GUERRIERI GONZAGA, Carlo
Ultimo di sei fratelli, nacque a Mantova il 21 nov. 1827 dal marchese Luigi e Maria Rasponi, tra loro cugini. Trascorsi i primi anni di vita nella casa della prozia Marianna Guerrieri, vedova del conte Anselmo Zanardi, alla morte di questa (1832) fu inviato a Lodi, iscritto in un collegio tenuto dai padri barnabiti e poi trasferito a Monza per essere educato in un altro convitto della stessa Congregazione.
Nei primi anni della sua formazione il G. sentì appagato il proprio "innato senso religioso" nello studio del culto cattolico e della storia sacra, così come nella partecipazione alle pratiche e ai sacramenti. Se da un lato l'educazione ricevuta alimentò la sua religiosità, dall'altro gli fornì gli strumenti per combattere taluni aspetti d'intransigentismo proprio del cattolicesimo ottocentesco più retrivo. Lo stesso G. identificò poi questi strumenti con la conoscenza della classicità greca, romana e italica, nonché con gli influssi che gli scritti di A. Manzoni e di A. Rosmini Serbati avevano avuto sul senso critico delle nuove generazioni.
Nell'autunno 1842 lasciò il collegio per ricongiungersi alla famiglia a Padova dove frequentò il liceo e per due anni la facoltà di giurisprudenza. In un ambiente intellettualmente assai stimolante come quello dell'ateneo il G. sentì il bisogno di dedicarsi allo studio della storia per poter completare la propria formazione letteraria, astratta se posta fuori dal contesto storico, in funzione di una partecipazione al dibattito in corso, ma soprattutto di una eventuale scelta di azione concreta. L'occasione venne con l'elezione di Pio IX, quando anche a Padova iniziarono le manifestazioni patriottiche: avendovi preso parte, il G., per evitare un processo penale, fu costretto dal padre a recarsi a Vienna ed entrare, nell'ottobre 1846, nella guardia nobile lombardo-veneta.
Istituita nel 1838, la guardia nobile italiana si affiancava a quella ungherese e, accogliendo ogni anno nei corsi di formazione quindici giovani nobili lombardi e veneti, confermava la propria fedeltà al sovrano; al termine dei quattro anni di istruzione militare gli alunni sarebbero entrati nell'i.r. esercito austriaco con il grado di sottotenenti. Rassicurato dal fatto di poter dare, a norma di regolamento, le proprie dimissioni una volta divenuto ufficiale effettivo, il G. s'impegnò comunque negli studi, risultando alla fine del primo semestre secondo del suo corso e quindi promosso sottotenente con sei mesi di anticipo. Nell'ottobre 1847 le dimissioni furono accettate e il G. ottenne dal padre il permesso di proseguire gli studi all'Università di Innsbruck.
Se ne allontanò dopo l'insurrezione di Vienna del marzo 1848 per fare ritorno a Padova e unirsi alla legione che si stava organizzando presso quell'Università. Nominato capitano di compagnia, partì per Vicenza all'alba del 5 aprile, ma presto l'infelice conclusione della difesa della città dagli attacchi austriaci lo costrinse a portarsi a Milano, dove il fratello Anselmo era rappresentante del governo provvisorio. Subito dopo la sconfitta dei Piemontesi a Custoza si arruolò come volontario nella compagnia che G. Medici stava riunendo presso Bergamo. Indossata la famosa camicia rossa, con compagni quali F. Brioschi, E. Visconti Venosta, D. e G. Induno, si fermò a Monza dove incontrò sia G. Mazzini sia G. Garibaldi. Costretto a retrocedere verso Como e appresa la notizia della riconquista di Milano da parte degli Austriaci, cercò rifugio a Lugano.
Iniziò così il lungo esilio del G. che si trasferì a Ginevra per poi viaggiare nel Nordeuropa, in Belgio e Olanda. Varcate nuovamente le Alpi, fece una sosta a Stresa dove, in casa del Rosmini, incontrò Manzoni. Sul finire del 1848 si recò a Firenze, dove ascoltò Mazzini chiedere in un pubblico discorso l'unione della Toscana alla Repubblica Romana (18 febbr. 1849), e da lì a Pisa per prendere la laurea in legge presso quell'Università e concludere così il capitolo degli studi insieme con altri giovani esuli lombardi fra cui Visconti Venosta.
Riprese quindi a peregrinare imbarcandosi per Genova. Dopo un breve soggiorno a Parigi, all'inizio del 1850 si recò a Ginevra dove venne accolto nel salotto di Sofia Hohenemser, luogo d'incontro degli esuli di tutta Europa. Entrato in stretto contatto con questa famiglia tedesca, sposerà una delle figlie, Emma, nel 1866, solamente dopo aver risolto le difficili questioni finanziarie legate alla presenza degli Austriaci a Mantova e a un processo di diritto feudale. Passato nel 1852 a Parigi, si avvicinò al programma filosabaudo fino a divenire un sostenitore della politica di C. di Cavour. Tornato in Italia nel 1859 entrò nel corpo dei bersaglieri dell'esercito sardo e prese parte alla guerra contro l'Austria con il grado di capitano.
