CANEVA, Carlo Francesco Giovanni Battista
Nato a Udine il 22 apr. 1845 da Luigi e da Caterina Giavadoni, fu allievo dell'Accademia militare di Wiener-Neustadt e dopo della scuola d'artiglieria di Märisch-Weisskirchen, conseguendo il grado di sottotenente nell'esercito austriaco. Partecipò alla guerra del 1866 combattendo in Boemia nelle file del 7º reggimento d'artiglieria; quindi, in seguito alla cessione all'Italia del Veneto, lasciò l'esercito austriaco ed entrò in quello italiano il 31 genn. 1867 come sottotenente d'artiglieria. Frequentò la scuola di applicazione d'artiglieria e genio, poi, promosso luogotenente (1869), la scuola superiore di guerra, passando quindi nel corpo di Stato Maggiore. Capitano nel 1875, maggiore nel 1882, poi tenente colonnello capo di Stato Maggiore della divisione di Genova, nel 1891 ottenne il grado di colonnello e il comando del 41º reggimento di fanteria, che tenne fino al 1895. Fu quindi capo di Stato Maggiore del VI corpo d'armata e poi dal settembre 1896 al marzo 1898 in Eritrea, dove prese parte alla campagna contro i Dervisci. Maggior generale nel 1898, comandò per quattro anni la brigata Re; tenente generale nel 1902, resse successivamente la divisione di Palermo e quella di Messina, indi dal 1904 al 1907 fu comandante in seconda del corpo di Stato Maggiore. Tenne poi il comando della divisione di Verona, nel 1909 passò a quello del VII corpo d'armata di Ancona e subito dopo a quello del III corpo d'armata di Milano; il 30 sett. 1910 ricevette la designazione al comando di un'armata in caso di guerra.
Verso la metà del settembre 1911 il C., che si era appena messo in luce dirigendo il partito vincente nelle grandi manovre estive, fu prescelto a comandare il corpo d'armata speciale incaricato di occupare la Tripolitania e la Cirenaica (il conferimento ufficiale dei pieni poteri militari e civili è dell'8 ottobre). Data la repentinità con cui il governo Giolitti aveva deciso di ricorrere alle armi, i piani e le predisposizioni relative dovettero essere improvvisati dal C. e dal generale Pollio, capo di Stato Maggiore dell'esercito, in pieno accordo del resto con le autorità governative e gli ambienti che avevano appoggiato l'espansione italiana in Africa settentrionale. Si deve quindi attribuire al C. solo una responsabilità minore nella sottovalutazione delle difficoltà dell'impresa. Poiché infatti si calcolava che le truppe turche in Tripolitania e Cirenaica (meno di 5.000 uomini) non avrebbero avuto l'appoggio delle popolazioni arabe, fu ritenuta sufficiente per il corpo di spedizione italiano una forza totale di 34.500 uomini, 6.300 quadrupedi e 72 pezzi d'artiglieria. Con queste truppe furono occupati tra il 4 e il 21 ott. 1911 i centri di Tobruk, Tripoli, Derna, Bengasi, Homs; ma i violenti combattimenti di Sciara Sciat e Bu Meliana (oasi di Tripoli, 23 e 26 ottobre) dimostrarono che i Turchi avevano dietro a sé tutta la popolazione ed erano quindi in grado di impedire ogni progresso italiano nell'interno e addirittura di esercitare una seria minaccia per i presidi delle città occupate.
La strategia italiana fu perciò sottoposta a revisione, sulla linea di una relazione del C. al ministro della Guerra del 6 novembre. Prima della fine dell'anno vennero sbarcati in Tripolitania e Cirenaica altri 67.000 uomini, 8.300 quadrupedi e 154 pezzi d'artiglieria, con i quali furono consolidate le occupazioni italiane dei centri costieri e iniziati grossi lavori di fortificazione. La proclamazione fatta dal C. della legge marziale in tutta la regione (23 ottobre) segnò inoltre l'inizio di una politica più dura verso la popolazione. Attraverso perquisizioni, processi ed esecuzioni sommarie, distruzioni di case e di coltivazioni e il blocco economico tra le oasi costiere e l'interno, i comandi italiani miravano a stroncare la resistenza araba dando la misura della loro potenza e decisione.
