LAVAGNA, Carlo
Nacque ad Ascoli Piceno il 26 maggio 1914 da Silvio, avvocato di origini sarde ma radicato nelle Marche, e da Maria Di Ré. Dopo gli studi medio-superiori a Macerata, si iscrisse alla facoltà di giurisprudenza dell'Università di Roma nel 1932 e si laureò il 13 luglio 1936 con una tesi su La funzione legislativa e regolamentare. Iscritto al Partito nazionale fascista (PNF) di Ascoli Piceno dal 24 maggio 1936, vincitore di una borsa di studio dell'Istituto di studi germanici per due semestri a Berlino tra il 1936 e il 1937, assistente volontario presso l'istituto di diritto pubblico e legislazione sociale della facoltà di scienze politiche dal 22 ott. 1938, su proposta del direttore dello stesso, Luigi Rossi, il L. divenne assistente volontario presso la cattedra di diritto costituzionale di S. Romano nella facoltà di giurisprudenza dal 16 genn. 1940.
Ternato nel concorso di istituzioni di diritto pubblico bandito dalla facoltà di Cagliari nel 1942, venne nominato professore straordinario di questa materia presso il corso di laurea in scienze politiche della facoltà di giurisprudenza dell'ateneo sardo dal 1° dic. 1942.
Dopo l'8 settembre, in servizio militare come ufficiale subalterno presso il comando del IX corpo d'armata e poi presso il comando supremo di Brindisi, da cui fu trasferito all'ufficio stampa di Bari, il L. partecipò all'esperienza del Regno del Sud nella sede di Bari.
Venne infatti comandato provvisoriamente dal ministero per l'insegnamento di numerose materie pubblicistiche presso la locale università e cooperò con A. Amendola, A. Moro, P. Del Prete e A. Regina alla fondazione del settimanale La Rassegna e alle trasmissioni di Radio Bari.
Durante il periodo transitorio, passato all'insegnamento del diritto costituzionale nella facoltà di giurisprudenza dell'Università di Cagliari dal 1° nov. 1945 - anche per la soppressione del corso di laurea in scienze politiche - e confermato in ruolo dal 1° dicembre di quello stesso anno, il L. fu vicino alla attività del ministero per la Costituente di P. Nenni, il cui capo di gabinetto era M.S. Giannini. Chiamato dal 1° nov. 1952 dalla facoltà di giurisprudenza dell'Università di Macerata sulla cattedra di diritto costituzionale, egli diede vita al quotidiano La Voce adriatica. Dal 1° febbr. 1956 si trasferì presso l'ateneo pisano, succedendo a F. Pierandrei; dal 1° nov. 1963 insegnò diritto costituzionale italiano e comparato e poi, dal 1° marzo 1971, istituzioni di diritto pubblico nella facoltà di scienze politiche dell'Università di Roma. Promotore negli anni Sessanta della facoltà di giurisprudenza dell'Università di Teramo, dal 1968 fu direttore del settore costituzionale de La Giurisprudenza italiana. Nei suoi ultimi tre anni di servizio in ruolo accettò di trasferirsi presso la facoltà di giurisprudenza dal 1° nov. 1981, insegnando diritto pubblico generale e divenendo direttore dell'istituto di diritto pubblico.
Il L. morì a Roma il 9 giugno 1984.
Sposatosi il 2 genn. 1943 con Adriana Bellelli, il L. ebbe cinque figli (Anna, Silvio Massimo, Roberta, Elisabetta e Susanna).
La figura del L. si inserisce in maniera autorevole nell'ambito del ristretto gruppo di costituzionalisti italiani (fra i quali C. Mortati, G. Chiarelli, V. Crisafulli, C. Esposito, Giannini), che caratterizzarono la dottrina giuspubblicistica del secondo dopoguerra fino agli anni Settanta e che si formarono nella temperie degli anni Trenta. Allievo di Romano e di Rossi, il L. possedeva nello stesso tempo una raffinata caratura tecnica e un alto senso della politicità. Egli cercò di ricoprire il secondo attraverso la prima, ma nella sua opera il riferimento ai valori si evidenzia sempre con particolare nettezza, costituendo una vera e propria costante della sua personalità scientifica.
