DOTTI, Carlo Francesco
Nacque il 31 dic. 1669 (come risulta dal documento di battesimo: "Anno mill.imo secent.imo septuag.imo die prima mensis januariego ... Baptizavi infantem heri natum ...", pubbl. in Matteucci, 1969, p. 177) a Piazza Santo Stefano (ora frazione di Cernobbio) nella diocesi di Como, da Giovanni Paolo, architetto, che gli insegnò il mestiere, e da una Margherita.
Insieme con Alfonso Torreggiani e i membri della famiglia Galli Bibiena, specializzati soprattutto nella progettazione di teatri e di scene teatrali, il D. è uno dei più importanti architetti di Bologna nella prima metà del XVIII secolo. La sua formazione, il campo delle sue attività e i suoi interessi sono emblematici della situazione dei numerosi architetti attivi nelle città dello Stato pontificio, nelle quali mancavano grosse commissioni a causa dello scarso mecenatismo e di una situazione economica per lo più precaria. In particolare, poi, a Bologna, all'inizio del XVIII secolo, le strutture cittadine ancora largamente intatte e l'accresciuta consapevolezza del valore del patrimonio architettonico della città limitavano l'attività degli architetti e la indirizzavano soprattutto verso il restauro e il risanamento urbano. Così il lavoro del D. comprende, oltre al santuario della Madonna di S. Luca, al rimodernamento di S. Domenico, all'arco del Meloncello o all'osservatorio dell'Istituto delle scienze, soprattutto edifici minori, ma anche spesso lavori di restauro e di abbellimento.
Il nonno paterno del D., Francesco (1577-1665), era già attivo a Bologna nel campo dell'architettura nella prima metà del XVII secolo. Sulla formazione e sulla prima attività del D. non si sa nulla: i primi documenti conosciuti si riferiscono ai lavori di restauro al teatro Marsigli Rossi degli anni 1710-11. Lo stesso D. ricorda, nel suo trattato Esame sopra la forza delle catene a braga con che si dimostrano le bragature essere inutili per reggere l'urti degli archi, e volte... (Bologna 1730), un lavoro in via di S. Mamolo del 1709. Si può pensare che egli fece prima di tutto pratica nel campo della cosiddetta "architettura minore" e in qualità di capomastro.
Con lo scritto, già edito a Bologna nel 1710, Ragioni con le quali si dimostra il perché sia insolvibile il quesito famoso delle terre aggravate con ineguale proporzione delle pertiche espresso in due dialoghi: e si dimostra la fallacia delle regole fino ad ora ostentate e con il cit. Esame sopra la forza delle catene a braga ... dimostrò di essere in grado di formulare in termini teorici le sue esperienze pratiche. Su queste basi egli espresse, tra il 1731 e il 1759, numerosi pareri come "architetto del Senato". In tal senso definì anche la sua posizione di fronte all'Accademia Clementina, di cui entrò a far parte nel 1747 e che dovette lasciare in seguito alla polemica sul suo trattato relativo al restauro della cupola di S. Pietro (Divertimento architettonico, e Progetto, ideato nell'anno MDCCLIII …; presentato alla Clementina nel 1749 e poi all'Accademia di S. Luca). Tale posizione era incompatibile con l'accademismo internazionale sostenuto dalla tradizione dei Galli Bibiena. Il D. rimase legato alla pratica tradizionale di Bologna e della sua provincia, pur orientandosi verso modelli di matrice bibienesca più alla moda e artisticamente più avanzati ogni volta che progetti un po' ambiziosi gliene fornivano l'occasione. La sua partecipazione, attestata dal Milizia (1784), al concorso per la facciata di S. Giovanni in Laterano a Roma e la sua proposta per , il restauro della cupola di S. Pietro consentono di affermare che il D. cercava di ottenere riconoscimenti anche al di fuori dei ristretti confini di Bologna. Certamente mancò in entrambe le occasioni ora ricordate il successo sperato e il D. dovette in ambedue i casi rassegnarsi alla delusione.
