FARINA, Carlo
Nacque a Mantova, verosimilmente tra il 1600 e il 1605. Mancano notizie certe sulla sua origine familiare e sulla sua formazione. Si deve ricordare comunque che alcuni mandati della Camera ducale mantovana registrano per l'inizio del secolo XVII la presenza a corte di un "sonatore di viola" di nome Luigi Farina: oriundo di Casalmaggiore, si ammogliò in Mantova nel 1603 e, tre anni dopo, chiese ed ottenne la cittadinanza mantovana (Arch. di Stato di Mantova, Fondo Davari, busta 16, cc. 776, 797, 921 s.). L'attività di Luigi, il periodo in cui servì a corte e l'anno in cui contrasse matrimonio rendono del tutto plausibile l'ipotesi che egli sia stato il padre del Farina. Se la si accetta si può pensare che l'educazione musicale del giovane F. si sia compiuta essenzialmente nell'orbita dell'insegnamento paterno (fatto consueto per l'epoca) e del violinismo casalasco, che a corte era rappresentato, oltre che da Luigi stesso, dai violinisti Orazio e G. Battista Rubbini (ibid., c. 853).
I primi dati attendibili dell'attività del F. risalgono al 1625, anno in cui, su intercessione di Heinrich Schütz, ottenne un incarico come "sonatore di violino" a Dresda, presso la cappella dell'elettore di Sassonia. Un documento del Sächsisches Hauptstaatsarchiv di Dresda attesta la sua permanenza alla corte sassone per tutto il corso del biennio 1626-27 (Die Musik in Gesch...., III). Nel marzo-aprile del 1627 soggiornò, al seguito dello Schütz e della cappella di corte, a Torgau ove si svolgevano i festeggiamenti per le solenni nozze tra Sofia Eleonora di Sassonia e il langravio di Assia-Darmstadt. Qui il F. provvide alle musiche per il banchetto nuziale e il 13 aprile partecipò alla prima rappresentazione della Dafne di Schütz (la prima opera tedesca); nel medesimo giorno (come apprendiamo dal Terzo libro delle pavane, gagliarde, brandi..., pubblicato dal F. a compimento dell'esperienza di Torgau), una gagliarda di sua composizione fu "sonata et cantata in ecco". Nell'ottobre dello stesso anno seguì la cappella in una nuova trasferta a Mühlhausen. Per questo servizio straordinario, lo Schütz approntò una lista di musici scelti: in essa il nome del F. compare, a testimonianza del credito di cui godeva, al terzo posto (H. Schütz, Briefe und Schriften, pp. 86 s.).
Nell'estate del 1628, pochi mesi dopo la pubblicazione della sua quinta raccolta di danze (20 apr. 1628), il F. lasciò il suo incarico a Dresda. Il grave dissesto finanziario in cui versava la corte sassone fu, sicuramente all'origine di questo repentino congedo. Le spese di guerra avevano costretto l'elettore ad un drastico ridimensionamento della cappella e, nell'aprile-maggio del 1628, la crisi si era aggravata a tale punto che non fu più possibile garantire, nemmeno ai pochi musici rimasti, un regolare salario. Superate le difficoltà, sarà un altro violinista mantovano, Francesco Castelli, ad assumere, nel 1629, il posto del Farina.
Le lettere e i memoriali dello Schütz ci informano su alcuni particolari interessanti dell'attività svolta dal F. a Dresda. Sembra che egli, oltre alle ordinarie mansioni di "sonatore", fosse tenuto a insegnare il violino agli "instrumentisten Knaben" della cappella. Tracce di questa attività didattica si possono effettivamente riscontrare nelle accurate istruzioni esecutive che accompagnano la pubblicazione dei suoi brani strumentali più esuberanti. Per le suddette incombenze il F. percepiva un salario mensile di 11 talleri (equivalenti a 12-13 ducati veneziani); oltre a ciò gli venivano dispensati un bricco di vino al giorno ed un certo quantitativo di legna (H. Schütz, Briefe und Schriften, pp. 105-108).
