FORNARA, Carlo
Nacque a Prestinone (oggi frazione di Craveggia, provincia di Novara) il 21 ott. 1871, da Giuseppe Antonio, battitore di rame, e Anna Maria Nicolai. Manifestò subito una spiccata attitudine per il disegno e nel 1883 si iscrisse alla scuola di pittura "Rossetti Valentini" di Santa Maria Maggiore, a breve distanza dal paese natale.
Qui, per sei anni, studiò sotto la guida di E. Cavalli, pittore locale formatosi all'Accademia di Lione con J. Guichard, collaboratore di E. Delacroix nella decorazione della "sala di Apollo" al Louvre. Influenzato dal colorismo di A. Monticelli, frequentato a Marsiglia, esperto conoscitore del Rinascimento veneto e della pittura fiamminga e olandese, il Cavalli orientò le ricerche del giovane F. verso l'indagine sulla luce e sul colore, spronandolo alle esercitazioni dal vero e fornendogli fondamentali insegnamenti sulle tendenze avanzate dell'arte francese, dai romantici alla "Scuola di Barbizon", da J.-Fr. Millet agli impressionisti, a P. Cézanne. Nelle prove giovanili del F. sono inoltre evidenti le suggestioni della scapigliatura lombarda, come negli effetti luministico-atmosferici dell'Autoritratto del 1888 (Valsecchi - Vercelotti, 1971, p. 39, dove sono riprodotte molte opere del F., la maggior parte delle quali si trovano in collezioni private).
Terminati gli studi, nel 1891 il F. partecipò alla prima Triennale di Brera con Ricordanze e con La bottega del calderaio, nel quale "l'effetto di luce è studiato coll'amorosa coscienza di un antico pittore olandese", come egli stesso scrisse più tardi (Brevi memorie, in Convivium, XIX [1947], p. 542). Ricordanze fu collocato nella sala in cui erano esposti Maternità di G. Previati e Le due madri di G. Segantini. Fu questo il primo contatto del F. con il divisionismo, che subito gli apparve "un mezzo d'espressione atto a tradurre efficacemente in opere d'arte le sensazioni di luce che mi commuovevano" (Valsecchi - Vercelotti, 1971, p. 17).
Nel 1892 vide a Torino la mostra postuma di A. Fontanesi e per un anno dipinse sotto l'influenza del grande paesaggista. Intorno al 1893 apprese la scomposizione scientifica del colore attraverso la lettura de L'art moderne e Certains di J.-K. Huysmans (ibid., p. 49). Nel 1894 partì per la Francia, fermandosi a Lione, dove frequentò la locale pinacoteca; soggiornò poi a Marsiglia, ma non poté proseguire per Parigi a causa dei tumulti scoppiati per l'uccisione del presidente S. Carnot.
Rientrato a Prestinone nel 1895, si diede a rielaborare le conoscenze acquisite, mentre approfondiva lo studio della scomposizione cromatica attraverso i trattati di H.L.F. Helmholtz, M.-E. Chevreul, C. Henry, O.N. Rood. Le opere realizzate in questi anni, come Paesaggio di Toceno del 1894 (George, 1967, tavv. XVI-XVII), mostrano il travaglio compiuto per superare la tradizione e sono caratterizzate da impasti di colori densi, stesi con foga, in uno sforzo di estrema sintesi formale.
Nel 1896 il F. tornò a Lione e, finalmente, raggiunse Parigi. Vide al Louvre i grandi del Rinascimento e conobbe da vicino le opere di J.-Fr. Millet, G. Courbet, T. Rousseau e degli impressionisti. Tornato in Italia, riassunse le esperienze degli ultimi anni nel dipinto del 1897 En plein air (opera dispersa; Valsecchi - Vercelotti, 1971, tav. 26), una vivida scena in controluce dai colori tersi e brillanti. Inviato alla III Triennale di Brera del 1897, il quadro fu rifiutato dalla giuria "per le audacie dei rapporti cromatici, bollate di barbariche stonature" (ibid., p. 11). Lo scandalo suscitato dall'opera diede al suo autore improvvisa notorietà e gli valse l'ammirazione dei divisionisti, che lo accolsero nel loro gruppo e fecero esporre En plein air nella vetrina di un negozio milanese. Il Segantini procurò al F. un contratto con il mercante V. Grubicy e lo scelse quale collaboratore per l'esecuzione del Panorama dell'Engadina, che intendeva presentare all'Esposizione universale di Parigi del 1900 e che poi, per motivi finanziari, non venne realizzato.
L'incontro con il Segantini segnò profondamente l'opera del F., che da lui mutuò la caratteristica pennellata a filamenti. La stessa comunanza dei temi - paesaggi alpini colti nel variare dell'ora e delle stagioni, animali al pascolo, contadini al lavoro nei campi - alimentava quell'affinità tra i due artisti che non mancò di pesare sulla fortuna critica del F., da taluni considerato soltanto un imitatore del Segantini (Quinsac, 1972, pp. 59 n. 17, 165 n. 12). Tuttavia, opere come Pascolo alpino (1898) e Ottobre sui monti (1905), pur rivelando l'impronta segantiniana, dimostrano anche la diversa, cristallina chiarezza delle immagini del F. che, a differenza del maestro, non si serviva della scomposizione divisionista in funzione dell'idealizzazione del soggetto.
