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CORTELLA, Carlo Giuseppe

di Luciano Tamburini - Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 29 (1983)
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CORTELLA, Carlo Giuseppe

Luciano Tamburini

Si ignorano gli anni di nascita e di morte, e la sua attività (circoscritta al periodo 1676-99) è documentata quasi unicamente dal breve regesto cronologico del Vesme, che menziona quale prima opera nota "sette disegni" eseguiti in collaborazione con G. A. Recchi per servire da illustrazione al volume che descrive le esequie di Carlo Emanuele II: G. Vasco, Del funerale celebrato nel duomo di Torino all'Altezza Reale di Carlo Emanuele II …, Torino s. d. (ma 1676).

Le tavole firmate dal Recchi e dal C., delle sette che il volume contiene, sono in realtà quattro: l'Ingresso al duomo, la Salma sul catafalco (non, come asserisce la Peyrot [1965], nella cattedrale, ma nella reggia), il Corteo funebre in piazza Castello, l'Altar maggiore. E, a voler essere precisi, nella prima e terza (più articolate e complesse) il nome del C. precede quello del Recchi. Il pagamento citato dal Vesme (III, p. 900), del 1676, parla esplicitamente di sette disegni "che fanno per intagliarsi nella Relatione", ma i tre altri pubblicati sono di diversa mano: D. Beck, G. B. Brambilla, T. Borgonio. Non potendosi impugnare il documento, si potrebbe ipotizzare una selezione successiva che ne avrebbe consegnato alle stampe solo quattro. Sotto vari profili, questa realizzazione è importante perché dà modo di conoscere lo stile con il quale il C. s'affaccia alla ribalta, di valutarlo in rapporto con quello del Recchi (col quale lavorò ancora successivamente) e tentare una cauta delineazione del suo gusto. Una prima osservazione (valida anche per quanto è deducibile dall'attività susseguente) concerne il clima culturale dal quale egli trasse ispirazione. Dal concettismo e dall'astronomia poetica del Tesauro (sia pure superandola per un più impetuoso empito vitale) pare non dubitare la Griseri (1963); ma, per quanto concerne i disegni, il testo della Relatione esprime anche un altro orientamento, se non d'origine, almeno d'impostazione, dato che vi si dichiara espressamente che l'incarico per l'allestimento dei funerali fu affidato da Madama Reale ai gesuiti, la cui chiesa dei SS. Martiri da sempre si prestava al "trasformismo" estemporaneo dei "teatri sacri". La cultura gesuitica proveniva da Roma, quella del Tesauro pure: e a Roma s'era recato per studio Amedeo di Castellamonte cui fu commesso di concretare l'idea, dando al C. e al Recchi il compito di tramandarne memoria. Piuttosto rigida, e prospetticamente fin troppo intenzionale (ma con smagliature), è la tavola col catafalco: i contrasti chiaroscurali si smorzano, vesti e drappeggi mostran l'artificio, c'è maggior preoccupazione - si direbbe - per la resa sontuosa dell'ambiente. E l'amplissima veduta della piazza nella tavola col corteo funebre, sotto questo profilo, è anche maggiormente puntigliosa tale è lo scrupolo d'abbracciare unitariamente il castello, l'edificio antistante, il Palazzo Nuovo e inserire nello spazio residuo non solo il corteo ma gruppi sparsi, non si sa se di ritardatari o di curiosi, con effetto chiaramente generistico. Veduta "neppure troppo di fantasia" la definisce con proprietà la Griseri; e c'è, in effetti, disparità fra lo spessore e la consistenza del castello rispetto all'esile grafia della reggia in formazione. Approssimazione, comunque, e non documento, fa notare giustamente L. Mallé (1970): ma è, non scordiamolo, la stessa approssimazione del Theatrum Statuum Regiae Celsitudinis Sabaudiae Ducis (Amstelodami 1682). L'altare maggiore, dove l'apparato ha esasperazioni manieristiche (il "dilettevole orrore"), offre una saturazione di spazi, una iterazione di elementi) un conglomerato di simboli che attutiscono la pure lugubre scansione dei giganteschi scheletri lungo la navata.

La combine Recchi-Cortella doveva aver soddisfatto artisti e committenti se l'anno dopo (1677) entrambi furono incaricati di "travagli di pittura" (certamente affreschi) al castello del Valentino. La Brizio (1949), l'unica che abbia investigato il problema, ha ritenuto che le opere fossero destinate al salone centrale, poi in seguito trasformato. Nulla resta in esso che possa collegarsi ai due pittori, né è rimasta memoria dei soggetti raffigurati: è da supporre tuttavia che l'intervento riguardasse l'alto zoccolo; il fatto che essi percepissero la medesima somma, 161 lire, non pare attestare una commissione d'importanza.

