LORENZINI, Carlo (Collodi)
Nacque il 24 nov. 1826 a Firenze, primogenito di Domenico, originario di Cortona, cuoco del marchese Carlo Leopoldo Ginori Lisci, e di Angiolina (Maria Angela Carolina) Orzali, figlia del fattore dei marchesi Garzoni Venturi e nata a Veneri (frazione di Collodi). Degli altri nove figli di casa Lorenzini sopravvissero il terzogenito Paolo, Maria Adelaide, Giuseppina, e l'ultimo dei fratelli del L., Ippolito.
È probabile che il L. abbia frequentato le scuole elementari a Collodi, dove risulta ospitato fino al 1836 dagli zii materni Giuseppe e Teresa (forse per le disagiate condizioni della famiglia a Firenze); l'anno successivo, con il sostegno economico del marchese Ginori, entrò nel seminario di Colle di Val d'Elsa. Nell'agosto 1842 decise di interrompere gli studi in seminario, iscrivendosi nel maggio dell'anno successivo al corso di retorica e filosofia delle Scuole pie di S. Giovannino a Firenze. Terminato il corso nell'autunno del 1844, trovò subito un impiego nella libreria Piatti di Firenze, nella quale aveva già svolto lavori saltuari per potersi mantenere agli studi.
La libreria, anche casa editrice, era fra le più importanti di Firenze e frequentata da molti letterati e patrioti liberali, tra i quali G.B. Niccolini, principale autore delle edizioni Piatti, considerato dal giovane L. uno dei grandi scrittori italiani. Il L. aveva incarico di redigere notizie, recensioni e bollettini bibliografici per il catalogo delle novità della libreria e strinse profonda amicizia con G. Aiazzi, amministratore dell'impresa ed erudito bibliotecario della Rinucciniana, al quale restò legato tutta la vita. Aiazzi avviò il L., che già nel 1845 ottenne l'autorizzazione alla lettura dei libri proibiti, alle ricerche di biblioteca e d'archivio e ne accompagnò le prime prove come cronista teatrale nella Rivista di Firenze e come critico musicale nell'Arpa musicale, periodico milanese animato da C. Tenca, dove il 29 dic. 1847 apparve il primo articolo firmato del L., L'arpa.
Nel marzo 1848 il L., insieme con il fratello Paolo e con Giulio Piatti, proprietario della libreria, si arruolò nel II battaglione fiorentino e combatté a Montanara: di questa prima esperienza militare rimangono, nelle Carte collodiane, tre lettere ad Aiazzi, già notevoli per lucidità d'osservazione e descrizione.
In estate il L. tornò a Firenze e dovette trovarsi un altro impiego anche per poter aiutare la famiglia colpita dalla malattia del padre, che morì alla fine di settembre a Cortona. Per interessamento di Aiazzi fu nominato "messaggiere" (segretario, commesso) del Senato toscano e arrotondò il modesto stipendio con un'intensa attività di collaborazione a diverse testate, in particolare, al periodico democratico Il Lampione (1848-49) di cui fu tra i fondatori. Qui pubblicò numerosi articoli, per lo più non firmati, tra i quali spiccano alcuni pezzi anticomunisti e antifemministi e, soprattutto, la serie di ritratti intitolata "fisiologie" in cui già con matura incisività satirica tratteggiava caratteri e tipi contemporanei, come quelli contrapposti del "codino" e del "crociato" (cioè il falso volontario): in essi più che "mazziniano sfegatato" (come lo definì Martini, p. 168), manifestava tendenze repubblicane e democratiche derivate da Mazzini solo "in termini generali" e in "modo indiretto" (G. Candeloro, C. Collodi nel giornalismo del Risorgimento, in Studi collodiani, p. 68).
Nella primavera del 1849, con il ritorno dei Lorena nel Granducato, il L. dapprima rinunciò all'impiego (o ne fu allontanato), poi, in giugno, fu reintegrato, ma la sua condizione lavorativa dovette restare precaria, tanto che l'autunno dell'anno successivo si dedicò alla traduzione dal francese del romanzo La figlia dell'archibugiere di M. Masson che apparve a puntate nel periodico milanese l'Italia musicale, per il quale nel 1850 compì un lungo giro tra Emilia e Lombardia come critico corrispondente; con quella rivista continuò a collaborare per tutto il 1851 (nell'agosto era di nuovo a Milano per i suoi impegni giornalistici) e il 1852, quando perdette definitivamente il suo impiego.
