MONTAGNINI, Carlo Ignazio
– Nacque il 12 maggio 1730 a Trino Monferrato, nella parrocchia di S. Bartolomeo, secondogenito del notaio Giovanni Michele e di Rosa Matilde Caresana di Biamino.
Allievo del Collegio delle Province di Torino, si laureò in utroque iure nell’Università di Torino l’8 giugno 1752 per poi entrare al servizio della Corona sabauda, nell’avvocatura generale presso il Senato. Alla fine del 1754 si portò a Vienna, incaricato dal conte Vittorio Martini Cigala della pratica di successione di alcune proprietà comprese nei domini austriaci di uno zio di questi, il generale Domenico Baloira (per gli interessi del quale scrisse una Dissertatio…, s.l. [ma Vienna] 1755).
Nella città austriaca operò in qualità di assistente del residente sabaudo Luigi Malabaila, conte di Canale, ambasciatore dal 1737 al 1773, e lo sostituì durante i periodi di assenza, durati a volte alcuni mesi, nel 1763-64, 1765, 1767. Su richiesta del Canale, il governo concesse al M. di prolungare la sua permanenza «a fin de vous mettre en état d’y continuer vos études et de vous rendre utile à son service» (Arch. di Stato di Torino, Corte, Lettere ministri, Austria, mazzo 85, lettera del governo al M., maggio 1761). In effetti il M. rimase a Vienna fino al 1769, come egli stesso afferma, «pour me mettre au fait des affaire de l’Empire et de tout ce qui rapport au droit public» (ibid., appunto del 1767). Assistette pertanto il Canale intorno a materie che riguardavano il diritto pubblico imperiale, per la stretta relazione che queste avevano con l’organizzazione stessa dello stato sabaudo. In una lettera ribadiva «comme mes études se dirigèrent principalement à ce qui m’a paru pouvoir intéresser la Maison Royale de Savoie: [...] l’Observance impériale par rapport au gouvernement extérieur de l’Empire; la Supériorité territoriale; l’Hommage et ses effects; enfin les droits que les Empereurs ont eu ou prétendu avoir en toute Italie depuis Charles Magne, jusqu’à présent» (ibid., mazzo 86).
In questo lungo periodo si occupò, nella sua corrispondenza ufficiale oppure in memorie manoscritte spesso estese e articolate, sia di questioni che riguardavano la politica internazionale del tempo (la questione di Polonia; i rapporti tra Austria e Francia) e la collocazione diplomatica dei Savoia, sia di problemi più direttamente riguardanti l’articolazione dello Stato sabaudo. A questo riguardo scrisse un saggio storico (Arch. di Stato di Torino, Corte, Storia della Real Casa, cat. V, Acquisti e diritti, mazzo 4: «Titoli degli Stati, terre e paesi posseduti dalla Real Casa di Savoia e d’alcune ultime disposizioni degli antichi Principi della medesima», 1764), con una particolare attenzione alla complessità giurisdizionale dei domini che lo componevano. Tra le materie che ebbe a trattare vi furono il riconoscimento della superiorità sul marchesato di Pregola nell’Appennino (stese almeno sette memorie, tra il 1764-90, per opporsi alle ragioni della famiglia Malaspina, che rivendicavano l’imperialità del feudo, nonostante questo fosse stato ceduto nel 1743 ai Savoia in seguito al trattato di Worms: Archivio di Stato di Torino, Corte, Paesi di nuovo acquisto, Pregola, mazzi 4, 7; Ibid., Materie d’Impero, cat. I, mazzo 2 add.), e più in generale le investiture sui territori già imperiali acquisiti dai Savoia nel corso del Settecento proprio alla Corona austriaca, tra cui i feudi delle Langhe; si dedicò inoltre ai rapporti tra lo stato sabaudo e il governo della Repubblica di Genova, sia in relazione ai tentativi di acquisizione di feudi e all’ottenimento di investiture su questi, che spesso vedevano in concorso i due Stati, sia occupandosi di cause internazionali, come quelle di Campofreddo (l'odierna Campo Ligure) e Sanremo. Di queste ultime trattò in scritture specificamente dedicate, ma anche nei suoi numerosi scritti concernenti la natura del vicariato imperiale (Torino, Biblioteca Reale, Storia Patria, 159: Du vicariat de l’Empire; copie ibid., 692 e 695). Egli si dedicò a lungo, anche negli anni successivi, alla definizione della natura e dei modi di esercizio del vicariato rivendicato dalla corona sabauda, per «mettere ordine» nella materia tra le tante opinioni differenti, e partecipò a progetti politici che intendevano ridefinirne i caratteri (insieme con Canale, nel 1763, partecipò alle iniziative per contrattare la stesura delle capitolazioni imperiali in occasione dell’elezione di Giuseppe II, con riguardo all’articolo 