Si ignora se il F., cessato il suo incarico alla corte sassone, sia subito rientrato in Italia; secondo Die Musik in Gesch...., XVI [Suppl.], col. 182, egli giunse alla corte dell'elettore Ferdinando di Baviera a Colonia il 20 genn. 1629. Le dediche delle sue due ultime raccolte a stampa (il IV e il V libro delle Pavane, gagliarde, brandi... editi entrambi nel 1628) farebbero pensare a un breve periodo (1629-30) trascorso al servizio dell'arcivescovo di Praga Ernest d'Arrach o del duca Johann Wilhelm di Schwamberg, ma non vi sono elementi in grado di confermarlo. Il rientro in Italia avvenne, comunque, sicuramente entro l'estate del 1631. Nell'autunno dello stesso anno, infatti, ottenne un incarico di prestigio a Parma, presso la chiesa di S. Maria della Steccata. Il F. iniziò a collaborare con la cappella della Steccata a partire dal 10 novembre; il 12 dicembre i deputati della chiesa, stimando che "nel concerto della musica dell'Oratorio della B. V. della Steccata fosse buona la parte del violino" lo ammisero ufficialmente nel numero dei musici di cappella "con scudi sei di provisione al mese" (Parma, Arch. dell'Ordine costantiniano di S. Giorgio, Ordinazioni, 1631-32, c. 235). Qui, nel marzo del 1632, in occasione delle musiche allestite per la festa dell'Annunciazione, fece conoscenza con Andrea Falconieri, all'epoca "musico di camera" del duca di Parma. Brevissimo, comunque, sembra essere stato il soggiorno parmense del Farina. Già nell'agosto del 1632, infatti, il suo nome non figura più nel ruolo dei salariati dell'oratorio, sostituito, per una curiosa coincidenza, ancora una volta dal suo altrettanto celebre concittadino "Fra Giov. Battista Bonamente dal violino" (ibid., c. 441, 27 ag. 1632).
Nulla si sa dell'attività svolta dal F. durante gli anni 1633-34. Questa mancanza di notizie suggerisce che egli, anziché trovare un impiego stabile, abbia continuato a prodursi occasionalmente spostandosi da una città all'altra. Nel settembre del 1635 si recò a Lucca, ove prese parte ai concerti per la ricorrenza della S. Croce. Egli doveva essere un esecutore alquanto apprezzato e celebre, poiché per tale prestazione ricevette un compenso ("8 scudi") di gran lunga superiore a quello percepito dagli altri musici convenuti per l'occasione (Arch. di Stato di Lucca, Deputazione sopra la musica della S.ta Croce, reg. 1, 14 sett. 1635). Nel 1636 lasciò nuovamente l'Italia per recarsi a Danzica, ove gli fu offerto un posto nella orchestra municipale. In un documento del 1637, attinente la sua attività in questa formazione, il F. è citato come "der jüngst bestalter Violinist" (Die Musik in Gesch...., III).
Si perdono da questo momento in poi le sue tracce e si ignorano sia l'anno sia il luogo in cui concluse la sua esistenza. È del tutto infondata infatti la notizia riportata dall'Eitner (p. 388) secondo la quale il F. tra il 1635 e il 1638 avrebbe prestato servizio a Massa e lì trascorso i suoi ultimi anni. L'equivoco ha origine da un passo non molto chiaro del Nerici (1879, p. 387) in cui si elencano i nomi dei musici intervenuti a Lucca per la festa della S. Croce, negli anni 1635-38. Poiché nell'elenco il nome del F. è citato incautamente accanto a quello di Giulio Bianchi, musico di cappella del principe di Massa, l'Eitner ne ha dedotto che anche il F. fosse al servizio del principe toscano.
Il corpus delle opere del F. comprende cinque raccolte a stampa di musica strumentale, tutte edite a Dresda tra il 1626 e il 1628 e destinate principalmente agli strumenti della famiglia del violino; si riportano qui, sommariamente, il titolo e il contenuto di ciascuna raccolta rimandando per una descrizione più completa al catalogo del Sartori (1952): Libro primo delle pavane, gagliarde, brandi, mascherata, aria franzese, volte, balletti, sonate, canzone à 2, 3, 4 voci, con il basso per sonare, Dresdae 1626 (contiene sei pavane, sei gagliarde, un brando, una mascherata, un'aria, tre volte, due balletti, cinque sonate e una canzone); Ander Theil newer Paduanen, Gagliarden, Couranten, Frantzösischen Arien, benebenst einem kurtzweiligen Quodlibet von allerhand seltzamen Inventionen, dergleichen vorhin im Druck nie gesehen worden, Sampt etlichen Teutschen Täntzen, alles auff Violen anmutig zugebrauchen. Mit vier Stimmen, I-IV, Dresden 1627 (contiene quattro pavane, otto gagliarde, dodici correnti, due arie francesi, un Capriccio stravagante e tre balletti "Allemanni"); Ilterzo libro delle pavane, gagliarde, brandi, mascherata, arie franzese, volte, corrente, sinfonie a 3, 4 voci con il basso per sonare..., Dresda 1627 (contiene sei pavane, otto gagliarde, un brando, una mascherata, due arie francesi, tre volte, sei correnti e sei sinfonie); Il quarto libro delle pavane, gagliarde, balletti, volte, passamezi, sonate, canzoni a 2, 3, 4 voci, con il basso per sonare ... anno 1628 in Dresda (contiene quattro pavane, quattro gagliarde, sei balletti, tre volte, due passamezzi, tre sonate, una canzone); Fünffter Theilnewer Pavane, Gagliarden, Brand, Mascharaden, Balletten, Sonaten mit 2, 3 und 4 Stimen auf Violen anmutig zugebrauchen, im 1628 Jahr (contiene quattro pavane, sei gagliarde, un brando, una mascherata, due balletti e due sonate).