Con il 1853 l'impegno del L. come giornalista e pubblicista si intensificò ulteriormente ed egli divenne una delle firme di punta del periodico artistico-letterario e teatrale L'Arte (cui collaborava anche I. Nievo). Nel periodico fiorentino venne pubblicando articoli di critica musicale, teatrale e letteraria (tra cui, nel 1854, una feroce stroncatura del poema Rodolfo di G. Prati che anticipava di netto le prese di posizione negative di F. De Sanctis e G. Carducci sul poeta trentino) e prose umoristiche: tra l'altro, condusse una battaglia contro la pittura accademica convergendo sulle posizioni dei macchiaioli, i cui più importanti esponenti (T. Signorini, A. Tricca, S. Ussi) incontrava e frequentava al caffè Michelangiolo. Il tutto "con uno stile rapido e di presa immediata, che si segnala per il valore e la modernità del linguaggio" (Marcheschi, in C. Collodi, Opere, p. LXXX). Contemporaneamente, fondò e diresse il periodico teatrale Lo Scaramuccia, per il quale aveva reclutato collaboratori di livello, tra cui P. Fanfani e il giovane P. Ferrigni (Coccoluto Ferrigni), poi famoso con lo pseudonimo di Yorick.
Ormai dedito a tempo pieno alla sua attività di pubblicista e scrittore, estese il raggio delle sue collaborazioni giornalistiche a periodici quali Lo Spettatore (cui collaboravano, tra gli altri, G. Giusti, N. Tommaseo e R. Bonghi) e al giornale umoristico La Lente, in cui per la prima volta usò lo pseudonimo di Collodi (nell'articolo Coda al programma della Lente, 1856).
Il L. coltivava anche ambizioni di scrittore teatrale e nel 1853 compose il dramma in due atti Gli amici di casa ispirato a un episodio reale e in cui si ritrovano evidenti influssi del romanzo Beppe Arpia di P. Emiliani Giudici: tentò invano (1854-55) di farlo rappresentare, ma il testo fu bloccato dalla censura, cosicché più tardi poté pubblicarlo (Firenze 1856), ma non riuscì a farlo mettere in scena. Sempre nel 1856 scrisse e pubblicò (ibid.) Un romanzo in vapore. Da Firenze a Livorno. Guida storico-umoristica, nato come opuscolo-guida per viaggiatori in occasione dell'inaugurazione della ferrovia Leopolda, che collegava appunto Firenze a Livorno. In esso il L. contaminava e stravolgeva, tentando un'inedita forma di giornalismo umoristico ispirato al modello di L. Sterne (cfr. Marcheschi, in C. Collodi, Opere, pp. XV-XIX), il genere "popolare" del romanzo e quello "borghese" della guida di viaggio. Così la narrazione romanzesca, che procede in modo parodisticamente caotico e con l'intreccio ingarbugliato della narrativa d'appendice, è inframmezzata da divagazioni con informazioni utili o curiose per il viaggiatore sulle diverse località toccate dalla ferrovia.
Confortato dal buon esito di critica e pubblico del Romanzo in vapore, il L. si dedicò alla stesura di un'altra opera romanzesca di carattere parodistico, I misteri di Firenze. Scene sociali, che uscì a dispense dall'ottobre 1857, preannunciata dalla stampa sin da maggio ed elogiata per lo stile vivace e spontaneo. Il romanzo, che restò (forse intenzionalmente) interrotto al primo volume, intendeva essere sin dal titolo parodia della narrativa d'appendice alla E. Sue (I misteri di Parigi), ma si risolve, senza il consolante lieto fine del romanzo popolare, in un'amara critica della società fiorentina, moralmente e politicamente decaduta, condotta con uno stile fortemente espressivo e satirico, con esiti non di rado farseschi e surreali.
Durante la stesura di queste opere, il L. proseguì incessantemente la sua intensa attività di pubblicista e di operatore teatrale. Nel marzo 1856 assunse l'incarico di segretario della compagnia teatrale Romandiolo-Picena fondata da G. Servadio, facendo la spola nei mesi successivi tra Ancona, Bologna e Firenze e intrecciando una breve e tormentata relazione amorosa con il mezzosoprano Giulia De Filippi Sanchioli. Conclusa nell'ottobre del 1857 la sua attività di segretario della Romandiolo-Picena, tornò per breve tempo a Firenze, da dove ripartì improvvisamente (forse in seguito a un'altra infelice relazione amorosa) la primavera successiva, spostandosi tra Milano e Torino come critico del periodico L'Italia musicale.