L'intervallo d'un quinquennio ci porta ad altro clima artistico, pienamente barocco: quello guariniano. Del 1682 è infatti un pagamento (sia pur modesto: 90 lire) per affreschi alla "cupola della Cappella del SS. Sudario". Se si pensa alla cabrata stilistica imposta dal teatino alla costruenda cappella si può anche immaginare che il C. dovette cimentarsi con direttive indubbiamente lucide e sorvegliate. L'anno seguente egli fu chiamato a operare nella nuova reggia, prevalentemente quale quadraturista, e questo momento (per la varietà delle presenze attive contemporaneamente) è espressivo d'un modo di fare che a giusto titolo la Griseri definisce "torinese". Del 1684 sono pagamenti per "ornamenti d'architettura in chiaro et oscuro con modiglioni, cartelami, rabeschi, festoni di vari colori, et reparti di bassi rilievi di pietra mischia", sempre nella reggia: l'elencazione non potrebbe essere più esemplificativa del genere. Contemporaneamente lavorò al castello di Moncalieri; mentre nell'85 il suo talento scenografico fu impiegato ad allestire quinte ed apparati per il teatrino del Rondò, che Vittorio Amedeo II - da un anno effettivamente regnante - stava costituendo all'intersezione del padiglione della piazzetta reale con la galleria allacciante la reggia al Castello. Che però l'artista non fosse confinabile in un'unica specializzazione lo prova la commissione, dello stesso anno, per "tre ritratti di pittura rappresentanti la SS. Sindone".

Altri sette anni di silenzio conducono al 1692, epoca di imminenti torbidi per il ducato. Il C. venne incaricato, in qualità di "impresario", degli addobbi per un altro funerale illustre: quello di Maria di Borbone-Soissons, principessa di Carignano. L'importo assai elevato (migliaia di lire) dà conto d'una solennità non di molto inferiore a quella ducale; ma, disgraziatamente, non ne è rimasta attestazione. Tra il 1692-93 il C. gravita di nuovo in ambito guariniano (sebbene il Guarini sia ormai da tempo lungi da Torino), fornendo per 500 lire affreschi nell'appartamento nobile di palazzo Carignano: s'ignora per quale soggetto. Un documento del 1694 (Tamburini, 1968) lo trova attivo alla chiesa dello Spirito Santo in Torino "per la pittura fatta d'architettura nella volta": dove è riconfermato il prevalente indirizzo della sua carriera. E siamo ormai al termine di quella a noi nota. Quattro pagamenti del 1698 lo mostrano presente a palazzo reale (dove col Gambone dipinge "di chiaro e scuro il gabinetto attiguo alla camera di S. A. R.") e nel palazzo Carignano ("pitture" - sempre con il Gambone - per l'appartamento della principessa, per altro al terzo piano e per il piano nobile: "squarci di finestre, lambrisi, ecc."). Tre altri documenti del 1699 citano altri interventi in palazzo Carignano, che dovette costituire un assemblage cospicuo del suo gusto: "tre quadri di prospettive per l'anticamera del piano nobile, affreschi per l'appartamento a mezzanotte e per il mezzanino", sedici altri "quadri", infine, "di prospettive per lo stesso appartamento a mezzanotte".

Bibl.: Schede Vesme, Torino 1963, I, pp. 367 s.; III, pp. 900 s.; C. Rovere, Descriz. del Reale Palazzo di Torino, Torino 1858, pp. 34, 36 s., 132; A. M. Brizio, Le pitture, in Il Castello del Valentino, Torino 1949. pp. 215, 239; A. Griseri, in Mostra del Barocco Piemontese (catal.), Torino 1963, II, 1, p. 7; M. Bernardi, Il Palazzo reale di Torino, in Capolavori d'arte in Piemonte, Torino s. d., p. 157; A. Peyrot, Torino nei secoli, Torino 1965, I, pp. 65-71; L. Tamburini, I teatri di Torino, Torino 1966, p. 25; M. Viale Ferrero, La Ramira. Un dramma a chiave e le sue scene, Milano 1966, p. 734; A. Griseri, Le metamorfosi del Barocco, Torino 1967, p. 110; L. Tamburini, Le chiese di Torino, Torino 1968, p. 403; L. Mallé, Palazzo Madama in Torino, Torino 1970, I, pp. 118-122; O. Speciale, Funerale di Carlo Emanuele II, in I rami incisi dell'Archivio di corte, Torino 1981, pp. 234-243; U. Thieme-F. Becker, Künstlerlexikon, VII, p. 482.

Vedi anche
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