FORTEBRACCI, Carlo
Figlio di Andrea, detto Braccio da Montone, e di Nicola da Varano, della famiglia signorile di Camerino, nacque a Perugia il 1° sett. 1421 mentre il padre era impegnato militarmente nel Regno. Il 21 marzo 1423 fu promesso con sponsalia de futuro ad Anna Colonna, figlia di Lorenzo. Il 6 giugno 1424 un consiglio pubblico, convocato nel palazzo di famiglia per la morte di Andrea, lo designò alla successione nella signoria di Perugia, affidando la reggenza al fratellastro Oddo; ma poco dopo, mentre erano in atto le trattative per il ritorno della città al dominio diretto della Chiesa, egli riparò con la madre a Città di Castello, possesso paterno non ancora rivendicato dalla S. Sede, dove all'inizio di settembre un tentativo insurrezionale ai suoi danni, promosso forse dal fratellastro, fu duramente represso. La precarietà dei pochi domini rimasti ai Fortebracci insidiati sempre più apertamente dalla S. Sede, indusse Nicola da Varano ad accostarsi a Filippo Maria Visconti, duca di Milano, che disponeva di un esercito dislocato in Umbria contro Firenze, nel quale militava suo fratello Giovanni. Nel settembre Città di Castello accolse le truppe ducali.
Nel gennaio 1426 Gualdo si dette alla Chiesa, ma il mese successivo il castello fu trasferito dal papa Martino V in gubernationem ai signori di Camerino. Nel dicembre 1427 la reggente fu invitata a restituire alla S. Sede anche Montone. Il 1° genn. 1428 giunse a Perugia un decreto di scomunica contro Nicola, che coinvolgeva chiunque avesse rapporti con lei e con i territori non ancora restituiti. Il 12 gennaio Gualdo scelse di tornare all'obbedienza della Chiesa. Città di Castello insorse, cacciò i bracceschi, riammise i fuorusciti e chiese di trattare col papa, rifiutando di consegnarsi al governatore di Perugia. Nicola da Varano, invece, il 10 aprile accettò di conciliarsi col papa con la mediazione dei fratelli Berardo e Gentilpandolfo; il 13 aprile lasciò il F. a Montone e si rifugiò a Camerino, dove nel luglio successivo morì.
Forse nel febbraio-marzo 1431, approfittando della vacanza della Sede apostolica, i magistrati di Perugia donarono al F. 30 corbe di grano, da lui richieste a pagamento, per gli uomini della rocca di Montone di cui sembra tornato in possesso: è, questo, il primo degli atti liberali con cui i Perugini, con uno stato d'animo - evidentemente diffuso e comunque documentatissimo - oscillante fra la benevolenza (nostalgia per il padre che aveva portato Perugia al ruolo di importante capitale, pietà per l'orfano) e il furbo investimento (prima la speranza e poi la effettiva carriera di capitano del beneficiario) gratificheranno il F. per l'intero arco della vita. Una delle prime richieste che gli ambasciatori perugini rivolsero al neoeletto Eugenio IV fu quella di concedere in vicariato al F. Montone, Gualdo e Rocca Contrada nella Marca. Il pontefice concesse il vicariato di Montone per un triennio. Nel maggio 1434 il F. ricevette in dono dal governo perugino 300 fiorini d'oro raccolti fra i partecipanti ai Consigli cittadini.