Nell'attività del L. possono individuarsi cinque periodi: il periodo giovanile (1936-42), caratterizzato da un'intensa produzione sotto l'influsso di Rossi e di Romano; gli anni difficili, ma produttivi, della costituzione provvisoria, della Costituente e del triennio successivo (1943-50); il quinquennio 1951-56, in cui approfondì i temi relativi agli ordinamenti democratici, ai sistemi elettorali e alle figure giuridiche soggettive; la successiva fase, fino al 1970, qualificata dall'attento studio della nascente giustizia costituzionale e dai contributi di diritto pubblico comparato; infine, il periodo delle ricerche che coprono l'inizio della grande transizione dell'ordinamento politico-costituzionale italiano sino alla metà degli anni Ottanta.
All'interno di questi cinque periodi, caratterizzati da contesti e interessi differenti, il L. tentò di mantenere unità di approccio con l'utilizzazione del cosiddetto metodo integrale, ovvero dello "studio (ontologico) dommatico e teleologico (storico-funzionale) degli istituti presi in considerazione". Secondo il L. "la scienza giuridica era l'attività razionale diretta a costruire il diritto sulla base delle fonti e dei contesti" (Istituzioni di diritto pubblico, Torino 1965, pp. 30 s.). Egli era consapevole che "gli avvenimenti storico-politici di questo secolo ed in specie la seconda guerra mondiale [avevano] ravvivato le discussioni ed acuito, in un certo senso, il contrasto tra posizione razionalista e indirizzo storicistico" e stigmatizzava che "nel campo giuridico [si fosse] venuta accentuando una particolare reazione al formalismo, che [era] giunta talora a derogare […] l'oggetto ed i fini della scienza giuridica, riducendola a cronistoria o a una forma di azione" (ibid.).
Il suo metodo, "storico e razionale nello stesso tempo", richiedeva "la compresenza di più momenti, fasi e tecniche della ricerca giuridica; la quale aveva bisogno, sia degli strumenti storici (dati estrinseci), sia di quelli dommatici (intrinseci) lasciando al carattere degli studiosi di dedicarsi più agli uni che agli altri" (ibid., pp. 41 s.). In un simile ambito "anche la scienza del diritto pubblico [aveva] come compito di costruire norme e non di rilevare meri comportamenti […], servendo tuttavia i fatti alla esatta ed integrale, proficua individuazione e sistemazione scientifica delle norme e alla valutazione della loro applicazione" (ibid., p. 49).
Un simile approccio metodologico, sintetizzato nel manuale (frutto di un lavoro di sedimentazione pluridecennale), può essere verificato nel corso della sua carriera di studioso e di docente. Dopo la tesi di laurea, il L. risulta subito attivo scientificamente attraverso la partecipazione al dibattito sulla riforma corporativa (cfr. per es.: Elementi di diritto corporativo, Ascoli Piceno 1936). Dall'esperienza tedesca il L. ricavò il materiale per scrivere una monografia su La dottrina nazionalsocialista del diritto e dello Stato (Milano 1938), in cui - sotto l'influenza dei suoi due maestri (ma in questo caso soprattutto di Rossi) - operava un'attenta descrizione del dibattito tedesco del periodo, discostandosene nell'ultimo capitolo con il richiamo all'indirizzo della scuola giuspubblicistica nazionale.