Singolare virtuoso e audace innovatore, il F. contribuì assieme con il Fontana e il Marini al sorgere di un violinismo assai progredito, le cui conquiste rappresenteranno una base imprescindibile per Corelli e le scuole violinistiche di fine secolo. L'adozione di una scrittura idiomatica effettivamente rispondente alle risorse e alle potenzialità del violino costituisce, non a caso, l'aspetto più interessante delle sue opere. Tecniche e figurazioni idiomatiche, caratteristiche della successiva letteratura violinistica, sono impiegate a profusione già nelle cinque sonate del Libro primo. Nella sonata La Franzosina a due, ad es., che può considerarsi una sorta di condensato della nuova tecnica virtuosistica, il F. fa uso di ampi salti melodici, scale veloci, accordi spezzati (piuttosto rari all'epoca) e passaggi a corde doppie. Talora l'insistenza su un singolo aspetto tecnico può caratterizzare un'intera composizione, come nel caso della sonata La capriola (trilli con risoluzione in biscrome) e della sonata La polacca (rapidi passaggi in ritmo dattilico). Il registro acuto del violino, benché limitatamente alla terza posizione, è sfruttato ampiamente in quasi tutte le sonate, mentre nella sonata La desperata (libro quinto, 1628), sulla scia delle sperimentazioni già compiute da S. Rossi (1613) e da F. Turini (1621), il F. utilizza sapientemente il timbro caratteristico della quarta corda. Una scrittura non meno peculiare caratterizza le danze, i cui ritmi gai e assai spesso complicati ben si addicono alle qualità articolatorie dello strumento ad arco. Un trattamento a parte merita il celebre Capriccio stravagante (libro secondo, 1627), un brano notevolmente esteso (387 battute) e alquanto bizzarro che il F. stesso definì "un divertente Quodlibet di ogni sorta di singolare invenzioni". Qui, animato da intenti descrittivi, il F. spinge al limite le potenzialità timbrico-espressive del violino: con l'ausilio di una quantità di effetti fino a prima intentati ("col legno", "sul ponticello", "glissando", "tremulo", "pizzicato") sono imitati con successo i versi di alcuni animali ("il gallo", "la gallina", "il gatto", "il cane") e le proprietà esecutive di svariati strumenti musicali ("la lira da braccio", "il pifferino", "il tamburino", "la trombetta", "il clarino", "le gnachere", "il flautino" "il pifferino alla soldatesca", "la chitarra spagniuola"). Il brano, a testimonianza di una singolare coscienza didattica, è corredato nel fine da una serie di accurate istruzioni esecutive che costituiscono un autentico compendio pedagogico del violinismo avanzato di inizio Seicento. In esse, infatti, oltre alle necessarie istruzioni per la realizzazione degli effetti succitati, si danno anche consigli di diteggiatura e di "archata" per la corretta esecuzione dei passaggi veloci e delle corde multiple.
