MOR, Carlo Guido
MOR, Carlo Guido. – Nacque a Milano il 30 dicembre 1903, da Carlo Antonio, direttore didattico e cultore di storia, e da Adele Dell’Acqua, maestra elementare.
Dopo la maturità classica a Milano, si iscrisse alla facoltà giuridica dell’Ateneo pavese, dove fu allievo di Arrigo Solmi, dal quale ereditò rigore metodologico e attitudine alla seria indagine documentaria; si laureò l’8 luglio 1925 con una tesi di storia del diritto romano nel Medioevo.
Negli anni universitari manifestò una propensione per gli studi umanistici, sfociata già prima della laurea in lavori di filologia lombarda e di storia locale, incanalata poi verso la storia giuridica. Gli giovarono all’uopo l’insegnamento e il rapporto di amicizia e collaborazione con altri maestri della disciplina – Federico Patetta, Nino Tamassia, Enrico Besta – e, in modo specialissimo, con Pier Silverio Leicht, del quale, nel 1935, avrebbe sposato la figlia Giuliana.
Nel 1926, grazie ad una borsa di studio, soggiornò alcuni mesi a Parigi, dove poté concludere la trascrizione di un codice della Bibliothèque nationale e frequentare lo storico di diritto canonico Paul-Eugène-Louis Fournier, che gli fu prodigo di consigli; quindi, sempre alla ricerca di antichi manoscritti, fu a Tubinga, Bamberga, Berlino, Lipsia, Praga e Vienna.
Nell’anno accademico 1927-28 ebbe l’incarico di diritto ecclesiastico presso la facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Ferrara. Nel 1929 conseguì la libera docenza in storia del diritto italiano e dal 1932 fu incaricato della disciplina nella facoltà di Giurisprudenza di Cagliari, succedendo a Giuseppe Ermini. Professore straordinario nel 1934, fu chiamato l’anno dopo a ricoprire la cattedra già tenuta da Melchiorre Roberti e da Pietro Torelli nell’Ateneo modenese, dove fu preside nel periodo iniziale della guerra e rettore dal 1943 al 1947.
A Modena, salvo un breve intervallo a Trieste (1951-52), rimase sino al 1957 quando, subentrando ad Aldo Checchini, passò a Padova. Qui trascorse il resto della sua carriera, conclusa nel 1979 con la nomina a professore emerito, alternando gli incarichi di Storia medievale e di Istituzioni medievali presso la facoltà di Lettere e filosofia di Trieste, di Storia delle Venezie e di Storia medievale.
La sua opera storico-giuridica, sviluppatasi in 65 anni, si sostanziò in circa 600 titoli e in una straordinaria gamma di argomenti che, quantunque non classificabile, è tuttavia possibile cogliere nei suoi principali itinerari di ricerca.
Coltivò in grado eminente lo studio delle fonti giuridiche e delle istituzioni medievali, privilegiando il problema della continuità dal mondo tardo romano a quello alto medievale e dell’ampiezza dei nessi culturali tra le due epoche. Intese l’attenzione per le fonti come approccio filologico agli strumenti testuali dell’indagine storico-giuridica, come comprovano l’edizione critica di collezioni canonistiche e romanistiche a cavallo tra VIII e XII secolo e i lavori d’impianto altrettanto erudito sulla tradizione testuale delle singole parti dell’opera giustinianea, fra cui lo studio su Il Digesto nell’età preirneriana e la formazione della “Vulgata” (in Per il XIV centenario delle Pandette e del Codice di Giustiniano, Pavia 1934, pp. 559-697) e, in anni meno remoti, quelli centrati sull’Epitome Codicis e sull’Epitome Juliani. Questa esperienza scientifica, intensa e affaticante, documentò il perpetuarsi in Italia della tradizione romanistica nel periodo compreso tra la Pragmatica sanctio del 554 e l’età gloriosa durante la quale si compì la reintegrazione dei Libri legales a opera dei glossatori.
L’interesse per le vicende istituzionali nacque dall’esigenza di affrontare lo stesso problema da un altro fronte, sondando cioè dall’interno l’apporto del popolo dominante alla formazione del diritto intermedio, onde meglio inserire l’evoluzione giuridica nel tessuto storico della vita quotidiana. Un valore particolare ebbero le ricerche sui longobardi in Italia mediante le quali Mor si affermò come uno dei più illustri e autorevoli specialisti europei, capace di approfondire con sempre maggiore perizia gli ordinamenti politici, civili, ecclesiastici, amministrativi, militari dei secoli VI-VIII.
Da questi studi emerse con crescente incisività e spessore una posizione critica solo in parte favorevole alla generale tendenza – diffusa soprattutto nel Ventennio – a valorizzare la continuità dal mondo tardo romano a quello alto medievale, specie in tema di governo dei centri urbani e di forme associative artigiane.