Questa linea d'azione metteva le truppe italiane al sicuro da rovesci parziali (e infatti tutti gli attacchi turco-arabi alle fortificazioni italiane nel corso dell'inverno vennero respinti con successo), ma allontanava nel tempo l'estensione del dominio italiano a tutto il territorio libico. Ne derivava un grave ostacolo all'azione diplomatica per il riconoscimento internazionale della sovranità italiana sulla Tripolitania e la Cirenaica, proclamata unilateralmente il 5 nov. 1911. Giolitti e il ministro degli Esteri San Giuliano richiesero quindi a più riprese e con energia una più dinamica condotta della guerra, ma il C., sempre più convinto delle difficoltà della situazione, fu sostenuto da Pollio e dal ministro della Guerra Spingardi, decisi a evitare ogni rischio di insuccesso anche parziale che riaprisse le ferite di Adua. Anche le proteste della stampa nazionalista, che accusava il C. di inerzia, non ne scossero la posizione.
L'espansione del dominio italiano in terra libica fu quindi proseguita con cautela, più che altro con l'ampliamento dei campi trincerati attorno ai centri costieri. Nel corso dell'inverno fu esteso il controllo italiano a tutta l'oasi di Tripoli. Poi la primavera 1912 vide lo sviluppo di offensive a medio raggio: nell'aprile ebbero inizio le operazioni nella zona di Zuara (occupata in agosto) e del confine tunisino, in giugno fu attaccata Zanzur, tra giugno e luglio conquistata Misurata. Alla fine d'agosto le truppe del C. avevano esteso il dominio italiano a tutta la fascia costiera della Tripolitania; assai minori i progressi in Cirenaica, sempre limitati ai dintorni dei centri occupati. Tutto l'interno restava saldamente nelle mani degli arabo-turchi, tanto che il governo italiano fu costretto a cercare una soluzione del conflitto colpendo la Turchia nell'Egeo.
A fine agosto il C. fu richiamato a Roma e il 2 sett. 1912 esonerato dal comando, che fu ripartito tra il generale Ragni, per la Tripolitania, e il generale Briccola, per la Cirenaica. Con questo provvedimento il governo voleva dare l'impressione che la situazione si andasse normalizzando, tanto da non richiedere più un comando unico (e infatti erano a buon punto le trattative diplomatiche col governo turco). Per evitare che l'esonero del C. assumesse un significato punitivo, egli fu promosso generale d'esercito (19 sett. 1912), il più alto grado della gerarchia militare conferibile solo a chi avesse comandato un'armata in battaglia. Un anno e mezzo più tardi, nel maggio 1914, il C., raggiunti i limiti d'età, lasciò il servizio attivo.
Durante la prima guerra mondiale il C. non fu richiamato in servizio, a causa dell'età ormai avanzata e del grado superiore a quello di Cadorna. Furono proprio il suo alto grado e l'estraneità al conflitto in corso a farlo designare come presidente della commissione nominata dal presidente del Consiglio Orlando il 12 genn. 1918 per indagare sulle cause e le responsabilità del disastro di Caporetto. La Commissione d'inchiesta sul ripiegamento dall'Isonzo al Piave era composta, oltre che dal C., da sei membri: il generale Ragni, l'ammiraglio Canevaro, l'avvocato generale militare Tommasi, il senatore Bensa e gli onorevoli Raimondo e Stoppato. I poteri della commissione erano ampi e il suo lavoro fu minuto e scrupoloso, anche se non immune da critiche. Sembra infatti ormai accertato (sulla base della testimonianza del senatore Paratore, allora assai legato al presidente del Consiglio) che fu un intervento di Orlando (sollecitato a sua volta da Diaz) a indurre la commissione a sorvolare sulle responsabilità di Badoglio, per evitare una crisi del Comando Supremo nel momento di maggiore pericolo. Ad un invito del genere non poteva certo sottrarsi il C., sempre compenetrato di profondo rispetto per l'autorità.
