RAVA, Carlo Enrico
RAVA, Carlo Enrico. – Nacque a Cernobbio, nel Comasco, il 30 settembre 1903 da Maurizio e da Enrica Canevari. Nell’atto di nascita, registrato alla presenza del direttore dell’albergo Villa d’Este, dove i due soggiornavano, il padre dichiarò che i due erano coniugati: ciò appare in contraddizione con quanto attestato da altre fonti secondo le quali Carlo Enrico sarebbe nato al di fuori del matrimonio.
Maurizio Rava, che nel medesimo documento si diceva pittore, fu promotore del Partito nazionalista e fondatore del fascio di Roma; quindi, divenuto un importante funzionario coloniale, fu vicegovernatore della Tripolitania dal 1930 al 1931 e governatore della Somalia dal 1931 al 1935.
La famiglia risiedeva a Milano al n. 15 di via Bigli; la formazione di Carlo Enrico si compì presso il liceo Cesare Beccaria, dove ottenne il diploma di maturità classica nel 1921. In seguito si iscrisse al primo anno preparatorio per architetti presso il Politecnico per l’anno accademico 1921-22, e nel 1922-23 come ripetente. La mancanza di riscontri in merito al completamento di quel corso di studi si porrebbe a conferma di quanto recentemente indicato circa il suo conseguimento del titolo di professore di disegno presso l’Accademia braidense e la successiva abilitazione alla professione di architetto a seguito della ‘sanatoria’ degli anni 1927-28, con la quale furono abilitati 694 professionisti privi di specifico titolo di studio (Nicoloso, 1999; Volpi, 2012).
Nell’ottobre del 1926 Rava, con Ubaldo Castagnoli (cui poco dopo subentrò Adalberto Libera), Luigi Figini, Guido Frette, Sebastiano Larco Silva, Gino Pollini e Giuseppe Terragni, neolaureati e laureandi del Politecnico milanese, diede vita al Gruppo 7, «comunemente indicato come la prima cellula del movimento razionalista italiano» (Irace, 2003, p. 983).
Il gruppo, il cui nome rimanda alle avanguardie europee dei decenni precedenti, da Les XX a Le groupe des Six, fece la propria apparizione con un articolo dal titolo Architettura. I, pubblicato nella Rassegna italiana di Tommaso Sillani nel dicembre 1926, annunciando la nascita di uno spirito nuovo e rivendicando la necessità di un rinnovamento profondo dell’architettura italiana, da attuarsi mediante una «stretta aderenza alla logica e alla razionalità» e, al tempo stesso, ai valori della tradizione. Seppure incerti e contraddittori – Edoardo Persico li avrebbe in seguito definiti «europeismi da salotto» (Alla Triennale. Gli architetti italiani, in L’Italia letteraria, IX (1933), 32, p. 4) –, tali assunti, frutto evidente dell’apporto di individualità diverse, valsero ai sette giovani architetti immediato interesse in ambito nazionale ed europeo.
Fu Rava in particolare, che più degli altri propugnava la ricerca di un carattere italiano in seno al razionalismo, a gestire importanti contatti a livello internazionale, dimostrando in tal senso una notevole capacità dialettica: in una lettera scritta a Le Corbusier nel gennaio del 1927 chiedeva a nome del gruppo un riconoscimento da parte del maestro, sottolineando quanto profonda fosse stata la sua influenza (Perna, 2007, p. 32).
Segno manifesto della visibilità raggiunta fu, in quello stesso 1927, l’invito a partecipare alla III Mostra di arti decorative presso la villa Reale di Monza. Rava presentò i progetti di un palazzo per uffici e della sede di un giornale, redatti entrambi con Larco Silva, suo compagno di studi, con il quale dal 1926 aveva intrapreso una collaborazione professionale venuta meno soltanto nel 1940, allorché questi fece ritorno in Cile.