Al di là dei risultati raggiunti, colpisce il metodo usato da Mor per meglio inserire l’evoluzione giuridica nel tessuto storico della vita quotidiana. Stante il silenzio delle fonti documentarie dirette e l’inefficacia del ricorso alle usuali scienze ausiliarie dello storico, si avvalse di discipline contigue, facendo propria la lezione di Gian Piero Bognetti, primo a mostrare quali preziose fonti di conoscenza rappresentassero, anche per gli storici del diritto l’archeologia, la storia dell’arte, la storia religiosa. Colpisce altresì lo sforzo profuso nel cogliere la parabola evolutiva nei rapporti fra ethnos latino ed elemento germanico, passati dallo scontro frontale a un faticoso adeguamento di mentalità differenti (favorito precipuamente dalla compagine ecclesiastica), fino al concluso ma tardo processo di assimilazione e integrazione culturale.
Di taglio prevalentemente istituzionale furono gli scritti di storia sulle scuole superiori e giuridiche medievali, Giudicati sardi, ambiente e diritti agrari dell’Isola, poteri episcopali dall’epoca costantiniana a quella post-carolingia, ordinamenti e legislazione dell’Italia meridionale, assetto politico-costituzionale del primitivo Ducato veneziano o rapporti tra Serenissima e Terraferma durante il formarsi del Dominio marciano.
Se alcune di queste ricerche rappresentarono il nucleo di successivi sviluppi, altre trovarono la più compiuta espressione di sintesi nell’opera centrale di Mor: i due densi volumi dedicati a L’età feudale (Milano 1952-1953), nei quali amplissima e dettagliata si dipana la trattazione degli eventi politici italiani compresi tra l’887 e il 1024, sempre attenta a inquadrare l’organizzazione civile ed ecclesiastica, l’ambiente economico-sociale, la vita artistico-culturale di un periodo segnato dal diffondersi e dall’evolversi del feudo, dinamicamente còlto come il più incisivo istituto consuetudinario del diritto intermedio. A questo studio complesso e di primissima mano si lega idealmente, per affinità di metodo e brillantezza di esiti, l’ampio contributo Dalla caduta dell’Impero al Comune, inserito nel secondo volume di Verona e il suo territorio (Verona 1964, pp. 1-242), opera promossa dall’Istituto per gli studi storici veronesi.
Oltre a questi occorre ricordare la miriade di lavori dedicati alla storia locale o regionale rappresentativi di un continuum, di eccezionale rilevanza non solo quantitativa, nel complesso della sua produzione scientifica. Tra le più risalenti, le ricerche dedicate alla Valsesia, alla Valle d’Aosta, alle valli del Rubbi, Montone e Bidente sulle falde dell’Appennino tosco-emiliano: indagini che si inquadrano in un indirizzo storiografico atto a sondare e illustrare avvenimenti politico-istituzionali, fonti normative, aspetti pubblicistici o privatistici di una determinata realtà ambientale culminati nella edizione di statuti e nella pubblicazione di sparsi fondi documentari. Coerenti con il rinnovato interesse storiografico del periodo fra le due guerre in tema di organizzazione del contado nei suoi tratti amministrativi, ecclesiali ed economici, furono gli studi – spazianti tra Valsesia, Valli Ticinesi, Valtellina e Canton Grigioni, e Valle Veddasca sulla sponda lombarda del Lago Maggiore – dedicati principalmente alla storia degli ordinamenti territoriali. Un’analisi metodologica nuova mise qui a frutto l’ottima conoscenza dei luoghi fisici raggiunta attraverso ricognizioni personali e una proficua interdisciplinarietà: toponomastica, glottologia, economia agraria ed alpestre, etnologia giuridica e storia delle tradizioni popolari.
Vi si ragiona di vicinie e contrade, di comuni rurali e pievi, studiate anch’esse come centri organizzativi a base demografica ed economica; si postula (con maggior forza rispetto agli aggregati cittadini) un loro probabile e graduale procedere dalle unità di distrettuazione romane; si tende a tracciare (o a ipotizzare) i confini di quelle, talora evanescenti, circoscrizioni territoriali.
In questo secondo corpus di contributi hanno avuto particolare significato quelli tesi a dare sistemazione anche teoretica alle cosiddette università di valle: organismi giurisdizionali a struttura unitariamente territoriale, estesi a tutte le località di un bacino vallivo, titolari di aree pascolive e boschive che, pur rientrando nel quadro dei comuni rurali, mantengono fisionomia propria, e per le quali Mor ipotizzò la peculiarità genetica di una loro uniforme origine pagense.