Nel settembre 1861 il G. fu inviato a Napoli, sotto il comando del generale E. Cialdini, per combattere il brigantaggio. Nelle sue lettere vi è la testimonianza dell'analisi di questo fenomeno che ipotizzò essere un problema sociale piuttosto che politico, dietro il quale si celava un "pretesto" di vandalismo, a suo dire coperto, se non accettato, dai locali. Tuttavia, nei due anni della permanenza in Italia meridionale, il solo nemico che gli capitò di affrontare di malavoglia fu Garibaldi, del quale dovette bloccare l'avanzata sull'Aspromonte (1862).
Dimessosi dall'esercito, il 15 maggio 1864 il G. si presentò una prima volta alle elezioni politiche nel collegio di Bozzolo come esponente della Sinistra moderata, ma ottenne pochissimi voti contro il candidato ministeriale; fu eletto pochi mesi dopo, il 23 ottobre, in un turno suppletivo nel collegio di Guastalla. Attento alla realtà locale dal punto di vista pratico, così come lo era a quella nazionale dal punto di vista ideologico, presentò alla Camera la petizione formulata dal comitato promotore dell'adunanza popolare di Guastalla contro la pena di morte, per la cui abolizione votò il 13 marzo 1865.
Nel 1866, allo scoppio della guerra per la liberazione del Veneto e di Mantova, si arruolò volontario con Garibaldi e ottenne il comando di un battaglione con cui prese parte ai combattimenti di monte Suello (3 luglio) e fu alla testa di una delle prime colonne entrate in Tirolo dove lo fermò la notizia dell'armistizio. Tornato alla vita civile, venne eletto anche per la IX legislatura (dicembre 1866) nel collegio di Gonzaga, prevalendo sul democratico G. Acerbi il quale, sostenuto in campagna elettorale dal Garibaldi in persona, si prese la rivincita nelle elezioni per la X legislatura.
Il G. tornò allora a dedicarsi alla conduzione della propria tenuta di Palidano. Una questione sorta in ambito locale gli diede però lo spunto per tornare alla politica in forte polemica con il potere temporale del papa. Nato dall'espressione della volontà popolare dei parrocchiani di tre piccole comunità del Mantovano, che desideravano scegliere il proprio rappresentante spirituale, il problema dell'elezione dei parroci assunse i caratteri di una vera e propria lotta contro l'ingerenza della Chiesa di Roma nella vita nazionale. La domenica del 28 sett. 1873 gli abitanti di San Giovanni del Dosso, riuniti sulla piazza della chiesa, firmarono alla presenza di un notaio un documento in cui eleggevano il nuovo parroco opponendolo a quello imposto dal vescovo. Seguì un'analoga elezione a Frassine e a Palidano.
Il G. diede risalto a queste manifestazioni con vari articoli pubblicati nella Gazzetta di Mantova e nel Diritto e con un opuscolo intitolato Il vaticanismo. I parroci eletti e la questione ecclesiastica (Firenze 1875), che raccoglieva gli interventi da lui svolti nel solco della concezione separatista cavouriana e in un orizzonte che comprendeva anche le posizioni di W.E. Gladstone, del quale nel 1875 aveva tradotto e pubblicato un saggio su L'Italia e la sua Chiesa (Roma): in questo riformismo religioso si inserivano il suo compiacimento per "il risveglio della volontà dei laici nelle cose ecclesiastiche", l'opposizione ferma al dogma dell'infallibilità del papa e la rivendicazione degli antichi valori del cristianesimo e di un governo della Chiesa dal basso.
Il 25 nov. 1883 il G. fu nominato senatore del Regno e per un decennio, dal 1889 al 1899, rivestì l'importante ruolo di segretario dell'ufficio di presidenza. Il 16 dic. 1899 fu eletto consigliere d'amministrazione del Fondo speciale per gli usi di beneficenza e di religione nella città di Roma. Poi, mortagli la moglie all'inizio del nuovo secolo, e riapertasi la ferita per la precedente morte dell'unico figlio maschio, Luigi, il G. iniziò a ritirarsi lentamente dalla vita pubblica e si dedicò prevalentemente alla propria tenuta terriera, fra le più moderne della zona, e ai bisogni del popolo di Palidano con opere di beneficenza e l'apertura di un asilo per i figli dei contadini.
Il G. morì a Palidano di Gonzaga (Mantova) il 10 apr. 1913.
Poco dopo la sua morte furono pubblicate le Memorie e lettere di Carlo Guerrieri, a cura di A. Luzio, in Rassegna storica del Risorgimento, II (1915), pp. 1-156.
Fonti e Bibl.: D. Farini, Diario di fine secolo, a cura di E. Morelli, I-II, Roma 1961, ad ind.; Mantova. La storia, III, Da Guglielmo III alla fine della seconda guerra mondiale, a cura di L. Mazzoldi - R. Giusti - R. Salvadori, Mantova 1963, ad ind.; F. Chabod, Storia della politica estera italiana, 1870-1896, Bari 1965, ad ind.; R. Giusti, Il Risorgimento a Mantova 1849-1866, Mantova 1978, ad ind.; R. Salvadori, Studi sulla città di Mantova, 1814-1960, Milano 1997, ad indicem.