SALASCO, Carlo Felice Canera
conte di. – Nacque a Torino il 13 settembre 1796 dal conte di Salasco Ignazio e da Daria dei marchesi Belcredi, insieme a un fratello gemello, Giuseppe, che morì in tenera età.
I Canera erano originari di Pinerolo; grazie alle ricchezze accumulate con il commercio e la finanza avevano ottenuto agli inizi del Seicento un’arma nobiliare e nel 1661 con Bartolomeo, che era diventato un influente banchiere di corte, il titolo di conti di Salasco (il feudo era stato comperato l’anno precedente). Di regola, in Piemonte le famiglie di recente nobilitazione puntavano a legittimare la loro nuova condizione tramite la carriera delle armi. I Canera di Salasco si adattarono tardivamente a questa ‘norma’: soltanto un fratello del nonno di Carlo, Giuseppe, fu militare di carriera, arrestandosi comunque al grado di maggiore di cavalleria. Ignazio divenne colonnello dei cavalleggeri, ma i suoi maggiori successi li ottenne a corte: negli anni Venti dell’Ottocento fu nominato gran falconiere in seconda e governatore della reggia della Venaria e fu gratificato con la gran croce dell’Ordine dei Ss. Maurizio e Lazzaro.
Una volta restaurati i Savoia, Carlo ottenne nel novembre del 1814 un brevetto di ufficiale. Il neosottotenente fu collocato nel corpo reale di stato maggiore generale: in esso sarebbe rimasto lungo quasi tutta la sua carriera. Nel 1823 si sposò con la diciannovenne Marianna dei marchesi Pallavicino delle Frabose: in tale occasione fu creato a suo beneficio un maggiorascato dotato di beni per 400 mila lire. Dal matrimonio con Marianna nacquero quattro figli, tre maschi, due dei quali, Carlo Felice Ignazio e Luigi, furono avviati alla carriera delle armi (il primo diventò nel 1882 tenente generale), e una femmina, Maria Luisa Flavia, che avrebbe avuto una vita parecchio avventurosa e travagliata (sarebbe stata, tra l’altro, molto vicina a Giuseppe Garibaldi, seguendolo nel 1860 in Sicilia).
Nel 1826 Carlo fu promosso maggiore e l’anno seguente aiutante di campo del re (gli spettava l’organizzazione dei viaggi della corte); sarebbe poi diventato anche primo scudiere e gentiluomo da camera della regia scuderia. Nel 1828 morì il padre e Carlo gli subentrò quale sesto conte di Salasco. Nel 1831 l’avvento al trono di Carlo Alberto non compromise la sua scalata alle posizioni di vertice delle gerarchie militari e della corte. Nel novembre di quello stesso anno fu promosso tenente colonnello e nominato primo ufficiale del ministero di Guerra e Marina.
Quando, nell’aprile 1832, Emanuele Pes di Villamarina fu collocato alla testa di quest’ultimo ministero, Salasco perse l’incarico di primo ufficiale senza tuttavia che la sua carriera ne risentisse: non soltanto fu promosso al grado di colonnello, ma fu anche chiamato a ricoprire l’importante incarico di segretario del ricostituito – da Carlo Alberto, dopo una lunga eclisse sotto Carlo Felice – Consiglio permanente di conferenza, un’istituzione che riuniva settimanalmente i ministri della Corona.
Salasco non rimase a lungo segretario della conferenza: stando ad Angelo Brofferio (1860), i suoi «verbali realmente non [avevano] né stile, né precisione, né lingua» (p. 80), un’opinione condivisa da Carlo Alberto. Il tenente colonnello ritornò pertanto a far parte dello stato maggiore in qualità di aiutante generale (un incarico equivalente a quello di vicecapo del corpo che condivise dal 1834 con Antonio Franzini) del quartier mastro generale dell’esercito e capo del corpo Annibale di Saluzzo. Nel 1838 fu promosso maggior generale, rimanendo peraltro nella medesima posizione nell’organigramma dello stato maggiore. Nei decenni che precedettero la campagna del 1848 si dedicò, tra l’altro, all’abbellimento della grande villa di famiglia del Torrione (Pinerolo) e del suo vasto parco all’inglese.
Nel marzo del 1848 le decisioni prese da Carlo Alberto di concedere una costituzione e di dichiarare guerra all’Austria incisero profondamente sulla carriera di Salasco. Il più che settantenne Annibale di Saluzzo fu accantonato e il suo posto di capo di stato maggiore fu assunto il 29 marzo dallo stesso Salasco, che fu promosso tenente generale, mentre la carica, in precedenza associata a quella di capo di stato maggiore, di quartiermastro generale fu affidata a Franzini, che era stato scelto quale ministro della Guerra nel primo ministero costituzionale e che fu incaricato di seguire Carlo Alberto al campo, complicando ulteriormente una questione, quella del comando dell’esercito, che era già fortemente aggravata dall’incompetenza militare del re.
Quest’ultimo aveva designato Salasco quale capo di stato maggiore non perché avesse una particolare fiducia nelle sue qualità, ma perché, come avrebbe spiegato a Giuseppe Dabormida in una lettera del 23 agosto 1848, «il se trouvait dans cette position par son ancienneté dans l’état major général» (Chiala, 1896, p. 120). In ogni caso, in tale occasione il re riconosceva a Salasco «qu’il a fait dans cette campagne tout ce qu’il a pu suivant les moyens que Dieu lui a donnés; qu’il a dans toutes les circonstances déployé un grand courage, qu’il ne s’est point laissé abattre dans les revers» (ibid.). In effetti, «les moyens que Dieu» (ovvero lo stesso Carlo Alberto, ma anche, scendendo di un gradino, il tipo di organizzazione dello stato maggiore, che gli impediva di assumere compiti operativi) «lui a donnés» (ibid.) erano stati quanto mai deludenti.