Nel settembre del 1927 giunse l’invito a prendere parte all’esposizione di Stoccarda curata dal Deutscher Werkbund. Risale al medesimo anno la prima opera realizzata dai due architetti, la palazzina Solari a Santa Margherita Ligure, giudicata nel complesso «moderna e abbastanza italiana» (M. Piacentini, Due lavori di C.E. Rava e S. Larco, in Architettura e arti decorative, VII (1927-28), vol. 2, n. 11, p. 524).
Nel marzo del 1928 il gruppo partecipò a Roma alla I Esposizione di architettura razionale, promossa da Libera e da Gaetano Minnucci con il patrocinio del sindacato nazionale fascista degli architetti. Rava e Larco Silva vi presero parte con i progetti di casette economiche e dell’albergo presso gli scavi di Leptis Magna, in Tripolitania.
L’eccessiva varietà delle proposte presentate aveva conferito alla mostra, a giudizio di Rava, una connotazione poco coerente: fu lo stesso architetto a evidenziarlo in una lettera indirizzata a Minnucci, al quale rimproverava di aver dato spazio a opere «che del razionalismo non hanno che la forma e l’aspetto più superficiale ed esteriore», con ciò fornendo un’arma efficace ai suoi oppositori (Perna, 2007, p. 38).
Nel giugno dello stesso anno, a La Sarraz, in Svizzera, Rava partecipò alla riunione per la costituzione dei CIAM (Congressi Internazionali di Architettura Moderna) e, con Alberto Sartoris, fu nominato rappresentante per l’Italia nella Commissione internazionale per l’architettura contemporanea (CIRPAC); nel 1929 i due furono chiamati all’organizzazione della sezione italiana della mostra internazionale «Werkbund Austellung Wohnung und Werkraum» di Breslavia. Questo provocò non pochi malumori tra i colleghi, decretando la crisi irreversibile del gruppo e l’abbandono, nell’aprile 1929, da parte di Larco Silva e di Rava stesso.
In seguito Rava ebbe modo di esporre le motivazioni della sua fuoriuscita: dalle pagine di Domus, la rivista diretta da Gio Ponti, si diede a spiegare le ragioni che lo avevano indotto ad allontanarsi da un razionalismo sterile e «abolitore dell’individualismo» (p. 41): la nuova architettura avrebbe dovuto liberarsi di quell’intransigenza infruttuosa che ne aveva caratterizzato gli esordi per esprimersi con maggiore libertà, senza rinnegare e attingendo, al contrario, a piene mani allo spirito latino del quale l’Italia, e i suoi architetti nella fattispecie, erano «depositari fatali e secolari: dalle nostre coste libiche a Capri, dalla costa amalfitana alla riviera ligure, tutta un’architettura minore tipicamente latina e nostra, senza età eppure razionalissima, fatta di bianchi lisci cubi e di grandi terrazze, mediterranea e solare, sembra additarci la via dove trovare la nostra più intima essenza d’italiani» (C.E. Rava, Svolta pericolosa. Situazione dell’Italia di fronte al razionalismo europeo, in Domus, IV (1931), 37, cit. in Perna, 2007, pp. 44 s.).
In occasione della II Esposizione di architettura razionale, tenuta a Roma a partire dal 30 marzo 1931, Pietro Maria Bardi, nell’illustrare le idee del Movimento italiano architetti razionalisti (MIAR), dichiarò la piena adesione di questo all’ideologia fascista: ai giovani del MIAR sarebbe spettato il compito di elaborare il nuovo linguaggio dell’architettura del regime, a scapito dei «vecchi architetti [...] responsabili dell’ambigua fisionomia delle nostre città e della guastatura di tutte le stazioni climatiche» (P.M. Bardi, Rapporto sull’architettura (per Mussolini), Roma 1931, p. 130). L’intervento provocò grande scalpore e accese polemiche; in questo clima si originò un ulteriore Raggruppamento di architetti moderni (RAMI), fuoriusciti dal movimento, ai quali si unì anche Rava.