Meno interessanti e innovative appaiono, invece, sotto il profilo squisitamente musicale le opere del Farina. Le sue sonate sono, formalmente e stilisticamente parlando, assai più involute di quelle coeve di B. Marini (1626) e di D. Castello (1621). Alcune di esse sono sorprendentemente estese (le sonate La moretta e La capriola del Libro primo constano rispettivamente di 348 e di 295battute), ma ciò, più che il risultato dello sviluppo di una idea musicale o di un preciso impianto formale, è essenzialmente il prodotto dell'esuberante scrittura violinistica. La tipica struttura a brevi sezioni della canzone-sonata del primo barocco risulta nel F. ulteriormente frammentata dal ricorrere troppo frequente di cadenze perfette (Apel, 1974). Altresì scarsa appare l'attitudine allo svolgimento tematico: il trattamento fugato di un motivo, che informa positivamente le sonate del Rossi (1613) e di G.B. Buonamente (1626), sembra non interessare il F.; v'è, all'opposto, un'enfasi sullo sviluppo tematico a mo' di variazione, e una spiccata tendenza alla ripetizione motivica. Gli eccessi della ripetizione (particolarmente rilevanti nelle sonate a tre) sono tuttavia mitigati dall'impiego di un'originale forma dialogica consistente nel rapido scambio dello stesso motivo da una voce all'altra. Tale procedimento, che non trova riscontro nella letteratura sonatistica coeva, si differenzia dalla normale tecnica imitativa per il fatto che le due voci non si incrociano mai (Apel, 1974).
Notevole fu l'influenza esercitata dal F. sui violinisti-compositori tedeschi. I primi a subirne l'ascendente furono D. Cramer, J. Schop il Vecchio e J. Vierdanck. Ancora verso la fine del secolo i tratti più caratteristici del suo stile sonatistico (l'inclinazione al virtuosismo, il gusto per le variazioni e la musica programmatica) continueranno a incidere sulle opere di J. J. Walther (Hortulus Chelicus), J. P. Westhoff (1694) e H. Biber (Sonata degli animali, 1681).
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Mantova, Fondo Davari, busta 16, Maestri di musica cantori e suonatori, schede 381, 776, 797, 921 s.; Ibid., Arch. Gonzaga, Mandati (1618-26), c. 180, marzo 1622; Arch. di Stato di Lucca, Deputazione sopra la musica di Santa Croce (1545-1803), reg. 1 (carte n. n.), 14 sett. 1635; Parma, Arch. dell'Ordine costantiniano di S. Giorgio, Ordinazioni (1631-1632), reg. 478, c. 235, 12 dic. 1631; H. Schütz, Gesammelte Briefe und Schriften, a cura di E. H. Müller, Regensburg 1931, pp. 85 ss. e passim; M. Fürstenau, Beiträge zur Geschichte der Königlich Sachsischen musikalischen Kapelle, Dresden 1849, pp. 70 s.; L. Nerici, Storia della musica in Lucca, Lucca 1879, p. 387; A. Bertolotti, Musica alla corte dei Gonzaga in Mantova dal sec. XV al XVII, Milano 1890, pp. 73 s.; J.W. Wasielewskj, Die Violine und ihre Meister, Leipzig 1904, pp. 58-76 e passim; N. Pelicelli, Musicisti in Parma nel sec. XVII, in Note d'archivio, IX (1932), 3-4, p. 234; E. van der Straeten, The history of the violin, I, London 1933, pp. 50-53; H. J. Moser, Heinrich Schütz, Kassel 1936, pp. 32, 111 ss.; D. D. Boyden, The history of violin playing from its origins to 1761, London 1965, pp. 108, 130 ss.; A. Moser, Geschichte des Violinspiels, I, Tutzing 1966, pp. 95-99 e passim; W. Kolneder, Das Buch der Violine, Berlin 1972, pp. 285 ss.; W. Apel, Studien über die jrühe Violinmusik, in Archiv für Musikwissenschoft, XXXI (1974), pp. 207-210; M. F. Bukofzer, La musica barocca, Milano 1982, pp. 75, 165; W. S. Newman, The sonata in the Baroque era, New York 1983, pp. 207 s.; J. W. Wasiliewskj, Instrumentalsätze von Ende des XVI. bis Ende des XVII. Jahrhunderts, Bonn 1874, pp. 19 s.; C. Sartori, Bibl. della musica strumentale italiana stampata in Italia fino al 1700, Firenze 1952, pp. 310 ss.; H. L. Hirsch, in C. Farina, Capriccio stravagante a 4, Zürich 1980; F.-J. Fétis, Biogr. univ. des musiciens, III, p. 183; C. Schmidl, Diz. univ. dei musicisti, Suppl., p. 289; Die Musik in Geschichte und Gegenwart, III, coll. 1822 ss.; XVI, col. 182; R. Eitner, Quellen Lexikon der Musiker, III, p. 388; The New Grove Dict. of music and musicians, VI, pp. 395 s.; Diz. enc. univ. della musica e dei musicisti, Le biografie, II, p. 702.