26, relativo al vicariato sabaudo: Arch. di Stato di Torino, Corte, Materie d’Impero, cat. VI, mazzo 1 add.). Argomentò l’esistenza di un tipo principale di vicariato, quello concesso in perpetuo ai Savoia sui loro Stati discendenti dall’Impero (a suo parere già dall’XI secolo), e lo distinse dagli altri – a suo avviso di natura giuridicamente inferiore – concessi in differenti riprese a molti principi italiani. Ancora più contrastata era però la tesi del M. secondo la quale il vicariato generale di interregno in Italia, esteso a tutti gli Stati del Regno d’Italia, sarebbe spettato «incontestabilmente» alla monarchia sabauda: egli tentò di dimostrarlo con ricostruzioni storiche e con la ricerca di documenti inediti, ma anche con l’azione politica diretta (soprattutto nell’ultimo anno della sua vita). Proprio per la sua vicinanza con un consigliere aulico, Heinrich Christian von Senckenberg, e in seguito al legame che strinse con il sanremasco Giovanni Battista Sardi, partecipò inoltre alla stesura di un’opera che intendeva sostenere i diritti imperiali su Sanremo e su tutta la Repubblica di Genova, pubblicata in occasione del conflitto tra quelle due città (Mémoires touchant la superiorité impériale sur les villes de Gênes et de San Rémo ainsi que sur toute la Ligurie, I-II, Ratisbonne 1768, in cui è contenuto anche l’Essai sur l’origine et les progrès de la prétendue indépendance génoise; tradotti in italiano ed editi a Firenze e a Milano l’anno seguente). L'opera è comunemente attribuita all'agente F.B. von Münsterer (che ebbe a curare in quegli anni gli interessi sabaudi presso la Dieta imperiale di Ratisbona); il fatto che in essa si alluda alla possibilità di intervento da parte dei Savoia a dirimere le controversie relative ai diritti dell’Impero in Italia in qualità di vicari, attesta tuttavia (insieme con alcuni passaggi particolari) un quasi certo intervento del Montagnini.
Lo stipendio garantito non era tuttavia elevato, e costrinse il M. a occupazioni alternative che giustificò sia con la necessità di sviluppare i suoi studi, sia con quella di mantenere un treno di vita consono alle sue frequentazioni con ambienti di corte. Come per il caso di Sanremo, si mise spesso al servizio di occasionali committenti: nonostante la corrispondenza ufficiale conservatasi sia povera di riferimenti non direttamente legati alla sua attività ufficiale, e pur mancando un archivio personale o familiare, le tracce relative a tali occupazioni sono testimoniate dai suoi contatti, e dalle opere anonime che, non senza difficoltà, è possibile ricondurre a lui. Alcune di queste sono uno scritto dedicate a temi politici e giuridici di ordine generale: recentemente gli è stata attribuita la paternità di uno scritto già ritenuto di Giuseppe II (Vienna, Österreichische Nationalbibliothek, Ser. n. 1796: Esprit de Ciceron sur le Gouvernement, Vienna 16 marzo 1766; edito in Beales - Hochstrasser, pp. 285-309).
In questi anni ebbe rapporti con personaggi di primo piano della vita politica e culturale viennese (a partire dalla cerchia del Canale, attraverso il quale entrò in contatto con Pietro Metastasio): tra di essi, vi furono Gian Rinaldo Carli (dal 1765 a capo del Supremo Consiglio di economia creato a Milano) e Luigi Giusti, referendario del dipartimento d’Italia a Vienna dal 1762 al 1766, con i quali sappiamo che discusse il piano di Carli per il riassetto delle monete e del commercio nello Stato di Milano tra 1764 e 1765. Egli fu inoltre referente, insieme con il Canale, per il re di Polonia Stanislao Augusto Poniatowski, nei momenti in cui questi non disponeva di un inviato presso la corte austriaca.
Nel 1769, anche in seguito alle sue continue richieste di aumento di stipendio e di grado, fu richiamato a Torino per un nuovo impiego: un ruolo di «commis subalterne» alla segreteria agli affari esteri, come ebbe a definirlo l’inviato austriaco a Torino De Ben, uno tra i pochi personaggi coevi che espressero critiche rispetto al M. (Beales - Hochstrasser, p. 273). Fu però invitato a passare, prima del suo rientro in patria, dalla città di Ratisbona, sede della Dieta imperiale, proprio per assumere, come spiegò egli stesso, «quelques connoissances locales concernant la Diète» (Archivio di Stato di Torino, Corte, Lettere ministri, Austria, mazzo 86, 8 luglio 1769). A Ratisbona si fermò alcuni mesi, a conferma del ruolo già assunto quale referente dei Savoia rispetto agli affari riguardanti l’Impero.
