discendente Filiberta (1627-49), il M. rimase l'ultimo rappresentante del suo ramo della famiglia. Dato che non poteva lasciare le proprietà familiari ad alcun nipote legittimo, decise di rinunciare allo stato ecclesiastico. Dal 1646 fino alla morte tentò a più riprese di ottenere dal papa la dispensa per tornare allo stato laicale; ma né Innocenzo X né Alessandro VII la concessero, malgrado il sostegno al M. di Massimiliano di Baviera e di altri principi. Una soluzione accettabile dal punto di vista del M. sarebbe stata quella di trasferire il vescovato al duca Alberto Sigismondo di Baviera, che era già coadiutore a Frisinga, previa la riserva di una cospicua pensione. Il M. avrebbe potuto evitare l'estinzione della famiglia sposando Claudia Particella, cui era legato da molto tempo, e legittimare un figlio avuto da lei. Poco credibili sono le notizie secondo le quali il M. avrebbe recluso con la forza la nipote Filiberta nel convento della Ss. Trinità, dove la fanciulla era stata allevata, o che l'avrebbe costretta a un matrimonio con un membro della famiglia Particella; certo è invece che l'arciduchessa Claudia nel 1640 si offrì di accogliere Filiberta presso di sé.
Gli ultimi anni del M. furono ulteriormente funestati da una disputa ereditaria. Lontani parenti gli contestarono il possesso dei quattro vicariati di Avio, Ala, Mori e Brentonico, nei pressi di Rovereto, ricevuti dai suoi predecessori; così il M. fu coinvolto in un processo che si protrasse attraverso diverse istanze. Alla fine, nel 1653, il Consiglio aulico gli diede torto e dovette accettare che un commissario non solo occupasse militarmente il territorio usurpato, ma anche che sequestrasse il possedimento di famiglia nella Valle del Sarca come garanzia per il pagamento delle spese processuali.
Il M. morì il 15 dic. 1658 a Trento e fu sepolto con una solenne cerimonia nella cattedrale.
La successione fu regolata nella maniera che il M. aveva tentato in tutti i modi di evitare: il capitolo del duomo elesse vescovo Sigismondo Francesco d'Austria, che però, non avendo ricevuto la conferma da Roma, nel 1665 rinunciò.
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