La relazione della commissione d'inchiesta, consegnata al presidente del Consiglio Nitti il 24 luglio 1919 e subito resa nota nella sua parte essenziale, fu oggetto di immediate violente polemiche e poi progressivamente sepolta sotto un silenzio disdegnoso perché aveva mosso documentate accuse ai comandi italiani. Effettivamente la relazione rigettava la responsabilità del crollo del fronte italiano sulle autorità militari e particolarmente su Cadorna e Capello, che avevano chiesto alle truppe già logore sforzi sanguinosissimi e sempre nuovi, portandole sull'orlo del collasso. Di questo malgoverno dei soldati erano fornite prove numerose ed efficaci, che diedero esca alle critiche socialiste e giolittiane al momento della pubblicazione della relazione. Le destre rimproverarono alla commissione di aver insistito solo su questo aspetto della sconfitta, lasciando in ombra sia i combattimenti (in modo da non dover chiamare in causa Badoglio) sia soprattutto le responsabilità del governo e delle sinistre. Questi rimproveri non sono privi di fondamento. Va però considerato che Cadorna e la propaganda d'ispirazione militare e nazionale avevano ributtato ogni colpa sul crollo morale dei soldati, cioè in ultima analisi sul governo e sul disfattismo, coinvolgendo socialisti, giolittiani, Parlamento e Orlando in un'unica condanna. La commissione, a sua volta, capovolgeva queste accuse, addossando ogni responsabilità ad alcuni generali, ma salvando l'organismo militare nel suo complesso, il Parlamento e i partiti; accertava quindi responsabilità innegabili, ma non conduceva a fondo la sua analisi politica. La relazione offriva così a Nitti la possibilità di chiudere il dibattito sulle responsabilità di Caporetto con il sacrificio di alcuni generali (Cadorna, Capello, Porro e Cavaciocchi, messi in congedo all'inizio del settembre) e con l'assoluzione di tutte le altre forze in questione, dall'esercito ai partiti.
Calmatasi l'eco delle polemiche, il C. fu fatto membro della commissione consultiva creata il 25 luglio 1920 dal ministro della Guerra Bonomi per aiutarlo nel riordinamento dell'esercito. Morì a Roma il 25 sett. 1922.
Tra i riconoscimenti che aveva avuto nella sua lunga carriera, ricordiamo la nomina a cavaliere di gran croce, decorato del gran cordone della Corona d'Italia (1909), quelle a senatore (marzo 1912) e a cavaliere di gran croce, decorato del gran cordone dell'Ordine dei SS. Maurizio e Lazzaro (1913) e il conferimento del gran cordone dell'Ordine coloniale della Stella d'Italia (1915).
Fonti e Bibl.: Per la carriera del C. sino al 1911si vedano l'Enc. Ital. e l'Enc. militare,ad vocem ed i necrologi apparsi sulla stampa il 26 sett. 1922, ad esempio quello di A. Gatti sul Corriere della Sera. Cisiamo inoltre avvalsi di notizie forniteci dall'Ufficio storico dello Stato Maggiore dell'esercito. Per la campagna di Libia, la bibliografia sull'operato del C. si confonde conquella sulla guerra. Citiamo perciò solo la relazione ufficiale curata dallo stesso C. e le opere più recenti: Ministero della Guerra, Ufficio storico, Campagna di Libia (1911-1912), I-V, Roma 1922-27; Comitato per la documentazione dell'opera dell'Italia in Africa, L'opera dell'esercito, a cura di M. A. Vitale, Avvenim. milit. e impiego. Africa settentr. 1911-1943, Roma 1964, ad Ind.;E. De Leone, La colonizz. dell'Africa del Nord, Padova 1960, II, pp. 339-448; F. Malgeri, La guerra libica, Roma 1970, ad Ind. Per la commissione d'inchiesta su Caporetto, Dall'Isonzo al Piave,24 ott.-9 nov. 1917. Relazione della Commissione d'inchiesta sul ripiegamento dall'Isonzo al Piave,nominata con decreto 12 genn. 1918, I-III, Roma 1919; G. Rochat, L'esercito italiano da Vittorio Veneto a Mussolini 1919-1925, Bari 1967, pp. 67-129; P. Alatri, Nitti,D'Annunzio e la questione adriatica, Milano 1959, ad Indicem;A. Monticone, La battaglia di Caporetto, Roma 1955, pp. 29 s.