Rientrato a Torino, scrisse a più riprese sulla questione dei feudi imperiali delle Langhe, per i quali, dopo l’acquisizione definitiva e l’investitura ottenuta dai Savoia nel 1755, erano insorti a partire dal 1763 nuovi problemi a causa del tentativo di applicarvi le Regie Costituzioni, quando invece questi luoghi si ritenevano solo parzialmente sottoposti al nuovo sovrano (Riflessioni sopra i pareri di Eineccio e Senckembergio riguardanti i privilegi dei vassalli delle Langhe (1771), in Torino, Biblioteca Reale, Storia Patria, 745 e Archivio di Stato Torino, Corte, Paesi, Langhe, mazzo 6 add.; Ibid., Materie giuridiche, Regie Costituzioni, mazzo 35: Nota sull’applicazione delle Regie Costituzioni nei territori già milanesi, e nei feudi della Langhe, 1770; Ibid., Materie d’Impero, cat. II, mazzo 1: Vicariato perpetuo concesso a S.M. dall’Impero ne’ Feudi, e Terre delle Langhe, 1771). Si dedicò ancora alle discussioni relative alle riforme nei vicini Stati austriaci, in particolare attraverso la stesura di un articolato trattato sulle manimorte ecclesiastiche (edito in L. Montagnini, Dell’antica legislazione italiana sulle manimorte. Memoria di C.I. M. conte di Mirabello, in Miscellanea di storia italiana, s. 2, XIX (1880), pp. 109-207), nel quale indagò i provvedimenti legislativi intrapresi nello Stato di Milano in quegli anni, attraverso un’analitica ricostruzione storica, e un confronto con interventi analoghi di altri stati italiani e con la memorialistica coeva (le sue occupazioni lo avevano già condotto anni prima a Milano, dove aveva avuto modo di lavorare sui documenti dell’Archivio Panigarola dell’Ufficio del Governatore degli statuti).
Nel 1773 fu designato residente sabaudo presso la Dieta imperiale di Ratisbona: la nomina rappresentò un salto nella carriera, nonostante la sede fosse la meno pagata tra quelle dei residenti, e le presenze di inviati ufficiali risalissero a più di un secolo prima. In previsione del nuovo incarico diplomatico, fu investito del titolo comitale di Mirabello (trasmissibile agli eredi maschi), il 16 apr. 1773. Due giorni dopo gli vennero assegnate le patenti come ministro plenipotenziario presso la Dieta. La nomina del M. coincise con il disegno di Vittorio Amedeo III di riportare in attività alcune giunte costituite dal padre, tra le quali quella «d’Impero» (la Giunta, che aveva avuto una breve attività negli anni Quaranta, non funzionò però effettivamente) e con un moderato avvicinamento della Corona sabauda alla Prussia.
Giunto a Vienna in quello stesso aprile per verificare le reazioni della corte imperiale rispetto al progetto di riattivare la presenza sabauda in Dieta (che sembrarono positive), vi si fermò più di un anno. Si dovette occupare, infatti, della morte del conte di Canale e della sua successione, assumendo in particolare la cura delle carte del diplomatico, e supplì al contempo all’assenza di un inviato ufficiale. Il re provvide quindi a firmare nuove istruzioni, il 9 luglio 1774, e nell’agosto successivo il M. raggiunse finalmente la Dieta.