Il D. trascorse tutta la vita a Bologna, dove abitava a via del Pratello. Sposò Caterina Tartarini ed ebbe tre figli, due dei quali furono architetti; Giovanni Paolo (1707-1755), attivo collaboratore del D. (cfr. Matteucci, 1969, p. 53 n. 56), e Giovanni Giacomo.
Morì a Bologna il 3 giugno 1759.
Nel valutare l'opera architettonica del D. bisogna certamente considerare la tradizione dell'Italia settentrionale e specificatamente quella bolognese, nonché la particolare situazione culturale di Bologna, il tipo di committenza e il fatto che l'impegno del D. fu per molto tempo di natura spiccatamente artigianale. Questo impegno si manifesta soprattutto nella semplicità delle decorazioni e nella frequente rinuncia all'uso degli ordini architettonici.
Solo dopo i quarant'anni la sua attività si qualificò come più propriamente architettonica. Accanto ai lavori citati vanno ricordati quattro disegni del 1713 (Bologna, Bibl. comunale, Raccolta Gozzadini; cfr. Matteucci, 1969, pp. 68 ss., 73) per la cappella del Crocefisso in S. Francesco (ora distrutta). R possibile che appartenga a questo primo periodo anche un disegno (Ibid.; cfr. Matteucpi, 1969, pp. 67 s.) con progetti alternativi per il restauro del campanile della chiesa di S. Giovanni Battista dei Celestini. Lo stesso D., nell'Esame sopra la forza delle catene a braga..., indica il 1715 come data per il refettorio del monastero di S. Stefano nel quale furono usate le "armature di ferro privo di braga". Si presentò alla ribalta per la prima volta in relazione con il progetto e la costruzione dell'arco del Meloncello negli anni 1714-1732. Non è stato appurato con certezza quando fu scelto per questo incarico e quanta parte ebbe nell'esecuzione. È forse possibile datare al 1714 uno dei quattro disegni a noi pervenuti (Arch. di Stato di Bologna; cfr. Matteucci, 1969, pp. 73, 75, ill. 9). Questo disegno al contrario degli altri tre, anonimi, prospetta la soluzione di un arco a forma di ponte che sarà la stessa richiesta nel 1718 e che sarà in seguito realizzata: ciò fa pensare a una precoce partecipazione del D. all'iniziativa. R comunque importante notare che il D. dovette tener conto di un progetto probabilmente di Francesco Galli Bibiena al quale è stato a lungo attribuito l'arco del Meloncello. Anche se il D. afferma in una dichiarazione indirizzata al committente marchese Monti e firmata con la qualifica di "architetto" (Arch. di Stato di Bologna; cfr. Matteucci, 1969, p. 80) di aver modificato il progetto precedente, non si può, tuttavia, negare l'influsso dello stile scenografico dei Galli Bibiena nella decorazione.
Nel 1722 fu affidata al D. l'esecuzione del progetto di Giov. Paolo Sacchi (1717) per la ricostruzione del santuario della Madonna di S. Luca. Ma nel 1723, al momento dell'inizio dei lavori, il D. non appare più come capomastro, bensì come architetto, autore, verosimilmente, di un proprio progetto.