Nella capitale sabauda nell'aprile del 1859 si arruolò nell'esercito piemontese e partecipò come soldato semplice alla guerra. Dopo l'umiliante armistizio di Villafranca, alla fine di agosto fu posto in congedo e ritornò a Firenze. Qui, amareggiato e depresso, iniziò a collaborare come "cronista settimanale" al giornale La Nazione, diretto dall'amico A. D'Ancona, espressione del gruppo moderato che faceva capo a B. Ricasoli. E proprio dalla cerchia di Ricasoli, tramite C. Bianchi, gli venne chiesto di scrivere una replica all'opuscolo La politica napoleonica e quella del governo toscano del conservatore federalista e neoguelfo E. Albèri, uscito (con la falsa indicazione di Parigi, in realtà a Firenze) ai primi di dicembre del 1859. In esso, con un violento attacco contro i toscani filopiemontesi, i plebisciti e il partito unitario, si propugnava l'istituzione di un Regno dell'Italia centrale, da assegnare, secondo il desiderio di Napoleone III, a Gerolamo Bonaparte. Il L. rispose con l'ironico e brioso Il sig. Albèri ha ragione!( Dialogo apologetico (scritto a Collodi e pubblicato a Firenze alla fine di dicembre), in cui, fingendo di schierarsi dalla parte del professore bonapartista, ne ridicolizzava la proposta politica, sottolineando come sull'ipotesi dell'annessione convergesse la volontà prevalente dei Toscani.
Nel febbraio del 1860, per interessamento del marchese Ginori e di Ricasoli, ricevette la nomina per il modesto ruolo di commesso aggregato della commissione di censura teatrale; in marzo condusse dalle colonne de La Nazione un'accesa campagna in sostegno dei plebisciti annessionistici. Nei mesi successivi si imbarcò nell'impresa della riesumazione (dal 15 maggio 1860) del quotidiano umoristico Il Lampione, di cui era insieme fondatore, compilatore e direttore (fino al marzo 1861, mentre il fratello Paolo ne era l'amministratore) e che, presentandosi come prosecuzione del giornale interrotto nel 1849, intendeva incarnare ed esprimere l'evoluzione (non solo del L.) dal repubblicanesimo quarantottesco al successivo e più maturo lealismo annessionistico.
A questa amara e disillusa evoluzione politica corrispondeva del resto l'insoddisfazione personale per la sua posizione lavorativa, ormai stabile ma modesta e non amata. Ai doveri del suo ufficio il L. si dedicò sempre senza entusiasmo, anche quando, nel 1864, ebbe la nomina a segretario di seconda classe nell'amministrazione provinciale di Firenze e poi, nel 1874, quella a segretario di prima classe: appena poté, nel giugno 1881, chiese e ottenne di essere collocato a riposo.
Le non onerose incombenze del suo impiego, pertanto, non gli impedirono di occuparsi con crescente intensità delle sue molteplici attività di pubblicista, scrittore teatrale e, infine, di cultore di cose di lingua. Così, nel novembre 1860, recandosi a Milano per contattare Tenca e il gruppo del periodico Il Crepuscolo, fu cooptato come segretario aggiunto nella Commissione promotrice del Panteon italiano, cui era collegato il progetto di un'edizione nazionale delle opere di Dante.
Nel 1861 pubblicò l'opuscolo La Manifattura delle porcellane di Doccia, steso (probabilmente per iniziativa del fratello Paolo, direttore della fabbrica Ginori) come guida storica e illustrativa dell'industria dei marchesi Ginori in occasione dell'Esposizione italiana che si tenne quell'anno a Firenze. L'opuscolo del L., che ripercorreva abbastanza fedelmente la linea espositiva di un analogo volumetto compilato ancora da Albèri circa vent'anni prima, era anche un "elogio della politica illuminata dei marchesi Carlo ("l'Owen della Toscana") e Lorenzo, per migliorare le condizioni di vita dei propri operai" (Marcheschi, in C. Collodi, Opere, p. XCIII).
Sempre nel 1861, ne Il Lampione, apparve la commedia Gli estremi si toccano, in seguito ampliata (probabilmente nel 1867) con il titolo La coscienza e l'impiego, amara satira politica contro l'eterno trasformismo, e in novembre poté finalmente far rappresentare il dramma Gli amici di casa, rielaborato sul modello delle opere di V. Sardou in forma di commedia in tre atti: l'accoglienza della critica fu tiepida, ma unanime consenso ricevette la vivacità linguistica del testo.
