GIANELLI (Giannelli), Carlo
Proveniente da una famiglia di stampatori torinesi (il padre Giovanni Antonio morì intorno al 1654), non se ne conoscono data e luogo di nascita (presumibilmente Torino). Il G. esordì come lavorante al servizio dell'azienda dei Tarino, una famiglia che sul commercio delle "strazze" e dei libri aveva costruito una solida posizione sociale e una buona base economica.
Dal dicembre 1634 risulta iscritto, come altri librai e stampatori torinesi, alla Confraternita dei Disciplinati di S. Croce, associazione caratterizzata da un'attività di tipo devozionale e assistenziale che, a differenza dell'elitaria congregazione dei mercanti, riuniva uomini di diverso ceto: dai più umili lavoranti a professionisti ormai affermati, compresi avvocati e notai.
Sino al 1650 esercitò per lo più il mestiere di semplice libraio. Superate le prime difficoltà dovute alle congiunture economiche e alle incertezze determinate dal fatto che Torino era, all'epoca, una capitale politica e culturale relativamente recente, consolidò la propria impresa negli ultimi dieci anni di attività.
La sua fortuna iniziò infatti dopo che nel 1651 affittò, per 10 doppie di Spagna l'anno, una bottega da Ottavio Amedeo Tarino. Gestire la bottega dei suoi ex datori di lavoro si rivelò presto una buona scelta, al punto da indurlo a concludere, fra il 1655 e il 1656, diversi atti di compravendita. Nel 1655 rilevò da Petrino de Ambrosio una stamperia dotata di macchinari, convincendo l'ormai anziano tipografo a restare con lui in qualità di "compositore di stampa". Ma Petrino morì poco dopo e il G., saldato il debito con la vedova, nonostante avesse pensato nell'ottobre 1656 di rivendere la bottega per 100 doppie d'Italia ai Rustis, che ne erano già stati proprietari anni addietro, decise infine di sottoscrivere un debito di 1350 lire con Pietro Carlo Pastoris, segretario ordinario del duca Carlo Emanuele II, per ampliarne i locali, segno del fatto che egli non intendeva più rinunciarvi. Da allora le edizioni stampate dai suoi torchi raggiunsero una buona tiratura, rispondendo a una domanda che veniva soprattutto dalla casa ducale e dalla corte.
Il 27 genn. 1657 il duca ordinava alla tesoreria ducale di pagare 600 lire d'argento al G., per la stampa di ottocento copie di un volume su "l'habiuratione degli heretici convertiti alla santa fede cattolica". Il decreto faceva riferimento agli esemplari di un'opera uscita un paio d'anni prima dalla bottega del G., dal titolo La conversione di quaranta eretici, con due loro principali ministri della setta di Calvino, alla santa fede catholica nell'augusta città di Torino alli 18 di maggio 1655. Nell'aprile 1655 si era consumata una di quelle campagne militari organizzate dal potere ducale contro le valli valdesi che segnarono periodicamente la storia piemontese fino alla seconda metà del secolo, dopo l'acme raggiunta sotto i duchi Emanuele Filiberto e Carlo Emanuele I. Era evidente che un testo quale quello stampato dal G. trovava un clima più che favorevole, come pure era significativo che il duca iniziasse nello stesso tempo a delegare alla stamperia la pubblicazione di un numero crescente di opere celebrative. Nel 1656 fu la volta della relazione della visita di Cristina di Svezia a Torino scritta dallo storiografo di corte Valeriano Castiglione (La maestà della reina di Svecia Christina Alessandra ricevuta negli Stati delle altezze reali di Savoia l'anno 1656). Due anni dopo, l'8 apr. 1658, il G. otteneva il privilegio esclusivo di imprimere relazioni e trattati di pace, che si tradusse, a pochi mesi di distanza, nella stampa di: L'ammirabile passaggio dell'Adda per l'armata francese sotto la condotta del serenissimo signor duca di Modena alli 16 luglio 1658; e La ricuperazione di Trino per l'armi di sua altezza reale comandate dal marchese Villa, generale della sua cavalleria (23 luglio 1658). Negli stessi anni passavano da Francesco Ferrofino al G. i diritti sulla pubblicazione del primo giornale apparso nei domini sabaudi, la gazzetta Successi del mondo, fondata da Pietro Antonio Socini.
L'uscita dallo scenario politico francese e internazionale del cardinal G.R. Mazzarino (del cui operato la gazzetta torinese era stata sostenitrice) e da quello piemontese della duchessa Cristina di Francia (fautrice del partito filofrancese) provocò l'allontanamento di Socini e la sospensione del giornale (1669). Ma, fin tanto che fu in vita il G., di tali avvisaglie non si ebbe sentore.
Nel 1659 il G. collaborò con il noto incisore Giovenale Boetto, che contribuì a migliorare la qualità artistica delle illustrazioni dei volumi impressi nella tipografia. A partire dal 7 gennaio dello stesso anno entrò in società per sei anni con il libraio di origine biellese Giovanni Battista Agilio (m. 1678), che si era trasferito a Torino per aprire un negozio sotto i portici del palazzo comunale.
La morte, sopravvenuta a Torino nel 1660, impedì al G. di vedere gli esiti di questo sodalizio.
Subentrarono al G., come disposto nel testamento (redatto il 30 marzo 1660), i due figli maschi, Giovanni Antonio e Giuseppe Antonio, avuti dalla moglie Lucia Vastapane (oltre a cinque femmine: Caterina, Beatrice, Laura, Lodovica e Lucrezia).
