GIBERTONI (Ghibertoni), Carlo Francesco
Figlio di Paolo e di Caterina Soleri, nacque a Carpi, nel Modenese, il 21 dic. 1635, e fu battezzato nella chiesa collegiata dell'Assunta il giorno successivo (Carpi, Archivio della cattedrale, Libro dei battezzati, VI, c. 173 n. 170). A partire da Cabassi (ms. 1784) il G. è stato confuso con un omonimo artigiano attivo nei primi anni del secolo XVII; e solo in tempi recenti si è fatta luce sull'equivoco e sono state individuate le due distinte figure (Massinelli; Manni).
Sulla base di una documentazione rinvenuta da Manni (pp. 72-81) è stata rivalutata così l'attività del G. che si svolse in Toscana nella seconda metà del XVII secolo. Una supplica scritta dal G. al duca di Modena, Francesco II d'Este, il 16 marzo 1686, in cui si dichiarava carpigiano ed esule dalla patria per un grave crimine di omicidio, era intesa a ottenere un permesso di soggiorno in Garfagnana, a Vallico, per poter realizzare un altare in scagliola. Non avendo terminato il lavoro, l'istanza fu ripresentata nel settembre 1687; e anche in questo caso venne accolta. Le opere riconducibili al G. (Manni) si trovano nella chiesa parrocchiale di S. Michele a Vallico di Sopra in provincia di Lucca. Si tratta di tre altari provvisti di paliotti, scaffe e ancone realizzati in scagliola a tarsie geometriche di finti marmi policromi con intrecci di volute e racemi di raffinata semplicità. È questo un procedere del tutto particolare che si ritrova nell'altra impegnativa impresa da riferirsi al G., già ricordata dalle fonti antiche (Richa, p. 75), eseguita tra il 1694 e il 1695. Essa consiste nell'intera decorazione parietale, nell'altare con il tabernacolo e nell'ancona nell'oratorio di S. Tommaso d'Aquino alla Pergola a Firenze, realizzazione di grande prestigio che usando materiali poveri intendeva rivaleggiare con le tarsie marmoree delle manifatture fiorentine.
Alcuni studiosi (Colombi Ferretti, p. 237; Massinelli, pp. 18-20; Manni, pp. 72-81) hanno voluto riconoscere nel G. anche il "Carolus Gibertonius" che firmò piani di tavolo operati in scagliola policroma con gustosi motivi d'effetto trompe-l'oeil: carte geografiche dell'Italia e del mondo, oggetti e strumenti per il disegno, nature morte, carte da gioco, il tutto in pittoresco disordine, eseguiti a colori su fondo nero, che si conservano nel palazzo Piccolomini di Pienza e in alcune raccolte private. In questo caso, però, non vi sono riferimenti documentari, né similitudini che consentano di confermare l'attribuzione. Rimane aperta l'ipotesi che si tratti di un altro personaggio.
Non si conoscono il luogo e la data di morte del Gibertoni.