La giovane dottrina costituzionalistica del periodo era, in realtà, stretta tra le riforme incrementali del regime che imponevano un mutamento di metodo, e, nello stesso tempo, l'esigenza di non perdere gli elementi positivi dell'indirizzo orlandiano. Il giovane L., collaboratore di riviste impegnate come Conquiste, divenuto assistente di Romano, dovette tecnicizzare la propria produzione. Sono di questo periodo i contributi sul governo (Contributo alla determinazione dei rapporti fra capo del governo e ministri, Roma 1942), sulle fonti e sull'interpretazione (L'interpretazione autentica delle leggi e degli altri atti giuridici, ibid. 1942) e sulla rappresentanza politica (Per un'impostazione dommatica del problema della rappresentanza politica, in Stato e diritto, III [1942]). In realtà, tecnicità e riferimento ai valori non contrastavano nella prospettiva della valutazione dell'elemento politico sulla base di un approccio metodologico che stava sempre più stabilizzandosi.
Dopo il crollo del regime fascista e l'esperienza pugliese, di cui sono testimonianza le Lezioni di diritto costituzionale: teoria generale (Bari 1944) e il Profilo giuridico dell'ordinamento costituzionale italiano dalla proclamazione dello statuto ad oggi (ibid. 1944), il L. fu coinvolto nel gruppo di lavoro per la Costituente - per cui produsse, per esempio, lo studio su Il sistema elettorale finlandese (Firenze 1946) - e operò in modo estremamente incisivo durante gli anni del congelamento costituzionale tra il 1948 e il 1956. In questo specifico periodo, sulla base della consapevolezza del ruolo politico della nuova costituzione e del ruolo dei giuristi nell'interpretazione (cfr. le testimonianze di Giannini e di G. Guarino in Il pensiero giuridico di C. L., pp. 506 e 508 ss.), egli portò avanti una nitida azione in difesa dell'applicazione della Carta del 1948.
Pur non dimenticando la parte relativa alla dimensione tecnica (cfr. il lungo e importante saggio Basi per uno studio delle figure giuridiche soggettive contenute nella Costituzione italiana, in Studi economico giuridici, Padova 1953), due sono i contributi che devono necessariamente essere ricordati. Il primo è quello relativo al sistema elettorale; il secondo sulla natura degli ordinamenti democratici. Nel corso della battaglia contro la cosiddetta "legge truffa" il L. sostenne con forza la tesi che i sistemi elettorali all'interno dell'ordinamento dovevano conformarsi al principio costituzionale della proiettività e questo in ragione di quanto disposto all'art. 48 per cui "il voto è […] uguale", all'art. 49 per cui "tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale" e all'art. 72 per quanto attiene alla composizione proporzionale delle commissioni parlamentari (Il sistema elettorale nella Costituzione italiana, in Riv. trimestrale di diritto pubblico, II [1952], pp. 855 ss.). L'argomentazione del L. si basava, in sostanza, su un'estensione del concetto di eguaglianza formale a quella sostanziale per cui ogni voto non solo deve essere identico in partenza, ma anche in fase terminale.
Strettamente legato all'interpretazione parlamentocentrica di tipo giacobino si pone l'altro contributo sulla natura degli ordinamenti democratici (Considerazioni sui caratteri degli ordinamenti democratici, ibid., VI [1956], pp. 392 ss.), che, coerentemente con la visione precedentemente enunciata, provvedeva a esplicitare la teoria del principio maggioritario-minoritario all'interno dell'ordinamento.
Nel momento in cui si riapriva la dinamica applicativa del testo costituzionale il L. teorizzava, in modo coerente, la politica istituzionale di integrazione tra le forze politiche, in un ordinamento caratterizzato dai partiti, alcuni dei quali considerati antisistema. Si può dire in sostanza che allora il L. credeva in una strategia politico-istituzionale dell'integrazione delle forze politiche in un sistema di pluralismo centrifugo con forze non legittimate, che avrebbe avuto il suo massimo sviluppo negli anni Settanta con la rete delle assemblee elettive di P. Ingrao.
Nel quarto periodo della sua vita scientifica il L. sviluppò, con gli altri esponenti della dottrina formatasi negli anni Trenta, il tentativo di costruire il nuovo Stato di diritto costituzionale sulla base del ruolo che i giuristi avrebbero potuto esprimere attraverso una costituzione rigida e il controllo operato dalla Corte costituzionale. Sono di questa fase i suoi studi fondamentali sul sistema delle norme interposte e quelli di diritto costituzionale comparato (Le costituzioni rigide, Roma 1964; Premesse al Corso di diritto costituzionale comparato, ibid. 1965; Strutture democratiche contemporanee, ibid. 1971).