Nell'agosto del 1435 il F. era al seguito di Niccolò della Stella, figlio di una sorella del padre (appunto Stella), impegnato a conquistare Camerino - erettasi a Repubblica dopo la strage dei da Varano - per farne base di partenza della riconquista della Marca totalmente egemonizzata da Francesco Sforza. Presente alla battaglia del 23 o 24 agosto presso il castello di Fiordimonte nel contado camerte, durante la quale Niccolò venne mortalmente ferito, solo per caso il F. sfuggì alla cattura da parte di Alessandro Sforza. Nello scompiglio che seguì la morte di Niccolò, Montone si dette a Guidantonio da Montefeltro, ma pochi giorni dopo tornò al precedente signore. Soddisfatto del recupero, sicuramente favorito da Perugia, il F. all'inizio di ottobre visitò la città dove fu accolto con onori e subito dopo si recò a Firenze dal papa, che, intenerito dall'età e dalla sorte del ragazzo, gli rinnovò il vicariato su Montone. Nel mese di novembre tuttavia, temendo un agguato di Giovanni Vitelleschi, impegnato nella ricomposizione dello Stato pontificio, riparò a Siena dove incontrò Francesco di Niccolò Piccinino; con lui e con la sua famiglia stabilì stretti e duraturi rapporti. Il 26 novembre il Vitelleschi occupò Montone, rimosse il castellano lasciato dal F. e vi nominò un suo luogotenente.
Nel giugno 1438 il F., con alcune compagnie di Niccolò Piccinino nelle quali militavano ancora veterani bracceschi, occupò Montone. Il 30 giugno 1440 era accanto a Niccolò Piccinino nella grande sconfitta che questi subì ad Anghiari ad opera delle milizie pontificie e fiorentine tra loro collegate: lo stesso capitano consigliò al figlio e al F. di riparare a Sansepolcro dove i due, certo senz'altra scelta e desiderosi di procurarsi qualche merito, si adoperarono per un ritorno della città al dominio diretto della S. Sede. Sempre al seguito del Piccinino partecipò alle campagne contro gli sforzeschi in Umbria e nella Marca. Alla fine di novembre ebbe un ruolo importante nella presa di Assisi sostenuta dai mercenari sforzeschi. Il 13 gennaio successivo il Piccinino lo nominò luogotenente dell'armata che lasciava in Umbria e suo rappresentante in varie città fra le quali la stessa Perugia. Sembra che siano da attribuire al F. l'assalto di Camerino del 26 novembre, la conquista della città il 29 dello stesso mese, e la restaurazione della Signoria nelle persone dei cugini adolescenti Rodolfo e Giulio Cesare da Varano.
Il 19 agosto il F. partecipò alla battaglia di Montolmo nella Marca, nella quale Francesco Piccinino venne sconfitto e fatto prigioniero da Francesco Sforza: il F. si salvò dandosi alla fuga, indi riparò nel Perugino. La morte di Niccolò Piccinino, avvenuta nell'ottobre del 1444 gettò nello sconforto i suoi collaboratori più stretti: il F. da Montone raggiunse Perugia dove cercò appoggi per ottenere una condotta dal papa. Insieme con Giacomo, altro figlio del Piccinino, chiese inoltre in prestito al Comune 2.000 fiorini e 100 corbe di grano con cui provvedere ai mercenari. ll 10 novembre il F., Giacomo e Francesco Piccinino - quest'ultimo appena liberato per intervento del Visconti - minacciarono Assisi per ottenere il denaro utile al loro trasferimento in Lombardia al soldo del Visconti. Al momento della composizione delle compagnie, però, il F. ruppe con Francesco Piccinino, che si sarebbe riservato per la sua il maggior numero di cavalieri e di veterani bracceschi, rinunciò alla condotta e riparò a Montone coi suoi armati, per sfamare i quali venne soccorso con 300 fiorini e 100 corbe di grano dai Priori delle arti di Perugia.
Il 16 marzo 1445 a capo di 800 cavalli e 400 fanti, con la provvisione di 1.500 fiorini al mese, entrò al servizio di Sigismondo Malatesta, impegnato contro Federico da Montefeltro. Il F. compì incursioni da Montone nei territori del Montefeltro, reiteratamente si spinse fino alle porte di Gubbio uccidendo e razziando uomini, bestiame e cose. Perugia, alleata con Firenze di cui Federico era raccomandato, a partire dal luglio fino al successivo febbraio spedì ambasciatori al F. perché sospendesse gli attacchi, ma quest'ultimo ancora nei giorni 12-14 giugno 1446 ripeté le razzie. Nel novembre il F. partì con circa 800 uomini per la Lombardia per servire il Visconti, dopo aver affidato Montone alla cugina Giacoma Fortebracci, figlia dello zio Giovanni, vedova di Malatesta Baglioni.
