GONZAGA, Carlo
Secondogenito di Gianfrancesco I, marchese di Mantova, e di Paola Malatesta, nacque a Mantova in data non accertata, ma collocabile tra il 1413 e il 1423: i primi anni della sua vita trascorsero alla Ca' Zoiosa, la scuola creata da Vittorino da Feltre, chiamato a Mantova nel 1423 da Gianfrancesco; qui il giovane G. si segnalò, secondo i contemporanei, oltre che per la complessione fisica, alta e magra, per la spontaneità e l'entusiasmo, più che per una genuina attitudine agli studi. Allorché l'imperatore Sigismondo passò da Mantova nel 1433, al momento di confermare il titolo marchionale concesso a Gianfrancesco l'anno precedente a Parma, il G. venne creato cavaliere insieme con i fratelli.
Nel corso del 1436 un avvenimento ancora poco chiaro mutò l'ordine naturale della successione dei figli di Gianfrancesco a favore del G.: il fratello maggiore Ludovico entrò infatti apparentemente in contrasto con il padre (forse per l'intenzione manifestata da quest'ultimo di preferirgli il secondogenito, data la prolungata assenza di un erede dal matrimonio di Ludovico con Barbara di Hohenzollern, sposata nel 1433) e si allontanò da Mantova, ponendosi al servizio del duca di Milano Filippo Maria Visconti, allorché il padre era capitano generale della Serenissima.
L'ira di Gianfrancesco, testimoniata dall'asprezza delle lettere e delle gride con cui si bandiva il primogenito dal Marchesato (nell'aprile del 1436 si minacciava di morte chiunque avesse pratica con "lo traditor de Lodovigo zà chiamato fiolo del prefato ill. signor": Arch. di Stato di Mantova, Archivio Gonzaga, b. 2038.3, c. 142), trovò veste istituzionale nella richiesta, accolta dall'imperatore Sigismondo, di trasmettere il Marchesato al figlio preferito, non necessariamente al primogenito (3 nov. 1436). Il G. subentrò dunque al fratello nella successione: taluni contemporanei sospettarono in questa così aperta rottura con Ludovico una sagace mossa politica di Gianfrancesco, volta a preparare l'avvicinamento gonzaghesco a Milano, che sarebbe culminato nella condotta stipulata dal marchese nel 1438, ma il tono dei carteggi e i pressanti interventi della marchesa Paola e dello stesso Vittorino da Feltre per una riappacificazione tra padre e figlio lasciano il dubbio che si fosse trattato di una rottura reale, maturata in seguito a seri contrasti fra i due figli del marchese. Nel 1438, in ogni modo, nella lega stipulata con Filippo Maria Visconti, il solo G. risultava agli ordini del padre, personalmente a capo di 500 lance e 500 fanti. Nel corso della campagna nel Veronese, allorché nel 1439 Francesco Sforza occupò Verona, il G. cadde prigioniero delle truppe venete e venne scambiato con Domenico Malatesta signore di Cesena nel febbraio del 1440.
Nell'aprile del 1441 Ludovico Gonzaga raggiungeva il padre a Milano: ne seguiva la riappacificazione dei due e la conseguente reintegrazione del primogenito nella sua originaria qualità di erede. I rapporti, non sempre facili, fra il G. e il fratello sono stati letti sovente dalla storiografia come conseguenza, oltre che delle diversità del temperamento dei due principi, anche di questo primo confronto innescato dal padre per la successione.
Nel 1437 il G. aveva contratto matrimonio con Lucia di Niccolò (III) d'Este, destinata peraltro a morire nello stesso anno, senza figli. Nel 1442 stipulava personalmente una condotta con Filippo Maria Visconti: dopo un interludio nel 1444 al servizio di papa Eugenio IV, il G. tornò a militare per il Visconti nel 1445, rinnovando la propria condotta anche nel marzo del 1447.
Nel frattempo, nel settembre del 1444, morì il marchese Gianfrancesco: il suo testamento disponeva, secondo la consuetudine ereditaria longobarda, la divisione tra i figli maschi del territorio del Marchesato. Al maggiore Ludovico andarono il corpo centrale dello Stato e il titolo marchionale; ai cadetti, porzioni dei territori di recente annessione lungo i confini occidentali dello Stato. Al G. venne destinata dal padre un'area di grande ricchezza e di relativa compattezza politico-territoriale, compresa fra Oglio e Po, con i comuni di Gonzaga, Reggiolo, Luzzara e Suzzara.