Anche durante quella missione, affrontò temi già trattati: oltre che dedicarsi alla difesa dei diritti sabaudi sul marchesato di Pregola e sulle Langhe, produsse nuove redazioni di scritture dedicate al vicariato generale per la corona sabauda, ma anche pareri che intendevano rivendicare addirittura la carica di elettore imperiale alla dinastia. Si dedicò inoltre al più peculiare obiettivo di giustificare (ed argomentare) attraverso la sua presenza il ruolo stesso della monarchia all’interno delle istituzioni imperiali, e i suoi diritti di sedia e di suffragio presso quell’assemblea. Stese per questo alcune memorie intese a ricostruire la storia della partecipazione sabauda alla Dieta, cercando di dimostrare, da una parte, che fino agli anni Sessanta del secolo precedente la dinastia aveva conservato fattivamente il proprio «droit de session» e, dall’altra, che, al contrario, successive presenze di inviati sabaudi «senza qualità» (ovvero senza formale riconoscimento da parte dell’assemblea imperiale) non avevano pregiudicato la conservazione di tale diritto (Archivio di Stato di Torino, Corte, Materie d’Impero, cat. III, mazzo 2, «Note touchant le droit de séance à la Diète de l’Empire»; «Note touchant la convenance de remettre en vigeur le Droit de suffrage à la Diète»; «Note touchant le rang, et la preseance au Colege des Princes»; «Note touchant la maniére de concevoir le Pleinpouvoir et le lettres de Créance pour la Diète»). Il fine delle sue argomentazioni era quello di garantire alla corona un ruolo preminente all’interno delle istituzioni imperiali, e grazie a questo su tutta la penisola italiana, ed era conseguente alle convinzioni già precedentemente espresse negli scritti sulla natura del vicariato imperiale e sulle prerogative sabaude rispetto al suo esercizio: il «droit de suffrage» appannaggio dei Savoia, sosteneva il M., «constitue une différence très essentielle entre le Duc de Savoie comme Prince, et État de l’Empire et les autres ducs et princes italiens, les quels n’ayant point cette prérogative sont regardés en Allemagne comme des simples vassaux majeurs du royaume d’Italie» (Torino, Biblioteca Reale, Storia patria, 159: Du vicariat de l’Empire, p. 120).
Venne tuttavia presa la decisione di non accreditare ufficialmente l’inviato, nonostante la missione a Ratisbona avesse suscitato una positiva curiosità, e nonostante le insistenze del M.; alla fine prevalsero così l’indecisione e la prudenza di Vittorio Amedeo III, e il timore che un riconoscimento diretto della corona sabauda all’interno dell’Impero potesse pregiudicare i tentativi di costruirle una posizione indipendente nel consesso degli Stati europei.
Anche per tali motivi il M. si dispose a partire, alla fine del 1777, per accettare un incarico più prestigioso e remunerativo, come inviato all’Aja. A trattenerlo a Ratisbona furono gli eventi legati alla difficile successione alla casa di Baviera, su cui già un anno prima aveva informato il governo (Arch. di Stato di Torino, Corte, Materie per l’Estero, Austria e Allemagna, mazzo 4 add.: Scritto del M. con un «ristretto istorico», 1776). Forse su suggerimento della corte prussiana, in quel periodo venne presa in considerazione l’eventualità di rivendicare ai Savoia l’elettorato eventualmente lasciato vacante dall’estinzione della linea elettorale bavarese. Tale rivendicazione, e la conseguente creazione di legami saldi con alcuni principi del corpo germanico, sembrò un modo, tra i molti tentati, per uscire dall’impasse dell’alleanza franco-austriaca, che in quegli anni aveva ristretto i margini di azione della diplomazia sabauda. Tali pratiche si arenarono quasi immediatamente, però, soprattutto per l’opposizione francese e per quella degli altri principi elettori.
Nel marzo 1778 il M. raggiunse l’Aja come rappresentante del sovrano sabaudo presso le Province Unite: un impegno che lo allontanò almeno parzialmente dai suoi interessi storici e giuridici.
Sul soggiorno olandese del M. le notizie sono scarse, se si esclude la corrispondenza ufficiale: egli si premurò come di consueto di ragguagliare il governo sulla vita politica locale e sulle discussioni intorno ai conflitti diplomatici del tempo, con una particolare predilezione per gli affari finanziari e commerciali, e per la trama dei prestiti pubblici e privati che ruotavano intorno all’Olanda, coltivando relazioni particolarmente strette con i rappresentanti inglesi.
A questo periodo risalgono alcune lettere a Carlo Denina (dove i ragionamenti del M. sembrano volersi ispirare costantemente alla «prudenza»); alle sue frequentazioni olandesi si deve l’incontro con il bibliotecario tortonese Tommaso de Ocheda. Fu probabilmente anche grazie a questi che il M. accumulò una consistente biblioteca (circa quattromila libri, poi almeno in parte venduti dagli eredi al governo sabaudo) e una raccolta di quadri, di cui non è rimasta traccia.
Nel giugno 1789 il M. ritornò a Torino, accettando la proposta di affiancare il direttore degli archivi di corte Carlo Melina in qualità di vice, in funzione di una eventuale sostituzione; la nomina a sovrintendente in seconda dei Regi Archivi, col titolo e grado di Presidente, risale al 9 febbr. 1790. In quella stessa data fu insignito della croce mauriziana.