Alla Biennale di Venezia del 1899 il F. espose Pomeriggio estivo (coll. privata; ripr. in Divisionismo italiano, 1990, p. 103) e Pascolo d'ottobre, che fu sfregiato da un antidivisionista fanatico. Nel 1900 vinse con En plein air la medaglia d'argento all'Esposizione universale di San Francisco. In occasione della Triennale di Brera dello stesso anno espose il trittico di ascendenza segantiniana L'annuale vicenda, comprendente Mattino d'aprile (o Ciliegi in fiore) conservato in collezione privata (ripr. ibid., p. 105), Ombra estiva e Sera di settembre. Sempre con un trittico partecipò nel 1902 alla Quadriennale di Torino, dove espose La parabola della natura, formata da Autunno (Il presagio), Tristezza invernale (La morte) e La primavera (Vita nuova).
In omaggio al Segantini, scomparso nel 1899, il F. riprese il motivo dell'incompiuto Trittico della natura, vasta composizione allegorica sul ciclo della vita e della morte cui il maestro aveva lavorato negli ultimi anni di vita. La Parabola della natura appartiene al breve periodo simbolista del F., presto superato dal suo "temperamento latino avverso alle astruserie nordiche", come dirà in Brevi memorie (p. 545).
Nel 1904 partecipò all'Esposizione universale di Saint Louis e l'anno seguente ottenne la medaglia d'oro all'Esposizione internazionale d'arte di Monaco di Baviera. Al Salon des peintres divisionnistes italiens di Parigi del 1907 il F. ebbe una sala individuale e nel 1909 fu ancora a Parigi al Salon d'automne. Nel 1910 ricevette una medaglia d'oro in occasione dell'Esposizione universale di Bruxelles e l'anno seguente compì un viaggio in America latina, durante il quale ottenne alcune commissioni. Nel 1912 espose di nuovo a Parigi con i divisionisti, quindi alla Latin-British Exhibition di Londra e alla Walker Art Gallery di Liverpool. La Biennale veneziana del 1914 gli dedicò una sala individuale con 24 opere, tra cui due quadri del 1908, Vocogno (Venezia, Galleria d'arte moderna) e L'ombra si stende. Nel 1916 espose con Previati alla Permanente di Milano.
Nella prefazione al catalogo della mostra milanese, N. Salvaneschi (1916), mentre sottolineava le analogie tra il Segantini e il F., riconobbe l'originalità di quest'ultimo nell'intensità luminosa delle tele e nello schietto sentimento della natura, immune da finalità filosofiche. Invece U. Boccioni (1916) accusò il F. di essere un "verista minuto inebriato del particolare", criticando la staticità delle sue immagini, che tuttavia ammirava per la preziosità cromatica.
Tra il 1916 e il 1917 il F. dipinse La conquista della Terra, grande composizione poi collocata nella sala del Parlamento di Buenos Aires. Nel 1921 partecipò alla prima Biennale romana, dove gli fu dedicata una sala individuale. Nel 1922, dopo la morte di A. Grubicy, che l'aveva designato esecutore testamentario, il F. si ritirarò a Prestinone, dove, pur rifiutando di esporre, continuò a dipingere fino agli ultimi anni di vita (per questo periodo si veda il suo Parla l'erede spirituale di G. Segantini, in Il Secolo XX, XXVII [1928], agosto, pp. 426-430).
Il tema prediletto delle sue opere rimase il paesaggio delle valli ossolane, ma al divisionismo prettamente segantiniano sostituì sempre più spesso una fattura pittorica più libera, quale si ritrova nei tocchi di colore impressionistico de La tête d'or del 1925 o nella singolare accensione cromatico-luminosa de La casa dell'artista del 1945.
Nel 1932 il F. sposò Elia Biscaldi, che morì nel 1940. Nell'immediato dopoguerra l'artista apparve in un documentario di E. Scopinich sulle antiche tradizioni artistiche della Val Vigezzo. R. Calzini pubblicò nel 1949 una monografia con la quale contribuì a risvegliare l'interesse per il F., in parte dimenticato anche a causa del volontario allontanamento dalla scena pubblica.
Il F. morì a Prestinone il 15 sett. 1968; l'anno seguente una serie dei suoi taccuini fu pubblicata a cura di C. Mattei - F. Vercelotti (Bello di colore, Milano 1969).
Fonti e Bibl.: N. Salvaneschi, in Esposizione collettiva: G. Previati e C. F. (catal.), Milano 1916, pp. 28-49; U. Boccioni, in Gli Avvenimenti, II (1916), 15, p. 5; G. Bertacchi, Come nasce un paesaggio, in Le Vie d'Italia, XLII (1936), pp. 47-50; A. Locatelli Milesi, F., Bergamo 1939; R. Calzini, F., Milano 1949; M. Bernardi, in Omaggio a F. (catal., Galleria Narciso), Torino 1966; W. George, F., Novara 1967; Archivi del divisionismo, a cura di T. Fiori, Roma 1968, ad Indicem; M. Valsecchi, Nature mortedi C. F., Novara 1970; Mostra del divisionismo italiano (catal.), Milano 1970, pp. 116-118, tavv. 99-103; M. Valsecchi - F. Vercelotti, C. F. pittore, Milano 1971 (con bibl.); A.P. Quinsac, La peinture divisionniste italienne…, Paris 1972, ad Indicem; G. Cesura, Enrico Cavalli e la pittura vigezzina, Pero (Milano) 1974, pp. 51-60; Divisionismo italiano (catal.), Trento 1990, pp. 52-63, 100-111, 445 s., 474; G. Ginex, in La pittura in Italia. L'Ottocento, Milano 1991, II, p. 831; U. Thieme - F. Becker, Künstlerlexikon, XII, pp. 214 s.; Encicl. Italiana, XV, p. 709.