Del progetto del Sacchi venne mantenuta solo la pianta ovale. Nonostante i numerosi disegni rimasti, non sono del tutto chiare le fasi di sviluppo del progetto e della costruzione della chiesa , che fu consacrata soltanto nel 1765 (cfr. Matteucci, 1969, pp. 84-99). È probabile che il D. abbia iniziato ben presto a elaborare modifiche allo schema iniziale. Un disegno della pianta, che per il modo in cui è eseguito deve essere considerato come un bozzetto di presentazione, porta una annotazione del D. relativa alla posa della prima pietra nel 1723 (Bologna, Bibl. comunale, Raccolta Gozzadini; cfr. Matteucci, 1969, pp. 88 s., fig. 26). Il disegno, al pari di due progetti probabilmente precedenti, mostra una chiesa di pianta ovale con una cappella maggiore al termine dell'asse longitudinale e, anteriormente, un nartece ricurvo. La chiesa romana dei Ss. Luca e Martina di Pietro da Cortona è stata sempre considerata come modello per la pianta e per la conformazione dell'interno, inconsUetamente sontuosa per il Dotti. Resta da stabilire se il richiamo a quella chiesa, anch'essa dedicata a S. Luca, fu una scelta del D. o dei suoi committenti. Certo il D. doveva conoscere bene la chiesa, poiché soggiornò a Roma nel 1726 e qui chiese consiglio all'Accademia di S. Luca - cui apparteneva la chiesa dei Ss. Luca e Martina - per la sistemazione dell'antica immagine della Madonna e dalla stessa Accademia dovette ricevere anche altri suggerimenti. In contrasto con l'interno, la cqnformazione esterna della chiesa è estremamente lineare, con semplici lesene e rientranze e con il portico disadorno, tutti elementi formali tipici del D., e già presenti nell'arco del Meloncello. Situata fuori della città, la chiesa presenta le caratteristiche tipiche dell'architettura dei santuari di pellegrinaggio che hanno nei Sacri Monti il loro prototipo.
Dopo l'assunzione di questi due incarichi ha inizio, nel terzo decennio, il periodo più prolifico dell'attività del Dotti. Nel 1723 gli fu affidato il compimento dell'osservatorio astronomico dell'Istituto delle scienze progettato nel 1712 da Giuseppe Antonio Torri. Lavorò per questo importante istituto prima come capomastro, poi come architetto: eseguì nel 1734-37 le modifiche alla facciata di palazzo Poggi (sede dell'Istituto), che rispettarono largamente la precedente struttura, e tra il 1722 e il 1726 fece i primi progetti per la biblioteca dell'Istituto, che fu inaugurata solo nel 1756.
Numerosi disegni e documenti (cfr. Matteucci, 1969, pp. 121-129) testimoniano le lunghe fasi di progettazione ed esecuzione della biblioteca prevista in un primo momento di dimensioni relativamente piccole. Grazie all'iniziativa del cardinale G. Alberoni e dell'arcivescovo Prospero Lambertini, il futuro papa Benedetto XIV, il D. fu incaricato nel 1735 di progettare una biblioteca più ampia, estesa nel 1735 anche all'area dell'adiacente cortile. Nel 1741 la strutturazione dell'ambiente, coperto da una volta a botte, era andata parecchio avanti, ma fino al 1755 si continuò a discutere sulla costruzione e sulla decorazione soprattutto dell'atrio.
Al 1751 è datato un disegno (della Raccolta Gozzadini) del D. per una biblioteca del Collegio di Spagna, sempre a Bologna, che però non è mai stato realizzato (Matteucci, 1969, pp. 155).
Nel 1727, in connessione con il progetto di rimodernamento del tetto di S. Domenico, reso possibile dall'intervento finanziario di papa Benedetto XIII, il D. formulò un parere sullo stato complessivo della chiesa (in Raccolta Gozzadini; cfr. Matteucci, 1969, pp. 181-187). Tenendo conto delle cattive condizioni di questa, propose in un primo tempo un progetto di ricostruzione, che venne respinto per motivi economici. Il D. avanzò allora una nuova proposta che prevedeva la ricostruzione del tetto a un'altezza uniforme e lasciava così aperta la possibilità di rimodernare successivamente anche l'interno. Nel 1727 il nuovo tetto fu costruito secondo questo progetto e nel 1728 iniziarono i lavori all'interno. Diversi disegni e due relazioni del D. documentano le sue idee in proposito (Raccolta Gozzadini; cfr. Matteucci, 1969, pp. 102-109, 181-187). Queste furono criticate dai colleghi e indussero A. Torreggiani ad inviare un grandioso progetto alternativo a papa Benedetto XIII, il quale di conseguenza sospese i finanziamenti. Il rimodernamento della chiesa trovò invece l'approvazione di alcuni contemporanei, come G. Zanotti, che lodarono l'equilibrato rapporto con le precedenti strutture. Il D. riuscì ad armonizzare l'interno con mezzi relativamente semplici e al contempo eleganti ed ad abbellirlo secondo il gusto dell'epoca, mantenendo in larga misura la pianta e le cappelle laterali. L'articolazione delle pareti si rifà a un modello ben conosciuto con archi alti alternati ad aperture più piccole quadrangolari. Le proporzioni dell'ambiente vennero corrette innalzando il livello del pavimento, dopo che l'altezza complessiva era stata fissata con il rifacimento del tetto. Nonostante le numerose difficoltà l'edificio, sicuramente il lavoro più importante del D. insieme con la Madonna di S. Luca, fu terminato nel 1732.