La condotta si interruppe bruscamente nell'aprile 1447: in maggio giunse a Perugia la notizia che il F. si era sottratto all'arresto disposto dal Visconti fuggendo con molti cavalli a Venezia. Nel giugno egli stesso comunicò alle autorità perugine di essere al servizio di Venezia con 500 lance e di essere stato nominato comandante supremo della fanteria. Non partecipò, tuttavia, alla battaglia di Caravaggio del 15 settembre, rovinosa per Venezia, forse a motivo di una ferita riportata in un precedente scontro. Il 25 o 26 luglio del 1452 il F., mandato da Venezia con 2.000 cavalli a danneggiare il Lodigiano, riportò una grande vittoria su Alessandro Sforza, inviatogli contro dal duca di Milano.
I successi militari, forse alcune vanterie, un suo probabile ritorno in Umbria dopo la pace di Lodi fecero temere al papa Niccolò V che il F. aspirasse a costituirsi uno Stato e in particolare ad impossessarsi di Perugia, dove il ricordo dei trionfi di Braccio era ancora vivo. I legami tra il F. e Perugia rimanevano, infatti, stretti: Pasquale Malipiero, doge di Venezia, con lettera del 25 febbr. 1460 comunicò che i cittadini perugini, per intervento del F., erano considerati alla stregua di cittadini veneziani e potevano quindi liberamente commerciare senza sottostare ad oneri discriminanti; nell'estate del 1460 la seconda moglie del F. (si ignora quando la prima sia morta), Margherita Malatesta, figlia di Sigismondo, giungendo per la prima volta a Montone, ricevette dai Priori perugini doni preziosi. Nel maggio 1462 fu inviato a Perugia un commissario di Pio II per il quale sarebbe stata in atto una congiura volta a consegnare al F. la città: le risposte imbarazzate degli organi comunali e la pronta accettazione di una compagnia pontificia di fanti fanno ritenere non infondati il sospetto e la trama.
Non si hanno notizie di rilievo intorno al F. per i circa tre lustri che egli trascorse al soldo di Venezia, al comando di una compagnia che annoverava non pochi sudditi di Terraferma ed aveva la sua base principale a Brescia. La condotta e l'intesa, insolitamente lunghe, si interruppero nel 1475.
La sconfitta subita nel 1476 dall'esercito veneziano nel Friuli per una irruzione dei Turchi indusse la Serenissima a richiamare il F. dalla Toscana alla volta della quale si era allontanato l'anno precedente. Giunto nel territorio devastato, si impegnò principalmente nella riorganizzazione militare della provincia e nel riassetto delle fortificazioni. Nel dicembre, lasciata Venezia senza prospettiva di nuovo ingaggio, raggiunse Rimini, avendo con sé molti cavalli e fanti, desideroso di tornare a Montone per far svernare le truppe. Sisto IV, pur temendo per Perugia e per la pace nella regione, alla fine parzialmente consentì: il F. dovette impegnarsi a raggiungere Montone coi soli familiari, ma il 27 marzo 1477, quando entrò nel castello, molti soldati lo accompagnavano, oltre ai figli bastardi, ed altri saranno introdotti successivamente.
Deciso a realizzare, ad imitazione del padre, un importante dominio e a corto di mezzi per provvedere ai molti mercenari, il F. attaccò su vari fronti: compì reiterate razzie nei territori più prossimi a Montone, in particolare in quello di Città di Castello; minacciò Siena per il pagamento di una rilevante somma dovuta al padre - morto cinquantatré anni prima - e mai corrisposta; rinfocolò il partito braccesco all'interno di Perugia e cercò pretesti contro il governo comunale.