Il M. sembra rimanere negli anni il soggetto di riferimento per le «materie d’Impero», e infatti fu a lui che ci si rivolse quando cominciarono a diffondersi, nel 1789, le notizie sul peggioramento delle condizioni di salute dell’Imperatore Giuseppe II, accompagnate da quelle che lasciavano presagire un lungo periodo di interregno e alimentavano vivaci dibattiti sulle istituzioni imperiali.
Mentre il M. era ancora all’Aja, gli si chiese di raccogliere informazioni sui pareri degli inviati esteri rispetto all’eventualità che il re sardo intendesse far valere in tale occasione la sua carica di vicario in Italia. Il progetto era conseguenza della notizia che circolava in ambienti diplomatici, secondo la quale alcuni ministri imperiali sarebbero stati favorevoli a fare in modo che, durante l’interregno (che si prospettava di lunga durata), la Dieta e i supremi tribunali dell’impero (il consiglio aulico e la camera imperiale) potessero continuare a operare, senza dover nuovamente vedersi costretti a una elezione affrettata dell’Imperatore. Si riprese inoltre il progetto di rivendicare un elettorato per i Savoia, e si sollecitò nuovamente il parere del M., che si espresse nei seguenti termini: «l’idée de l’Electorat; elle me paroit trés delicate et politique à plusieurs égards; mais le cas venant je tacherai de tenir prêt tout ce qui pourroit servir de base aux déliberations du roi sur cette matière intéressante» (Arch. di Stato di Torino, Corte, Materie d’Impero, cat. III, mazzo 2 add.: Scritti concernenti il progetto già altre volte ideato, e particolarmente nel 1779 di erezione del Ducato di Savoja in Elettorato dell'Impero, 1790). Egli consigliava, in ogni caso, di procedere con «prudence», anche perché i rappresentanti austriaci ritenevano letteralmente «incredibile» l’idea di un sovrano sabaudo principe elettore dell’Impero (ibid., cat. III, mazzo 2 add.). Il governo sabaudo si adoperò soprattutto perché fosse assunta ed esercitata dal re la carica di vicario di interregno – generale su tutta Italia (l’altro tipo di vicariato era quello perpetuo, esercitato sui territori imperiali della dinastia) – e cercò appoggio presso la corte prussiana e il governo inglese (ibid., cat. II, mazzo 1 add.: Nota concernente l’esercizio del Vicariato dell'Impero in Italia, spettante a S.M., nel caso di un interregno, o di torbidi, 1789). Con la collaborazione del M., dopo la morte dell’imperatore (20 febbr. 1790), si predispose inoltre l’invio di un rappresentante a Francoforte perché si facesse portavoce delle pretese sabaude presso un rappresentante degli elettori all’interno della Dieta elettorale (ibid., cat. VI, mazzo 1 add.: Note, Memorie, e progetti formati dal Conte M., approvatisi in pieno Congresso tenutosi alla presenza di Sua Maestà, per servire d'istruzione al Marchese Arborio Gattinara di Breme, destinato a suo Ministro plenipotenziario alla Dieta Elettorale di Francfort). Da parte sua, il M. si adoperò per rivendicare tale prerogativa riesumando passati progetti che, nell’eventualità di un interregno, esortavano a organizzare un tribunale che istruisse processi su istanza di feudatari imperiali italiani, in luogo del consiglio aulico. Nelle memorie che il M. propose a una corte entusiasta sono descritti composizione, regole ed ambiti di azione del futuro «tribunale imperiale» con sede a Torino, i cui ambiti di azione avrebbero dovuto riguardare essenzialmente eventuali appelli di «quelques vassaux imperiaux de Ligurie, de Lunigiane, ou de Lombardie» (ibid., cat. III, mazzo 2 add.). In questa prospettiva, si tentarono di sfruttare le lamentele della comunità di Campofreddo, un feudo imperiale in cui da decenni una fazione locale si opponeva alla famiglia Spinola e alla Repubblica di Genova, feudatari condomini. Il M. auspicava un appello con cui la comunità «implorasse, attesa la circostanza dell’Impero vacante, la protezione di S.M. come Vicario Imperiale, e perpetuo dell’Impero in Italia, ad effetto di provvedervi come di ragione, e giustizia, secondo le leggi, e costituzioni imperiali» (ibid.); e riuscì a ottenerlo attraverso una trattativa segreta.