Egli, come i fratelli Alessandro e Gianlucido, non controllava direttamente questi territori, ma li deteneva iure feudi dal primogenito, come venne espressamente dichiarato nel testamento: soltanto tra la fine del Quattrocento e il Cinquecento i possedimenti gonzagheschi minori divennero feudi imperiali, svincolandosi dalla fedeltà al ramo maggiore della dinastia. Si trattava di un appannaggio ricco e importante: ne rimane un quadro significativo in uno dei pochi registri superstiti della fattoria generale di Mantova per il Quattrocento. Redatto a partire dal 1444 dal fattore generale del G., il mercante mantovano Bartolomeo Riboli da Gorno pervenne alla fattoria generale di Mantova allorché le terre del G. tornarono sotto il controllo del marchese Ludovico.
Nel 1445 il G. contrasse un secondo matrimonio, con Rengarda di Guido Manfredi, signore di Faenza: da lei ebbe l'unico figlio maschio legittimo, Ugolotto, e probabilmente tre femmine, Paola, Cecilia (sposatasi con Edoardo conte d'Arco) e Gentile. Il G. aveva avuto anche, da una Dionisia di cui si ignora il casato, un figlio naturale, Evangelista.
Con la morte di Filippo Maria Visconti nell'agosto del 1447 e l'immediata proclamazione della Repubblica Ambrosiana si apriva in Lombardia un triennio di intensa instabilità politica, in cui il G., al soldo di Milano, era destinato a giocare un ruolo controverso, oscillante, comunque di primo piano. In un primo periodo egli rimase a fianco di Francesco Sforza, assoldato a sua volta dalla Repubblica il 24 ag. 1447. Dopo avere rinnovato la propria condotta con i capitani ambrosiani, nel maggio 1448, dietro la promessa di ottenere Peschiera, Lonato e Asola, terre della Serenissima già appartenute ai Gonzaga (circostanza di cui informava prontamente il fratello Ludovico), combatté agli ordini dello Sforza, il 15 sett. 1448, nella battaglia di Caravaggio, mentre il marchese Ludovico militava nell'opposto schieramento veneziano. Allorché lo Sforza stipulò con la Serenissima, il 18 ottobre di quell'anno, il trattato di Rivoltella, in completo contrasto con gli interessi della Repubblica Ambrosiana per cui ancora militava, il G. colse l'occasione per un'iniziativa personale e, abbandonato lo schieramento dello Sforza con 1200 cavalieri e 500 fanti, si diresse a Milano, dove venne chiamato a ricoprire la carica di capitano del Popolo il 14 nov. 1448. Il G. assurse a posizioni di primo piano nella vita politica milanese ma il suo comportamento, nel corso del 1449, fu oscillante e incerto: dalle fonti non emerge se egli avesse con chiarezza fra i suoi propositi, al di là dei proclami che di tanto in tanto inviava al fratello marchese di Mantova, quello di farsi, se possibile, signore di Milano.
Il ricco carteggio da Milano dell'oratore mantovano Vincenzo della Scalona, inviato di Ludovico, documenta giorno per giorno le oscillazioni del G., sulla cui lucidità politica lo Scalona non nutriva molte illusioni: infatti, all'interno dello Stato milanese, il G. manteneva ambigui rapporti, più per indecisione che per opportunità, sia con i capitani, prevalentemente su posizioni filosforzesche, sia con i rappresentanti del Popolo, di opposto schieramento, che in più di un momento sembrarono volergli offrire la signoria della città in cambio della difesa dell'autonomia milanese contro lo Sforza e contro Venezia, sia infine con l'altro grande capitano che militava in quell'anno al soldo della Repubblica, Francesco Piccinino. La posizione personale del G. era poi insieme rafforzata e indebolita dai rapporti familiari che lo legavano al fratello, quest'ultimo assoldato nel luglio del 1449 da Alfonso d'Aragona nelle vesti di temporaneo e pericoloso alleato della Repubblica. Lo Scalona nel narrare le vicende milanesi appare dominato da un lato dal senso di una certa inadeguatezza del G. alla situazione (ricorrono frasi come: "poria disponere del popolo come volesse pur che l'animo ge fosse": Archivio Gonzaga, b. 1620.192), dall'altro dalla paura che tale inadeguatezza, finendo per tradursi in una giustapposizione mal congegnata di tentativi, non si traducesse nella "desfactione" di entrambi i fratelli Gonzaga.