Negli anni seguenti il D. fece altri lavori di restauro. La Guida di Bologna (Bologna 1782) gli attribuisce il rimodernamento dell'interno della chiesa di S. Maria della Morte (ora distrutta). Elementi stilistici lo hanno fatto riconoscere come autore delle decorazioni dell'interno di S. Maria delle Muratelle (Matteucci, 1969, p. 151). Meno consistenti furono gli interventi sul coro di S. Procolo nel 1744 e sul presbiterio di S. Maria Maggiore nel 1748 per incarico di Benedetto XIV. Il particolare interesse del D. per l'attività di restauro, attività che era diventata importante a causa della mancanza di commissioni per nuove costruzioni, è documentato soprattutto dai suoi progetti per la cattedrale bolognese di S. Pietro e per S. Petronio, sempre a Bologna, e da quello per il restauro della cupola della basilica vaticana.
Alcuni disegni per la cattedrale bolognese risalgono a prima del 1743, anno in cui cominciarono, per iniziativa di Benedetto XIV, i lavori per ultimare l'interno e la facciata della chiesa su progetto di A. Torreggiani. Mentre quest'ultimo prevedeva il rispetto delle strutture esistenti, il progetto del D. comportava cambiamenti radicali nella disposizione dell'interno, in particolare l'ampliamento della navata e la costruzione di un'alta cupola a tamburo sopra l'antico presbiterio. Si deve sottolineare che i primi disegni del D. (nella Raccolta Gozzadini; cfr. Matteucci, 1969, pp. 140-147) modificavano solo leggermente il progetto del Torreggiani per l'interno e per la facciata negli elementi strutturali e formali e presentavano una versione in certo modo più classica. L'alternativa presentata successivamente dal D. potrebbe essere considerata un tentativo di proporre un progetto grandioso, adeguato al significato e all'importanza della cattedrale. In questo senso è anche da intendere una ulteriore modifica prevista dal D., consistente nella costruzione di una cupola. Un tema, questo, che indubbiamente lo interessava, come dimostrano il suo impegno per la cupola della basilica di S. Pietro e il suo progetto mai realizzato per una cupola nella chiesa di S. Maria della Vita, del 1743.
Analoghi intenti seguì il D. nel suo progetto "alla moderna" per S. Petronio. Il problema del completamento della facciata della chiesa si ripropose nuovamente nel 1747. Una relazione del D. del 16 sett. 1748 ed un disegno probabilmente contemporaneo, molto simile ad un progetto di F. Morandi (il Terribilia), mostrano che in un primo tempo l'architetto era favorevole ad attuare il progetto gotico (cfr. Matteucci, 1969, pp. 152-55). Però già l'anno successivo egli proponeva una più consistente alternativa "alla moderna", che è documentata da numerosi disegni e anche da una pianta in cui il D. prevedeva la costruzione di una navata trasversale e la unificazione delle cappelle laterali (ibid.). Tenendo presente l'importanza dell'incarico, non fa meraviglia che il D., per la facciata, si rifacesse, come già per l'interno della Madonna di S. Luca, a modelli romani: così per il corpo centrale fiancheggiato da doppie colonne laterali o per il doppio arco, come anche per il frontone spezzato o per le edicole laterali. Elementi borrominiani, questi ultimi, inconsueti per il repertorio formale del Dotti. A prescindere dalla difficoltà costituita dall'ampiezza e dalle proporzioni della facciata di S. Petronio, il progetto, che è una giustapposizione di forme diverse piuttosto che una sintesi, denuncia i limiti del Dotti.