Ma proprio quando, all’inizio del giugno 1790, vennero definiti i punti principali su cui muoversi presso la Dieta elettorale (ovvero la riforma dell’articolo 26 delle capitolazioni imperiali relativo al vicariato sabaudo; la definizione delle investiture; il diritto di reversione sul piacentino; la conferma generale di tutti gli antichi privilegi e prerogative della casa Savoia; il «redressement» di quelli che erano ritenuti i diritti sabaudi sul marchesato di Pregola), le pratiche si arrestarono. L’inviato Breme da Francoforte comunicò l’opposizione di alcuni fra i rappresentanti degli elettori rispetto alle mire sabaude, ritenute di pregiudizio sia ai caratteri germanici dell’Impero sia alle funzioni dell’ufficio della Plenipotenza Imperiale in Italia. A margine di un «congresso» tra le più alte cariche della corte torinese a settembre, si decise così, nell’imminenza dell’elezione del nuovo imperatore Leopoldo (che sarebbe avvenuta il 30 di quel mese), che fosse più prudente astenersi da ulteriori rivendicazioni.
Mentre si consumava il fallimento di questi tentativi, il M. morì a Torino il 18 ag. 1790.
Sia nei suoi scritti sul vicariato, sia nell’affrontare diversi problemi contingenti (in particolare quelli dei feudi delle Langhe), il M. formulò anche soluzioni generali, che si sviluppano attraverso successive analisi della storia dell’Impero e del ruolo dello stato sabaudo all’interno del sistema imperiale. Si tratta di rielaborazioni originali, e di grande importanza, delle dottrine sulla superiorità territoriale e sui rapporti tra Imperatore e corpi o stati dell’Impero, che passano non da un’idea di sovranità assoluta, o ‘nazionale’, ma dal tentativo di adeguare la struttura dello stato sabaudo al quadro del diritto pubblico europeo uscito dalla pace di Westfalia. «Nella maniera e collo splendore che in oggi si possiede e si esercita la superiorità territoriale dai Principi e Stati dell’Impero», sostenne il M., «egli è certo che se ne deve la generale ricognizione alla legge prescritta nella pace westfalica del 1648, non meno che alle successive conferme che si scorgono nelle capitolazioni cesaree» (cit. in Bulferetti, Il Principio, p. 174 n). Il suo fine non fu evidentemente quello di partire da una definizione della sovranità sciolta da ogni rapporto con l’Impero, ma di interpretare tale vincolo (cui erano sottoposti molti dei territori che costituivano gli Stati sabaudi) nel senso di una autonomia quasi totale dall’Imperatore. Queste elaborazioni rappresentano «il più alto grado di sviluppo cui pervenne in Piemonte, avanti la rivoluzione francese, la giuspubblicistica» (secondo il giudizio di L. Bulferetti, ibid., p. 167), e «restano nondimeno documenti interessanti per la storia del diritto pubblico, nei suoi nessi coll’azione politica, e indicano come, attraverso vecchi schemi, i Savoia riuscissero di fatto ad assicurarsi la piena sovranità, seguendo un metodo in contrasto con quello perseguito nella prima metà del sec. XVIII» (Bulferetti, Le relazioni diplomatiche, p. 40 n.). Il fatto che la costruzione teorica del funzionario passi attraverso il legame tra i Savoia e le istituzioni imperiali è però forse alla base del disinteresse di gran parte della storiografia, che ha preferito invece dedicarsi alla prospettiva politica di creazione di uno Stato sovrano «nazionale» dai caratteri «italiani». È stato così che pratiche di questo genere sono state liquidate come anacronistiche o di scarsa importanza. La rielaborazione storiografica, ma sarebbe meglio parlare di rimozione vera e propria, che fecero di questi temi gli storici «sabaudisti», si spiega dunque con motivazioni politiche (Tigrino, 2006). Il vero e proprio oblio cui fu sottoposta la memoria di questa caratterizzazione «imperiale» della storia sabauda venne in un certo modo rotto da una piccola celebrazione postuma di cui fu oggetto il M. a cinquanta anni dalla morte: un suo ritratto è, infatti, conservato nel Palazzo Reale a Torino sotto le volte decorate alla fine del Seicento da Daniel Seyter, all’interno della galleria che da questi prende il nome, tra i cinquantaquattro commissionati da Carlo Alberto nel 1840, su proposta di Cesare Saluzzo di Monesiglio, a rappresentare personaggi «dello Stato» che si distinsero nelle arti, nella politica, nella religione. La scelta è singolare, non solo perché il personaggio era relativamente poco noto, ma perché fu giustificata proprio per la sua raffinata conoscenza del diritto pubblico germanico: una conoscenza atipica negli ambienti sabaudi, e poco in linea con la retorica in quegli anni tesa a promuovere il carattere italiano della dinastia e dello Stato.