Al teatro il L. continuò a dedicarsi per tutto il decennio successivo sia per dovere d'ufficio (dal 1862 faceva parte della Società d'incoraggiamento teatrale e il 23 sett. 1867 nella Gazzetta d'Italia apparve un suo importante articolo tecnico sulla Censura teatrale in Italia) sia come critico e in qualità di autore. Nel 1870 pubblicò a Firenze la commedia in tre atti L'onore del marito, rappresentata per la prima volta al teatro Niccolini nel 1872, rivolta non tanto alla condanna dell'adulterio quanto a sottolineare la vitalità della borghesia attiva rispetto all'infiacchita e oziosa aristocrazia italiana. In quel periodo attese anche alla stesura della commedia in quattro atti Antonietta Buontalenti, che non risulta essere stata rappresentata; al 1872 risale inoltre la composizione della commedia in due atti I ragazzi grandi, rappresentata con scarso successo a Firenze nell'agosto dell'anno successivo. Subito trascritta in forma di racconto lungo (o romanzo breve), fu pubblicata a puntate nel Fanfulla nella primavera del 1873 con il significativo sottotitolo Bozzetti e studi dal vero. Con esso per un verso si indicava il registro di spietata lucidità con cui erano ritratti i protagonisti, viziati dall'ozio, dall'agiatezza e dall'opportunismo politico; per l'altro si chiariva come il "vero" che si prefiggeva il L., più che quello del naturalismo letterario, era quello nitido, rapidamente tratteggiato e nettamente chiaroscurato en plein air della contemporanea pittura toscana.
Del resto, anche nell'intensa attività giornalistica esercitata dal L. nel quindicennio che va dall'Unità al 1876 (in particolare in La Nazione, La Gazzetta del popolo e, dal 1871, nel Fanfulla), la sua attenzione di notista politico e di osservatore e commentatore di costume andò concentrandosi, con toni progressivamente amari e disillusi, sull'esame dei problemi, dei conflitti e degli scandali dell'Italia appena unificata, con attacchi sempre più ironici e velenosi contro personaggi e provvedimenti politici (come M. Coppino e la sua legge sull'istruzione elementare, Q. Sella e la tassa sul macinato, il corso forzoso e la politica fiscale dei governi della Destra) e soprattutto contro tipi, costumi e mentalità dominanti, fino all'acme paradossale e sferzante della Delenda Toscana, sarcastica lettera aperta a M. Minghetti, pubblicata il 30 genn. 1876 nel Fanfulla. Qui, in risposta alla ventata antitoscana successiva alla polemica sul privilegiato esercizio delle ferrovie, era esposta la paradossale e sferzante proposta di sopprimere la Toscana stessa, cancellandola dalla carta geografica del Regno d'Italia.
A questa oltranza polemica, pagata peraltro cara dall'impiegato L., diffidato, in quanto dipendente del ministero degli Interni, da G. Nicotera e da F. Crispi dal pubblicare articoli politici, seguì un deciso cambiamento di attività e di orizzonti.
In primo luogo, al giornalismo etico-politico militante subentrò una fase in cui il L. si dedicò al riordino e alla pubblicazione in volume del meglio della propria produzione pubblicistica (racconti e cronache) nelle raccolte, dai titoli programmaticamente eloquenti, Macchiette (Milano 1880) e Occhi e nasi. Ricordi dal vero (Firenze 1881). In esse riunì, senza alcuna revisione, semplicemente legate con il "filo di refe", come avvertiva non senza autoironica civetteria nella prefazione di Macchiette, le prove più tipiche della prosa giornalistica, caratterizzate da "sapienti scorciature e tagli narrativi" (Asor Rosa, p. 554) a formare un antinaturalistico ritratto "alla macchia" dell'Italia contemporanea, schizzato, cioè, "dal vero" non a "figurine intere" ma con i tratti essenziali dei "profili", gli occhi e i nasi (prefazione a Occhi e nasi).
Inoltre, si fece più consapevole la sua attenzione, sempre così acuta, ai fatti di lingua, e tale senso nativo della lingua venne precisandosi in una più chiara adesione al fiorentino vivo di tono medio. Proprio per questo nel 1868 fu nominato dal ministro E. Broglio membro straordinario della giunta per la compilazione del vocabolario dell'uso fiorentino, impresa alla quale, peraltro, dette scarso contributo.