La mediterraneità dell’architettura italiana fu argomento di una serie di articoli apparsi su Domus nel 1931; l’anno successivo la medesima rivista ospitò un vivace scambio di opinioni tra Rava e Figini in merito alla corretta accezione del termine mediterraneo (Polemica mediterranea, in Domus, V (1932), 49, cit. in Perna, 2007, pp. 57 s.).
Nel 1933 Persico sferrò un duro attacco al gruppo di Quadrante, la rivista diretta da Bardi e da Massimo Bontempelli, e allo stesso Rava, l’europeismo del quale secondo lui «aveva ceduto alle esigenze politiche della mediterraneità» (pp. 61 s.): la risposta di Rava giunse dalle pagine di Nove anni di architettura vissuta 1926 IV 1935 XIII, un’antologia di scritti pubblicata nel 1935, nella quale ebbe occasione di ribadire nuovamente quali fossero le radici dello stile italiano.
Anche l’interesse per l’architettura coloniale, che in Rava aveva preso l’avvio fin dagli esordi della professione, certamente agevolato in questo dall’attività paterna, gli offrì importanti stimoli di ricerca. Nel 1927 Carlo Enrico aveva effettuato il suo primo viaggio in Tripolitania; nel Viaggio a Tunin, il diario edito nel 1932 e ripubblicato nel 1936 con il titolo Ai margini del Sahara, descrisse dettagliatamente i luoghi e le persone, ma anche le questioni connesse alle nuove edificazioni nei centri urbani.
La visita di Benito Mussolini a Tripoli (1926) e il discorso tenuto per l’inaugurazione del I Congresso agricolo coloniale costituirono il segnale di un nuovo interesse nei confronti delle città d’oltremare, reso in seguito ancor più evidente in ragione della presenza assidua, nelle numerose esposizioni tenute in quegli anni, di progetti di edifici per le colonie; tra questi, il padiglione permanente presso la Fiera campionaria di Milano, oggetto di un concorso bandito nel 1927, vinto da Rava e Larco Silva.
La problematiche connesse allo sviluppo urbanistico della città di Tripoli furono portate alla ribalta in quegli anni da una relazione di Maurizio Rava (inclusa peraltro nell’antologia di scritti del figlio Carlo Enrico, la qual cosa farebbe supporre una sua fattiva collaborazione alla stesura) pubblicata nel 1929 (Per una Tripoli più bella, in L’Avvenire di Tripoli, 22 settembre 1929, p. 1; Perna, 2007, p. 70), nella quale veniva auspicata una maggiore attenzione alla qualità architettonica degli interventi nelle zone di espansione.
La questione dello stile dell’architettura delle colonie italiane fornì a Rava ulteriori spunti per la sua ricerca. Nel 1936 prese parte al Congresso nazionale degli architetti italiani sull’architettura coloniale; nel 1938 curò a Roma, con Franco Petrucci, la realizzazione e l’allestimento del padiglione dell’Africa italiana alla Mostra autarchica del minerale italiano. A Milano, in occasione della VII Triennale, allestì con Giovanni Pellegrini (con il quale redasse nel 1939 il progetto di concorso per il piano regolatore di Verbania) e Luigi Piccinato la Mostra dell’attrezzatura coloniale.
Tra le opere progettate e realizzate in Libia e nell’Africa orientale, per lo più in collaborazione con Larco Silva, si rammentano, rispettivamente in Tripoli e nei dintorni, il progetto di concorso per la piazza della cattedrale, vincitore di un premio di incoraggiamento ex aequo, e la chiesa di Suani Ben Adem (1930); quindi, ancora per la città libica, il progetto per la sede della FIAT (Fabbrica Italiana Automobili Torino) e l’arco di trionfo eretto in occasione della visita dei principi di Piemonte (1931); infine il bel padiglione dell’Eritrea-Somalia (1933-34). A Mogadiscio realizzò l’albergo Croce del Sud, l’arco di trionfo (1934) e un complesso di abitazioni (1935); le sedi della Società coloniale siderurgica ad Assab (1936-37) e, ad Addis Abeba, della SAPIE (Società Anonima Per Imprese Etiopiche).