Fonti e Bibl.: Per un elenco parziale dei manoscritti riconducibili all’attività del M. conservati oggi in Archivio di Stato di Torino, Corte, v. N. Bianchi, Le materie politiche. Un elenco delle scritture ancora in possesso degli eredi all’inizio dell’Ottocento è in De Gregory, Istoria della vercellese letteratura ed arti, pp. 250-252 e L. Montagnini, Dell’antica legislazione, pp. 113-115; in Bulferetti, Il principio, pp. 165-171, sono indicate alcune tra quelle a lui attribuite conservate nella Biblioteca Reale e nell’Archivio di Stato di Torino. Ma molte sono ancora le opere da identificare (anche in tali sedi) e l’esistenza di sue scritture occasionalmente ritrovate in vari archivi fa pensare che il loro numero possa essere consistente. Roma, Arch. Storico Diplomatico del Ministero degli Affari Esteri, Legazione Sarda in Vienna, cartt. 1, 2, 22-25; Arch. di Stato di Torino, Corte, Lettere ministri, Austria, mazzi 85-86-93-94; Ibid., Ratisbona, 22-24, 27; Ibid., Olanda, 70-74, 77, 79-80, 82, 84-86, 88, 90 (dal governo a M.: ibid., mazzi 71-73, 76, 78-79, 81, 83, 85, 87, 89-90); ibid., Negoziazioni con l’Austria, mazzo 11 add.; Paesi per A e per B, San Remo, mz. 67; Repubblica di Genova, Riviera di Genova, mz.1 non inv. (causa di Sanremo); Materie giuridiche, Ministri e segreteria, mazzi da ordinare, 1460-1851: relazione della morte del conte di Canale scritta dal M.; Materie d’Impero, cat. III, mz. 1 add.: Pienpotere di S.M. al conte C.I. M. di Mirabello per intervenire alla Dieta imperiale di Ratisbona nel posto alla M.S. competente, e per dare a di Lei il voto, e suffragio su tutto ciò, che si sarebbe ivi proposto (18 apr. 1773); Ibid., Materie politiche per rapporto all’estero, Negoziazioni con l’Olanda, mazzi 1, 3: Istruzioni al M. come Ministro presso gli Stati generali delle Provincie Unite (gennaio 1778); Ibid., Riviera d’Orta, mazzo 7: Relazione successiva all’acquisizione della Riviera d’Orta dal Vescovo di Novara (1773); Ibid., Materie politiche per l’interno, Ambasciatori e inviati, mazzo 1 (e ibid., Paesi, Nizza, Consoli stranieri, mazzo 1): Memoria sulle franchigie dei consoli esteri (1772); ibid., Materie economiche, Immunità per i 12 figli, mazzo 1: Memoria sopra l'immunità de' dodeci figliuoli a riguardo delle persone abitanti ne' Paesi Esteri, e possidenti beni in questi Stati (1772); Ibid., Materie per l’Estero, Porta Ottomana, mazzo 1: Memoria del M. sullo stato della Porta Ottomana (20 genn. 1775); ibid., Materie per l’Estero, Polonia, mazzo 1: Riflessioni compilate da M. sovra le turbolenze insorte in Polonia tra i Dissidenti, ed i Cattolici (12 luglio 1767); ibid., Regi archivi, cat. I, mazzo 3; ibid., Materie d’Impero, cat. III, mazzo 1 add.: Scritto sull'origine, e decadenza del Circolo di Borgogna (1756); Torino, Soprintendenza alle Gallerie di Torino, manoscritto non numerato: Galleria di S.M. 1840. Personaggi illustri nazionali per soggetti di quadri, busti, ritratti; Arch. di Stato di Milano, Feudi imperiali, n. 617; Vienna, Österreichesche Nationalbibliothek, Ser. n. 1796: Discours touchant la politique, 1762; Réflexion sur les voyages, 1765; Capodistria, Antico Archivio municipale, Arch. Carli, reg. 1502: Discorso sopra la politica del sigr. Abate Montagnini tradotto dal francese dal conte Medin; ibid., 8 lettere inviate dal M. a Carli (dicembre 1756 - marzo 1759); Themata ex caesareo, ac pontificio jure sorte educta Carolus Ignatius Dominicus Montagnini Tridinas philosophiae, & liberalium artium magister, juris utriusque baccalaureus, ac Regii Collegii convictor ut prolitarum condecoretur insignibus publico propugnabit discrimine in Regio Taurinorum