Questi poté nutrire maggiori ambizioni di quelle dimostrate con i due progetti ora ricordati, quando nel 1743 si inserì con una proposta nella discussione sul restauro della cupola di S. Pietro a Roma, che fu rinforzata tra il 1743 e il 1748 con anelli di ferro su parere di G. Poleni. Secondo il progetto del D. il consolidamento della cupola doveva essere realizzato con sei anelli di ferro e, in più, con l'inserimento di archi di sostegno tra le colonne del tamburo; ma il suo parere, inviato a Roma a Benedetto XIV, giunse troppo tardi. Egli ebbe un ringraziamento da parte del papa, ma ormai i provvedimenti per il consolidamento della chiesa erano già avviati. Nonostante la risposta negativa, il D. non abbandonò il progetto e negli anni seguenti si occupò della storia edilizia di S. Pietro. La pubblicazione delle Memorie istoriche della gran cupola di S. Pietro di G. Poleni nel 1748 (Padova), che il D. lodò molto, lo indusse presumibilmente a cercare di ottenere la stampa del suo manoscritto. Questo, articolato in più parti, aveva come titolo Divertimento architettonico, e progetto, ideato nell'anno MDCCXLIII, per fortificare la gran cupola di S. Pietro di Roma con muramenti sodo, ed elegante, oltre le catene di ferro già state proposte, con cui non si guasterebbero, né i comodi lasciati dal Bonaruota, né la eleganza di sua architettura secondo il progetto di Carlo Francesco Dotti architetto dell'Eccelso Senato di Bologna (pubbl. postumo dal figlio Giovanni Giacomo nel 1793). L'opera, che il D. presentò nel 1749, prima all'Accademia Clementina e poi all'Accademia di S. Luca, non trovò sostenitori. Da una parte il tema non era più tanto attuale da meritare una pubblicazione, dall'altra il progetto del D. fu criticato per le modifiche previste al progetto originario di Michelangelo.
Sulla base di disegni e di documenti (cfr. Matteucci, 1969), sono riconosciuti come lavori dei D. alcuni edifici religiosi di minore importanza: la chiesa di S. Sigismondo a Bologna eseguita da Pietro Rosina su progetto del D. nel 1725-28, la chiesa parrocchiale di S. Giovanni a Minerbio costruita nel 1733-37 e la chiesa parrocchiale di S. Sebastiano a Renazzo di Ferrara, consacrata nel 1754. Tutte e tre queste chiese presentano, come la Madonna di S. Luca, l'esterno semplicemente articolato tramite rientranze e lesene, elementi tipici dell'architettura minore. La cappella di S. Ivo nella chiesa di S. Petromo, eseguita per progetto dei D. del 1752, e assai modesta nell'insieme, mentre più articolata era la struttura della corte interna del monastero di S. Giovanni Battista dei Celestini (ora molto cambiata), in cui il D. usò le solite parietali insieme con colonne e pilastri. Non fu eseguito un progetto successivo del D., del 1732, per il monastero delle suore terziarie domenicane (Raccolta Gozzadini: cfr. Matteucci, 1969, p. 109, fig. 53). Di poca importanza furono incarichi come la costruzione di una nicchia nel portico della chiesa di S. Nicolò, del 1732, o il progetto per il campanile del duomo di Medicina del 1752, che fu ultimato da Angelo Venturoli nel 1777.
Poco spettacolari furono anche le opere che il D. eseguì come "architetto del Senato" tra il 1731 e il 1759: la strada pubblica del 1735 e il granaio pubblico del 1736, entrambi distrutti, come anche è distrutto il ponte sul Savena costruito nel 1739-41.
Resta molto da chiarire sulla parte avuta dal D. nell'edilizia privata a Bologna. Egli è ricordato a proposito del rimodernamento di diverse facciate e dell'ampliamento e abbellimento di alcuni palazzi (cfr. Matteucci, 1969); si tratta tuttavia quasi esclusivamente di edifici che sono attribuiti sia a lui sia a Torreggiani.
Per gli scritti del D., oltre a quelli citati all'interno della voce, cfr. Matteucci, 1969.
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