Giovanni Antonio il 26 genn. 1680 attestava che, anche dopo la morte del padre, la stamperia di famiglia aveva continuato a pubblicare gazzette e relazioni ufficiali, distribuendone copia, ogni settimana, al duca e alla corte. Lo stesso giorno veniva registrato l'atto di acquisto da parte di Giovanni Antonio (per una somma che sarebbe risultata, complessivamente, di 1513 lire) di un "banco da attuaro" presso il Senato di Piemonte, ufficio con competenze notarili che era già stato occupato dal nonno materno, Oddone, e che sarebbe stato consolidato dalle nozze di Giovanni Antonio con Anna, figlia di Giovanni Antonio Manzone, segretario del Senato.
Gli incarichi assunti in tal senso - non ultimo quello di servire, con uno stipendio annuale di 100 lire d'argento, come "agente", cioè mediatore nei rapporti tra i rappresentanti della Valle di Luserna e il duca (1683) - non impedirono a Giovanni Antonio di proseguire, insieme con il fratello minore, l'attività paterna, a dispetto delle difficoltà economiche incontrate in un primo tempo.
Appena morto il G., la vedova Lucia, grazie all'aiuto del padre, aveva dovuto liquidare i debiti che restavano aperti con i Tarino. Non è casuale che in quegli anni i figli presentassero alle casse ducali alcune suppliche per ricevere pagamenti rimasti in arretrato. Il 17 maggio 1662 Carlo Emanuele II sottoscrisse una patente che assegnava agli eredi del G. 128 lire d'argento come compenso per la stampa e la legatura di 284 copie del testo della commedia di G.A. Apolloni, La Dori, o vero La schiava fedele, che era stata "recitata in musica" il febbraio precedente nel corso del carnevale, e di 200 "cartelli di giostra e genetliaci", utilizzati per l'allestimento delle cerimonie per il compleanno della duchessa Cristina di Francia. Il 13 aprile la tesoreria ducale destinava alla vedova del G. 171 lire d'argento per la pubblicazione di sonetti e altre opere "fatte per servizio" del duca.
Negli anni Sessanta Giovanni Antonio e Giuseppe Antonio risultavano ormai gli unici stampatori-librai capaci di reggere la concorrenza con quella che era diventata la principale bottega di Torino, la stamperia di Bartolomeo Zavatta, contendendole la pubblicazione di autori di fama come Luca Assarino (Le flebili rimembranze, orazione… in morte dell'altezza reale di madama serenissima Francesca di Borbone duchessa di Savoia, 1664; Le lacrime del cavalier L.S., orazione funebre in morte di madama reale Cristina di Francia, duchessa di Savoia, 1664; I lavori di Aracne, poesie senza metro per le seconde nozze dell'altezza reale del serenissimo Carlo Emanuele II duca di Savoia, 1665); Valeriano Castiglione (La nascita del re delfino di Francia, 1661; Il natale del real infante di Spagna, 1661; Le feste nuziali delle regie altezze di Savoia, 1663); Guarino Guarini (Modo di misurare le fabbriche, 1674; Trattato di fortificazione che ora si usa in Fiandra, Francia et Italia, 1676; Leges temporum et planetarum, 1678).
Una volta conquistata una posizione di riguardo nel mercato editoriale torinese, nel 1694 Giovanni Antonio ottenne un prestito di 2130 lire dal tipografo Giovanni Battista Fontana, giocando ormai sulla solidità dei propri privilegi: Giovanni Antonio concedeva al creditore il permesso di stampare, vendere e distribuire "avvisi sì ordinari che straordinari tanto di questa città che forastieri", a patto che essi fossero impressi a suo nome. E nel 1697 Fontana stampò, in effetti, i trattati di pace di Torino, Vigevano e Ryswick, dichiarando di servirsi dell'autorizzazione che era stata rilasciata dal duca alla bottega dei Gianelli.
Nel testamento, dettato il 4 nov. 1714, Giovanni Antonio chiese di essere sepolto a Torino nella chiesa parrocchiale dell'Arciconfraternita di S. Croce, e costituì suo erede universale il figlio Francesco Saverio. Ma ormai la sua attività di stampatore si era esaurita; gli atti del censimento realizzato a Torino nel 1705 riportano infatti un elenco di 28 botteghe da libraio presso la capitale, fra le quali il nome dei Gianelli non figura più.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Torino, Insinuazione Torino, 1655, l. 7, c. 201; 1656, l. 10, c. 13; 1657, l. 2, c. 539; 1657, l. 8, cc. 256, 259; 1659, l. 1, c. 243; 1660, l. 4, c. 45; 1664, l. 11, cc. 325-346; 1715, l. 7, cc. 149-150; Camera dei conti, Patenti controllo finanze, reg. 1657, f. 13; reg. 1661-62, f. 137; reg. 1665-66, f. 7; reg. 1681-82, f. 189; reg. 1683, f. 74; reg. 1693-94, f. 133; Patenti Piemonte, 1680, reg. 101, I, f. 169; G. Vernazza, Dizionario dei tipografi e dei principali correttori e intagliatori che operarono negli Stati sardi di terraferma e più specialmente in Piemonte sino all'anno 1821 (1859), ed. anast. con bibl. a cura di V. Armando e premessa di M. Bersano-Begey, Torino 1964, pp. 209-212; L. Braida, Il commercio delle idee. Editoria e circolazione del libro nella Torino del Settecento, Firenze 1995, pp. 35 s., 44 s.; A. Merlotti, Librai e stampatori a Torino alla metà del Seicento, in Seicentina. Tipografi e libri nel Piemonte del '600, a cura di W. Canavesio, Torino 1999, pp. 86-88; Id., Librai, stampa e potere a Torino nel Seicento, in Storia di Torino, IV, La città fra crisi e ripresa, a cura di G. Ricuperati (in corso di stampa).