Non si hanno informazioni documentarie sulla vita e l'attività del più anziano scagliolista omonimo, Carlo Francesco, la cui nascita va indicata verso la seconda metà del XVI secolo, anche se i registri battesimali di Carpi e della parrocchia suburbana di Cibeno, dove la famiglia possedeva beni e risiedeva, non rendono alcuna informazione al riguardo. Le notizie su questo secondo artista sono scarse e appaiono comprese tra il 1614 e il 1619. La sua attività iniziale non dovette essere quella di scagliolista, in quanto, secondo Cabassi, dipingeva a olio scene sacre e di soggetto profano sulle tavole in scagliola eseguite da Guido Fassi a imitazione di ardesia, lavagna, pietra di paragone o marmi policromi che venivano richieste, per il loro basso costo, in Toscana. Il 15 giugno 1615 risulta essere a Lucca intento a questa attività; e nel 1619 comunicava di doversi recare a Modena per dipingere nella chiesa delle monache del Corpus Domini la Vergine Addolorata e il S. Giovanni Evangelista, che fiancheggiavano un Crocifisso in rilievo, opera ancora esistente nel XVIII secolo e descritta come lavoro "mediocre" e di anonimo nella guida della città di G.F. Pagani. Secondo quanto ci riferisce Cabassi nel tardo Settecento si potevano identificare in Carpi altre sue opere, tutte dipinte in scagliola: un'Adultera in casa Sacchelli; l'Annunciazione presso i Foresti; una S. Cecilia di proprietà Rocca. Quest'ultimo quadretto era datato 15 giugno 1615 e firmato. Inoltre nella raccolta dello stesso Cabassi era un Crocifisso eseguito però a "impasto a pietra nera", il che lascia supporre trattarsi non di pittura ma di vero e proprio intarsio in scagliola. Con questa tecnica tradizionale si conserva in una raccolta privata di Carpi un frammento di paliotto d'altare eseguito con accurata perizia, identificato da R. Cremaschi (p. 47), che reca la firma di "Carlo Francesco Ghibertoni" e una data, ora non più completa, ritenuta in modo dubitativo 1646 (Manni, pp. 36 s.). Ciò permetterebbe di riconoscere un concreto riscontro operativo dell'artista che pare non discostarsi dalla coeva produzione dei primi scagliolisti carpigiani, avvicinandosi ai modi di Gaspare Griffoni, diretto allievo di Guido Fassi. Si tratta della parte centrale di un paliotto a fondo nero con medaglione centrale reso in dicromia bianca e nera, secondo l'imitazione di incisioni a bulino, raffigurante la Sacra Famiglia con s. Anna, s. Giuseppe e altra santa con giglio. Nella cornice inferiore, intorno alla scritta autografa con data e firma, rimane parte dell'elegante ghirlanda di fiori policromi intrecciati con volute intesa come approccio mimetico delle tarsie marmoree che reca annodato in basso lo stemma dei Federici, la famiglia committente dell'opera, che si trovava in origine nell'altare della cappella di S. Anna in Cibeno eretta nel 1647 (Garuti - Colli, 1990, p. 354). La data di costruzione dell'oratorio presso la villa suburbana dei Federici si accosta a quella presumibile della realizzazione del paliotto.
Fonti e Bibl.: G. Richa, Notizie istoriche delle chiese fiorentine, VII, Firenze 1758, p. 75; G.F. Pagani, Le pitture e sculture di Modena, indicate e descritte, Modena 1770, p. 62; E. Cabassi, Notizie degli artisti carpigiani con le aggiunte di tutto ciò che ritrovasi d'altri artisti dello Stato di Modena (ms., 1784), a cura di A. Garuti, Modena 1986, pp. 95 s.; G. Tiraboschi, Biblioteca modenese, Modena 1786, p. 432; A. Guaitoli, L'arte della scagliola a Carpi nel XVII e XVIII secolo, Carpi 1928, pp. 28 s.; E. Neumann, Materialien zur Geschichte der Scagliola, in Jahrbuch der Kunsthistorischen Sammlungen in Wien, LV (1959), pp. 88, 116; R. Cremaschi, L'arte della scagliola carpigiana nei secoli XVII, XVIII e XIX, Mantova 1977, pp. 43 n. 2, 47; A. Colombi Ferretti, I paliotti in scagliola, in Vita di borgo e artigianato. Cultura popolare nell'Emilia Romagna, Milano 1980, pp. 222, 237; A. Garuti - D. Colli, Carpi,Guida storico-artistica, Reggio Emilia 1990, p. 354; A. Garuti, La scagliola carpigiana tra produzione e diffusione, in D. Colli - A. Garuti - R. Pelloni, La scagliola carpigiana e l'illusione barocca, Modena 1990, p. 79; F. Cappelloni, I paliotti di scagliola della Valle Intelvi, tesi di laurea, Università degli studi di Milano, facoltà di lettere e filosofia, a.a. 1993-94, pp. 37, 43; A.M. Massinelli, Scagliola. L'arte della pietra di luna, Roma 1997, pp. 16-20; G. Manni, I maestri della scagliola in Emilia, Romagna e Marche, Modena 1997, pp. 16 s., 36 s., 72-81; U. Thieme - F. Becker, Künstlerlexikon, XIII, pp. 546 s.