In ultimo, vanno menzionati gli scritti di storia friulana che, iniziati negli anni Quaranta, furono incrementati in quella che per lui era ormai diventata patria adottiva e si configurarono come un atto d’amore per la terra che più aveva toccato le corde della sua vena storiografica; multiforme realtà etnico-politica (si trattasse del Ducato longobardo, del dominio territoriale immunitario della Chiesa di Aquileia, dello Stato patriarcale o della provincia veneziana) che finì col rappresentare il punto di riferimento o il crocevia obbligato della maggior parte dei suoi itinerari scientifici e nella quale si condensarono i frutti di interessi che, solo riduttivamente, possono dirsi locali. Le ricerche spaziarono dall’archeologia, alla topografia tardo-romana, all’epigrafia e alla storia dell’arte medievali, all’origine e all’evoluzione patrimoniale del feudo ‘friulano’, alla variegata gamma di centri territoriali (curtes e mansi, pievi ed abbazie, arimannie e castelli, comuni rustici e cittadini).
Morì a Cividale del Friuli il 14 ottobre 1990.
Studioso di indiscussa caratura morale e di grande coerenza intellettuale Mor fu lontano da disputazioni astratte e teorizzanti e da problemi epistemologici, poco portato al dogmatismo e al tecnicismo giuridico, estraneo al dialogo con i cultori del diritto positivo, per nulla attratto da impostazioni metodologiche di taglio marxista, ma al tempo stesso libero dai canoni storiografici crociani, verso i quali si professava né tenero né pienamente convinto. Studioso a tutto campo privilegiò il primato della storia sul diritto – che considerò mera lente focale e solo uno dei fili conduttori rilevanti ma sempre interagenti con numerosi altri – e, mai, il Medioevo fu per lui una sterile infatuazione per qualche reperto giuridico, né atteggiamento formalistico inteso come distacco dalla realtà.
Opere: Una prima bibliografia della ricchissima produzione è in Scritti di storia giuridica altomedievale, Pisa 1977, pp. XVII-XXIX (ag-giornata all’anno di pubblicazione). Un accurato elenco è stato redatto da G. Fornasir in Studi forogiuliesi in onore di C.G. M., Udine 1983, pp. XIII-XXXII e rivisto dallo stesso in C.G. Mor - G. Ellero, Conversazioni sulla storia del Friuli d’Italia e d’Europa, Udine 1988, pp. 137-155. La bibliografia completa è stata curata da P.G. Sclippa in C.G. M. e la storiografia giuridico-istituzionale italiana del Novecento, Atti del Convegno, Udine - Cividale del Friuli ... 2002, a cura di B. Figliuolo, Udine 2003, pp. 140-180.
Fonti e Bibl.: L’archivio personale di Mor, assieme a quello del suocero Leicht, in parte è proprietà del Soroptimist International Club di Cividale del Friuli e depositato presso la locale Biblioteca Civica; in parte è stato donato dalla famiglia – unitamente alla cospicua biblioteca dei due studiosi – alla Biblioteca interdipartimentale della facoltà di lettere e filosofia dell’Università di Udine; ivi riordinato, catalogato e aperto alla consultazione del pubblico. Cfr. E. Cortese, Storia del diritto italiano, in Cinquanta anni di esperienza giuridica in Italia. Atti del Congresso nazionale Messina - Taormina, ... 1981, Milano 1982, p. 830 e n. 79; F. Seneca, C.G. M., in Memorie storiche forogiuliesi, 70 (1990), pp. 11-19; G. Zordan, Ricordo di C.G. M., Padova 1991; G.C. Menis, C.G. M. storico del diritto italiano e del Friuli, in Atti dell’Accademia di scienze lettere e arti di Udine, 84 (1991), pp. 57-80; G. Santini, Ricordo di C.G. M., in Archivio Giuridico ‘F. Serafini’, 211 (1991), pp. 505-514; A. Burdese, Commemorazione di C.G. M., in Atti dell’Istituto veneto di scienze lettere e arti (1991-92), pp. 1-7; L. Mazzarolli, Commemorazione del socio effettivo C.G. M., in Atti e memorie dell’accademia patavina di scienze lettere e arti, 104 (1991-92), pp. 111-121; A. Cavanna, C.G. M. e la Valsesia medievale, in Valle Sicida, 3 (1992), pp. 27-38; G. Fasoli, Ricordi di C.G. M., in Committenti e produzione artistico-letteraria nell’alto medioevo occidentale. Settimane di studio del Centro italiano di studi sull’Alto Medioevo, 39, I, Spoleto 1992, pp. 21-32; G.S. Pene Vidari, C.G. M., in Bollettino storico-bibliografico subalpino (1992), pp. 387-390; A. Padoa-Schioppa, Ricordo di C.G. M., in Paolo Diacono e il Friuli altomedievale (secc. VI-X). Atti del XIV Congresso di studi sull’Alto Medioevo, I, Spoleto 2001, pp. 1-10; C.G. M. e la storiografia giuridico-istituzionale, cit., con contributi diversi e considerazioni conclusive di G. Zordan.