Il 15 giugno il governatore di Perugia inviò al F. un ambasciatore per ingiungere a nome del papa l'abbandono di Montone: Sisto IV si dichiarava disposto ad offrire altrove quartieri per le truppe e 2.000 ducati l'anno in attesa di un ingaggio della compagnia da parte di qualche principe. Il 19 giugno il F. lasciò Montone, il 22 era già in territorio senese, dove raggiunto da molti perugini venuti al suo soldo, occupò alcuni castelli e si appropriò di alcune migliaia di capi di bestiame, soprattutto sul monte Amiata. Nei primi di luglio, dopo uno scontro con le truppe senesi accorse in Val d'Orcia, il F. si stabilì a Chianciano. Ai primi di agosto batté Antonio, figlio di Federico da Montefeltro, venuto nel Senese con molti armati. Federico giunse presso Perugia il 9 agosto e il 25 mosse all'assedio di Montone, ma poco dopo vi giunse a rafforzare la guarnigione Bernardino figlio del F. con 260 cavalieri.
Nel mese di ottobre le accuse di connivenza col F. si estesero a numerosi perugini appartenenti a famiglie importanti: di certo molti cittadini si erano illusi che il F. potesse riportare Perugia al ruolo di capitale rivestito al tempo di Andrea Braccio. Il 23 ottobre furono nominati ambasciatori incaricati di protestare al papa la fedeltà dei Perugini e di rivendicare per il Comune il possesso di Montone e per i Baglioni alcune località prossime usurpate dal F.: la consegna di Montone ai rappresentanti pontifici avvenne, probabilmente, il 23 ottobre. L'iniziativa militare contro il F. venne giustificata da Sisto IV come necessaria per la quiete d'Italia e per la salute della cristiana repubblica.
Il F. era allora lontano dall'Umbria, in Friuli, impegnato nella difesa di Udine, chiamato d'urgenza dalla Serenissima minacciata ancora da presso dai Turchi. Nel mese di agosto il F. a Cividale si batté con successo ancora contro la cavalleria turca incoraggiata nell'invasione, pare, dallo stesso Ferdinando I di Napoli, alleato di Sisto IV contro Firenze.
Il 22 apr. 1479, lasciata Venezia, il F. raggiunse con 50 cavalli Firenze dove stavano confluendo i capitani da contrapporre all'esercito pontificio-napoletano per la ripresa della guerra scoppiata l'anno precedente come conseguenza della fallita congiura dei Pazzi: a Perugia correva voce che egli potesse essere nominato comandante generale della lega, ma gli venne preferito Ercole d'Este e il F. restò a capo di sole 7 squadre affiancato dal figlio Bernardino a capo di 3. Dopo un vantaggioso impiego nel territorio di Pisa, sulle rive del Serchio, contro Roberto da Sanseverino, il F., per la conoscenza che aveva del territorio e per le adesioni di cui continuava a godere a Perugia, venne dislocato insieme con Deifobo Piccinino in territorio umbro, dove i Perugini per non dispiacere e al papa e a Firenze vivevano una condizione difficile di neutralità armata invisa a entrambi i contendenti. Il F., entrato nell'agro perugino, occupò vari castelli, indi si spinse fino alla città, dove assaltò porta Sant'Angelo nella speranza vana di una sollevazione cittadina in suo favore.
I soliti nostalgici approfittarono della situazione difficile per Perugia per consigliare un ritorno al dominio braccesco. Ma i giorni del F. erano ormai contati: rifugiatosi malato a Cortona - in quei mesi imperversava la peste in Umbria, ma nessun cronista specifica la malattia - vi morì il 17 giugno e venne seppellito nella chiesa di S. Agostino.
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