Risalgono agli stessi anni alcune ville sulla riviera ligure a San Michele di Pagana, Rapallo (1931) e Portofino (Villa F., 1933-34; Perna, 2007, pp. 142-145); ancora nel 1931 curò la realizzazione di una cappella funeraria per la famiglia Oneto nel cimitero di Santa Margherita Ligure.
Il 24 ottobre 1932, a Roma, sposò Carla Giorgi, dalla quale ebbe la figlia Anna.
Sul finire del decennio redasse il progetto, non realizzato, del palazzo dell’INA (Istituto Nazionale delle Assicurazioni) a Enna (1938-40).
Risale agli anni Trenta l’origine del suo vivo interesse per il cinema e per la scenografia cinematografica, destinato a soppiantare, nei decenni successivi, quello per l’architettura costruita. Ne sono testimonianza gli allestimenti scenici realizzati per i film del 1938 Inventiamo l’amore di Camillo Mastrocinque e L’argine di Corrado D’Errico (Parigi, 1991-92, p. 8) e i numerosi articoli pubblicati in Domus, Lo Stile, Cinema, Bianco e nero, Rassegna d’architettura.
Per gli editori Görlich e Vallardi realizzò, dagli anni Quaranta alla fine degli anni Sessanta, una serie di volumi sull’arredamento e la scenografia; studiò con particolare attenzione gli apparati scenici teatrali e in specie quelli scaligeri, curando i cataloghi di mostre sul tema. Dal 1951 alla prima metà degli anni Sessanta diresse Prospettive, rivista di arredamento, decorazione, architettura e scenografia.
Morì a Milano il 31 maggio 1986.
Fonti e Bibl.: Cernobbio (Como), Anagrafe e Stato civile, Atti di nascita, Parte I, 1903, n. 38; Milano, Politecnico, Archivio storico di ateneo, Titolo XIII - Studenti, studenti decaduti e cessati, Fascicoli personali, ad nomen; Milano, Ordine degli architetti, pianificatori, paesaggisti e conservatori, Archivio storico.
S. Parigi, L’architetto cosmopolita, in Immagine. Note di storia del cinema, n.s., 1991-92, n. 19, pp. 7-9; P. Nicoloso, Gli architetti di Mussolini. Scuole e sindacato, architetti e massoni, professori e politici negli anni del regime, Milano 1999, pp. 72, 77, 108, 122 s., 125; F. Irace, Gruppo 7, in Dizionario dell’architettura del XX secolo, a cura di C. Olmo, II, Roma 2003, pp. 983 s.; Storia dell’architettura italiana. Il primo Novecento, a cura di G. Ciucci - G. Muratore, Milano 2004, ad ind.; C. Cresti, Architettura ‘coloniale’ per i territori italiani d’Oltremare, in C. Cresti - B. Gravagnuolo - F. Gurrieri, Architettura e città negli anni del fascismo in Italia e nelle colonie, Firenze 2005, pp. 74-76, 81, 84, 92 s.; Architetti e ingegneri italiani dal Levante al Magreb, a cura di E. Godoli - M. Giacomelli, Firenze 2005, pp. 297-302 (con regesto delle fonti archivistiche); I. Perna, C.E. R.: Coerenza umanistica di un architetto, tesi di dottorato, Università degli Studi di Napoli Federico II, 2007 (con regesto di opere e scritti); C. Volpi, Il palazzo delle Poste di Alessandria. Franco Petrucci architetto negli anni del regime, Roma 2012, pp. 79 s., 90 s.; A.C. Cimoli, Architetti viaggiatori: R., Alpago Novello e Caccia Dominioni, in Mondi a Milano. Culture ed esposizioni 1874-1940 (catal.), Milano 2015, pp. 228-231.