Come ha scritto Piero Pieri, all’inizio della campagna «più di tutti impreparato era lo Stato Maggiore, senza carte, senza piani, senza un proprio reparto di guide a cavallo, senza alcuna preparazione ai servizi di campagna e di collegamento fra i reparti; e senza un’intendenza degna di questo nome» (Pieri, 1962, p. 206).
Quando, a metà giugno, Franzini, irritato per non essere riuscito a influire sulla gestione della campagna, se ne ritornò a Torino, a fianco di Carlo Alberto rimase quale consigliere «il modesto generale Salasco, propenso soprattutto ad evitare di contraddire il suo signore» (p. 229).
Forse colui che meglio degli altri storici e cronisti coevi ci ha restituito il ritratto di Salasco quale capo di stato maggiore è stato Candido Augusto Vecchi: «di indole timida e servile, di scarso ingegno, metodico in ogni cosa, attivissimo, spingeva la devozione verso la persona del principe sino allo stremo. Nel campo ei si credeva in obbligo di continuare lo incarico di ciambellano, e il seguì sempre come l’ombra sua a piedi e a cavallo; e parte della notte passava quindi in veglia onde redigere que’ bollettini che tutti han letto [...] Travagliato dalla propria coscienza, chiedeva al suo signore il dispensasse da cure, le quali domandavano un’altra mente che la sua non fosse» (Vecchi, 1856, I, p. 79).
Proprio i «bollettini che tutti han letto» attirarono gli strali di Carlo Cattaneo, che criticò le notizie «affatto mendaci e insulse» diffuse dallo stato maggiore sardo e prese direttamente di mira, in un paio d’occasioni, lo stesso Salasco, accusandolo, da un lato, di essere autore di un «pomposo bollettino» (Cattaneo, 1849, p. 206) che aveva trasformato una sconfitta dei piemontesi in un successo, e dall’altro di aver fatto «bandire altamente la vittoria del re» (p. 241) nelle fasi iniziali della battaglia di Custoza.
Salasco aveva, secondo Vecchi (1856, I), la «fama di pessimo strategico» (p. 79). Pochi anni dopo Ferdinando Augusto Pinelli sarebbe stato del tutto d’accordo: il capo di stato maggiore era un «suddito fedele [che] sacrificava tutto alle convenienze di corte, e come uomo di guerra era completamente nullo» (Pinelli, 1855, p. 207).
Per di più su Salasco era ricaduta la «fatalità di aver dato il suo nome ad una convenzione coll’inimico» (Vecchi, 1856, I, p. 79), vale a dire all’armistizio, che aveva sottoscritto «per ordine del re» il 9 agosto 1848 insieme al capo di stato maggiore dell’esercito austriaco Heinrich von Hess, una firma che – come sottolineava Carlo Alberto – aveva sollevato contro di lui «une si grande animosité» (Chiala, 1896, p. 120) anche da parte di coloro che avevano in ogni caso ritenuto inevitabile quell’armistizio.
«Armistice déplorable, mais impossible à eviter», l’avrebbe giudicato in una sorta di romanzo-pamphlet politico anche la figlia del generale Maria di Salasco, che avrebbe comunque sottolineato che era «le résultat d’un dévouement dont peu d’hommes auraient été capables pour servir jusqu’à la fin leur roi et leur pays» (Martini Giovio della Torre, 1859, p. 46): si augurava anche che «le jugement de l’histoire sera plus calme et surtout plus vrai, et qu’il fera remonter la responsabilité de cet acte à sa véritable source» (ibid.). Quanto alla «véritable source», vale a dire il re, decise, sia pur cercando di salvare la forma, di sbarazzarsi di colui che era diventato il capro espiatorio della sconfitta: Salasco fu posto in aspettativa il 24 agosto 1848 e, dopo che una commissione d’inchiesta sulla campagna della prima guerra d’indipendenza aveva giudicato negativamente il suo operato, a riposo il 4 dicembre successivo.
Gli ultimi anni del generale non furono molto felici: i debiti contratti dai figli e altre vicende negative lo costrinsero a vendere nel 1853 il Torrione. Nel dicembre del 1865 gli morì la moglie; un mese più tardi, il 17 gennaio 1866 a Vercelli, anche il conte di Salasco la seguì nella tomba.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Torino, Ministero della guerra, Ruoli matricolari, Corpo di Stato maggiore generale, reg. n. 81, c. 152v; A. Manno, Il patriziato subalpino, IV, ms., c. 268. Inoltre: Raccolta dei regj editti, manifesti ed altre provvidenze de’ magistrati ed uffizj, XX, Torino 1824, p. 147; Gazzetta piemontese, 22 maggio 1832, p. 342; C. Cattaneo, Dell’insurrezione di Milano nel 1848 e della successiva guerra. Memorie, Lugano 1849, pp. 206, 241; F.A. Pinelli, Storia militare del Piemonte in continuazione di quella del Saluzzo, III, Dal 1831 al 1850, Torino 1855; C.A. Vecchi, La Italia. Storia di due anni 1848-49, I-II, Torino 1856; M. Martini Giovio della Torre [Canera di Salasco], Episode politique en Italie de 1848 à 1858, Turin 1859; A. Brofferio, I miei tempi, XIII, Torino 1860, pp. 70, 80; L. Chiala, La vita e i tempi del generale Giuseppe Dabormida. Regno di Carlo Alberto 1848-49, Torino 1896, passim; P. Pieri, Storia militare del Risorgimento. Guerre e insurrezioni, Torino 1962, ad indicem.