Archilyceo anno 1751. die 27. Julii hora 5. Pomeridiana, Torino 1751; Carolus Ignatius Montagnini Tridinas juris utriusque prolita ac Regii Collegii convictor ut doctor renuntietur in Regio Taurinorum Athenaeo sexto idus Junii 1752. hora 6. pomeridiana, Torino 1752; G.G. De Gregory, Istoria della vercellese letteratura ed arti, IV, Torino 1824, pp. 248-251; Diz. geografico-storico-statistico-commerciale degli stati di s.m. il re di Sardegna, XXIII, Torino 1856, pp. 513-514; C. Dionisotti, Notizie biografiche dei Vercellesi illustri, Biella 1862, p. 73; A. Manno, Relazione del Piemonte del segretario francese Sainte-Croix annotata da Antonio Manno, in Miscellanea di storia italiana, s. 2, XVI (1877), pp. 319 s.; S. Pugliese, Le prime strette dell’Austria in Italia, Milano-Roma 1932, pp. 296-300; G. Tabacco, Lo Stato sabaudo nel Sacro Romano Impero, Torino 1939, pp. 181-197; L. Bulferetti, Fonti per la storia delle relazioni tra lo Stato sabaudo e la Prussia nel secolo XVIII, in Boll. storico bibliografico subalpino, XLIII (1941), pp. 51-89; Id., Le relazioni diplomatiche tra lo Stato sabaudo e la Prussia durante il regno di Vittorio Amedeo III, s.l. 1942, pp. 21, 27-32, 39 s., 64-70; La legazione sarda in Vienna (1707-1859), a cura di E. Piscitelli, Roma 1950, ad ind.; N. Calvini, La rivoluzione del 1753 a Sanremo, Bordighera 1953, pp. 98, 151-154; II, pp. 46, 75, 111s., 137, 141; L. Bulferetti, Il principio della «superiorità territoriale» nella memorialistica piemontese del sec. XVIII. C.I. M. di Mirabello, in Studi in memoria di Gioele Solari, Torino 1954, pp. 153-218; A. Sisto, I feudi imperiali del Tortonese (sec. XI-XIX), Torino 1956, pp. 166-169; G.C. Greppi, Un diplomatico piemontese a l’Aia negli ultimi anni dell’Antico Regime. C.I. M. di Mirabello (1778-89), tesi di laurea, Università degli Studi di Torino, fac. di lettere e filosofia, a.a. 1960-61; E. Apih, Rinnovamento e illuminismo nel ´700 italiano: la formazione culturale di Gian Rinaldo Carli, Trieste 1973, pp. 213-217; Cultura figurativa e architettonica negli Stati del re di Sardegna. 1773-1861 (catal.), I, Torino 1980, pp. 412-419; D.E.D. Beales - T. Hochstrasser, Un intellettuale piemontese a Vienna e un’inedita storia del pensiero politico (1766), in Boll. storico bibliografico subalpino, CXI (1993), 1, pp. 247-309; M.T. Polidoro, Diplomazia e politica nello Stato sabaudo del XVIII secolo: l’abate C.I. M., tesi di laurea, Università degli studi di Torino, facoltà di lettere e filosofia, a.a. 1995-96; F. Malaguzzi, Biblioteche storiche disperse, Torino 1999, pp. 53-62; A. Torre, Poteri locali e Impero tra XVI e XVIII secolo: i feudi imperiali delle Langhe tra mito e storia, in Acta Histriae, VII (1999), p. 179; M. Schnettger, «Principe Sovrano» oder «Civitas Imperialis». Die Republik Genua und das Alte Reich in der Fruhen Neuzeit, 1556-1797, Mainz a.R. 2006, pp. 389, 402; V. Tigrino Istituzioni imperiali per lo Stato sabaudo tra fine dell’Antico Regime e Restaurazione, in L’Impero e l’Italia nella prima età moderna / Das Reich und Italien in der Frühen Neuzeit, a cura di M. Schnettger - M. Verga, Bologna-Berlino 2006, pp. 179-240; Id., Sudditi e confederati. Sanremo, Genova e una storia particolare del Settecento europeo, Alessandria 2009, ad ind.; A. Merlotti, Savoia e Asburgo nel XVIII secolo: due progetti per un secondo Stato sabaudo nell’Italia imperiale (1732, 1765), in Le corti come luogo di comunicazione. Gli Asburgo e l'Italia (secoli XVI-XIX). Höfe als Orte der Kommunikation. Die Habsburger und Italien (16. bis 19. Jahrhundert), a cura di M. Bellabarba - J.P. Niederkorn, Bologna-Berlin 2010, pp. 231 s.