In realtà il G., che pure aveva rinnovato la propria condotta con la Repubblica in giugno, intratteneva nel frattempo pratiche segrete anche con lo Sforza, che giunse nell'agosto a offrirgli 12.000 ducati e la città di Alessandria pur di farlo defezionare. Una rivolta popolare a Milano tra la fine di agosto e i primi giorni di settembre, in cui morì Galeotto Toscano, uno dei capitani ambrosiani, amico e partigiano del G., ebbe come effetto di spingere questo sempre più verso Francesco Sforza. Rotti gli indugi, il G. l'11 settembre si accordava con il conte, consegnandogli Crema e Lodi che aveva occupato uscendo da Milano: lo Sforza gli concedeva in cambio Tortona. La Repubblica sembrava ribattere energicamente con un trattato di pace con Venezia (stipulato il 24 settembre e ribadito il 24 dicembre), ma lo Sforza era ormai in una posizione di forza, e il 26 marzo 1450 faceva il suo ingresso a Milano.
La soluzione della lunga crisi milanese venne orientando rapidamente la posizione dei principi e dei maggiori capitani lombardi: così Ludovico Gonzaga stipulò il 1° nov. 1450 con lo Sforza la prima di una lunga serie di condotte che lo avrebbero legato al Ducato di Milano, al pari del G., che continuava a servire, apparentemente senza contrasti, il nuovo signore. I due fratelli Gonzaga, però, furono dalla stessa parte per poco tempo: nei primi mesi del 1451 infatti lo Sforza, diffidando del G., lo fece arrestare e imprigionare a Binasco, confiscandogli Tortona. Il carteggio e i copialettere della Cancelleria mantovana testimoniano gli sforzi fatti in questa occasione da Ludovico, che si impegnò in prima persona a garantire la fedeltà del fratello dietro la cauzione della forte somma di 80.000 ducati prestata al duca di Milano. La garanzia di Ludovico valse a trasformare la prigionia del G. in confino a Cerano di Lomellina, in Lombardia, il 17 marzo 1451; il 20 marzo il G. concesse al fratello quale garanzia della propria fedeltà alla convenzione stipulata da questo con lo Sforza tutte le proprie terre: egli non aveva però evidentemente intenzione di mantenere fede agli impegni, dal momento che in maggio donava alla moglie Rengarda, per porle al sicuro, le sue possessioni allodiali a Luzzara e a Polesine. Nel mese di giugno il G. fuggiva dal confino e riparava a Venezia, all'insaputa del marchese di Mantova. Questi si vide costretto a rispettare la cauzione prestata allo Sforza: la questione del pagamento degli 80.000 ducati pattuiti a garanzia della buona condotta del G., divisi in otto rate annuali da 10.000 ducati ciascuna, si sarebbe trascinata sino al 1459.
Alla fine del 1451 Ludovico Gonzaga fece valere i propri diritti e quelli del fratello Alessandro (Gianlucido era morto nel 1448) sulle terre del Gonzaga. La fragile concordia che si era ristabilita negli anni Quaranta fra i due fratelli era definitivamente rotta: il G. nel febbraio del 1452 si pose al soldo della Serenissima e, nel corso delle operazioni belliche del 1453, penetrò a due riprese, nei mesi di marzo e di giugno, nel territorio mantovano occupando Castelbelforte, Castel Bonafisso e Bigarello; il 14 giugno venne però duramente sconfitto da Ludovico. Nel 1454, al termine delle ostilità, si rifugiò a Ferrara, da dove scriveva al fratello tentando di ottenerne di nuovo, senza esito, la benevolenza: a Mantova si temeva ormai qualunque forma di tradimento da parte del Gonzaga. Risale infatti al luglio del 1454 un incartamento processuale in cui il cancelliere del G., Baldassarre da Fossombrone, confessava una macchinazione, di cui peraltro non si sa la natura, di Francesco Gonzaga di Novellara e del G. contro il marchese Ludovico.
Nel 1455 il G. tentò di porsi al servizio del papa, stipulando una condotta al soldo di Siena contro Jacopo Piccinino il quale, licenziato dalla Serenissima dopo la pace di Lodi, aveva occupato Assisi, nello Stato della Chiesa, ma non si recò mai in Toscana. Morì infatti improvvisamente a Ferrara il 20 dic. 1456 e fu sepolto nel santuario mantovano delle Grazie.
La moglie Rengarda e i figli non vennero abbandonati dal marchese Ludovico, che li ospitò a Mantova e nel territorio mantovano a varie riprese, ma nonostante le intercessioni di Taddeo Manfredi, che si rivolse anche al duca di Milano perché facesse pressione su Ludovico, non riottennero più le terre che avevano fatto parte dell'appannaggio del Gonzaga.
La sua figura rimane, in qualche modo, incompiuta: fu un buon capitano, consapevole del suo rango e talora proiettato verso vicende politiche di più ampia prospettiva, forse memore, come ricorda la storiografia mantovana, della signoria su Mantova che per breve tempo sembrò essergli destinata per l'allontanamento del fratello Ludovico, ma non ebbe l'opportunità, o la capacità, di perseguire coerentemente disegni di più largo respiro.
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