Nell'ultima fase della sua attività scientifica il L. ebbe modo di riflettere sulla vicenda istituzionale italiana, entrata dal 1968 nell'ambito della grande transizione che l'avrebbe caratterizzata sino alla crisi di regime degli anni Novanta. Come altri costituzionalisti che avevano partecipato al dibattito sull'applicazione della costituzione, egli si rese conto dello "stallo" istituzionale in cui era caduto l'ordinamento politico-costituzionale e della necessità di modificare la strategia istituzionale dell'integrazione fino ad allora perseguita. In questa posizione il L. fu sicuramente più prudente di Mortati, Crisafulli e A. Sandulli che avevano, in maniera differente, richiesto modificazioni incisive del sistema elettorale e/o della forma di governo.
Il L., durante il difficile periodo degli anni Settanta, non soltanto evidenziò la compatibilità del socialismo con la costituzione repubblicana (Costituzione e socialismo, Bologna 1977), ma mantenne, in maniera coerente, le sue precedenti posizioni sul principio maggioritario-minoritario. Nella temperie di un periodo in cui il principio maggioritario veniva rifiutato nella sua funzione di separazione tra maggioranza e opposizione, la convergenza in sede assembleare veniva da lui vista non come elemento di tipo trasformistico, ma come attuazione del principio di partecipazione sostanziale, fondato sull'art. 3, comma II della costituzione. Nella sua costruzione (Maggioranza al governo e maggioranze parlamentari, in Scritti in onore di C. Mortati, Milano 1977, pp. 241 ss.) il L. finiva per evidenziare la profonda dicotomia tra ricostruzione giuridico-formale e realtà politica, rilevando - nel particolare Stato dei partiti esistente in Italia - la presenza di una specie di "tricameralismo", in cui, accanto alle Camere, si inserivano i "vertici di maggioranza" (ibid., pp. 253 s.). La conseguenza di una simile posizione si sostanziava in un rifiuto per le ipotesi di "macroriforme istituzionali" (Brevi annotazioni in tema di ingovernabilità, in Studi in onore di E. Tosato, III, Milano 1984, pp. 223 ss.) e una propensione per i ritocchi infrasistemici a livello sia elettorale sia dei regolamenti parlamentari (Una proposta innovativa, in Democrazia e diritto, XXIII [1982], 2, pp. 104 ss.).
Particolarmente significativa la capacità del L. di "fare scuola", sia mantenendo un rapporto sempre aperto e schietto con gli studenti in anni di travaglio e trasformazione dell'università italiana (Per una filologia giuridica della contestazione, in Scritti in onore di V. Bachelet, II, Milano 1987, pp. 229 ss.) sia formando una ricca schiera di allievi, tra cui spicca la figura di Giuliano Amato.
Opere: oltre a quelle citate nel testo, vedi ancora Problemi giuridici delle istituzioni, Milano 1984 e Ricerche sul sistema normativo, ibid. 1984.
Fonti e Bibl.: Per una bibliografia completa delle opere del L. cfr. G. Lavagna, Breve profilo bio-bibliografico di C. L., in Il pensiero giuridico di C. L., a cura di F. Lanchester, Milano 1996, pp. 523-528 (con contributi, fra gli altri, di G. Amato, M. Galizia, V. Onida, E. Cheli, A. Pizzorusso, F. Modugno, A. Chiappetti, A. Barbera, P.A. Capotosti, L. Elia, M.S. Giannini, G. Guarino, T. Martines, F. Monaco). Per la vicenda della giuspubblicistica italiana si veda F. Lanchester, Pensare lo Stato. I giuspubblicisti nell'Italia unitaria, Bari 2004.