Il L. si indirizzò, dapprima casualmente e occasionalmente, poi con impegno, assiduità e adesione personale sempre più convinti, verso la letteratura per l'infanzia. Questa gli offriva un terreno di illimitata libertà fantastica in cui superare la grigia realtà del presente e insieme la possibilità di una sua piena partecipazione al clima "fortemente pedagogizzante" del "mondo morale e intellettuale del tempo", dominato da un "bisogno incoercibile di guardare al di sotto della superficie" delle cose (Asor Rosa, p. 555), dal quale prendevano le mosse i due diversi ma in fondo convergenti filoni della letteratura verista e della letteratura moralistica e normativa alla De Amicis. L'occasione per quella svolta fu offerta nel 1875 al L. dalla dinamica casa editrice fiorentina dei fratelli Paggi, all'avanguardia nel fiorente mercato dell'editoria scolastica, che gli propose di tradurre i Contes e le Histoires di Ch. Perrault, nonché le favole della Contessa di Aulnoy e di Jeanne-Marie Le Prince de Beaumont. La versione, condotta dal L. con leggere variazioni rispetto agli originali e con stile piano ed elegantissimo, uscì l'anno seguente con il titolo Racconti delle fate e le illustrazioni di E. Mazzanti.
Da allora, pur riprendendo la collaborazione al Fanfulla (1878) e continuando la sua attività di critico teatrale, il L. si mosse quasi esclusivamente nel campo della letteratura scolastica e per ragazzi. Così, sempre presso Paggi pubblicò con discreto esito i due libri di lettura Giannettino (1877), che sin nel titolo riprendeva il fortunato romanzo pedagogico Giannetto di L.A. Parravicini (1837), e Minuzzolo (1878): entrambi erano storie di bambini discoli o svogliati, ricondotti alla scuola e alla normalità dalle famiglie e da esperienze che li inducevano a riflettere (lo schema è già quello di Pinocchio, ma le peripezie dei due protagonisti si svolgono sullo sfondo della Firenze contemporanea).
Ormai accreditato tra i più ricercati autori di libri scolastici e per l'infanzia, il L. (che per le sue opere pedagogiche ottenne nel 1878 la nomina a cavaliere della Corona d'Italia e nel 1880 ricevette da A. Conti, assessore alla cultura del Comune di Firenze, l'incarico di compilare i libri di testo per le scuole fiorentine) si dedicò con insolita metodicità alla compilazione di una lunga serie di opere che configuravano una sezione autonoma, personale e sistematica, all'interno della "Biblioteca scolastica" della casa editrice Paggi. Nacque così, tra l'altro, una serie di volumi imperniati sulla figura di Giannettino: il Viaggio per l'Italia di Giannettino: Italia superiore (1880), seguito nel 1883 dal secondo volume dedicato all'Italia centrale e nel 1886 dal terzo, sull'Italia meridionale; La grammatica di Giannettino (1883); L'abbaco di Giannettino (1884); La geografia di Giannettino (1885); fino a La lanterna magica di Giannettino (1890). Con la loro formula innovativa questi testi costituirono una novità ben accolta dal mondo scolastico, ma non sempre apprezzata dai vertici più austeri e arcigni del ministero della Pubblica Istruzione (cfr. Raicich, p. 74 n.): le diverse discipline, infatti, erano esposte in forma decisamente scherzosa e discorsiva, spesso apertamente dialogica nell'intento di alleggerire la finalità didascalica del testo e rendere l'apprendimento il più possibile piacevole e "naturale".
Al centro di tale intensa attività vanno inquadrate la nascita e la complessa vicenda redazionale ed editoriale de Le avventure di Pinocchio. Il libro nacque per le insistenze di G. Biagi, vecchio amico del L., che lo voleva tra i collaboratori del periodico Il Giornale per i bambini di cui era animatore e che era stato fondato nel 1881 da F. Martini con l'ambizione di rinnovare la letteratura infantile italiana. Il L., ormai stanco e disilluso, rispose controvoglia inviando all'amico i primi tre capitoli di un testo intitolato La storia di un burattino (dallo stesso L. definito, con la consueta autoironia, "una bambinata"), pubblicati nei numeri di luglio del Giornale. I capitoli successivi apparvero nei numeri dal 4 agosto al 27 ottobre: la vicenda si concludeva al capitolo XV con l'impiccagione e la presunta morte del burattino. Forse per le insistenze di Biagi e certo per il successo riscosso dalla storia, il L., dopo molti dinieghi, si decise a proseguire la narrazione, il cui seguito, con il titolo ormai definitivo di Le avventure di Pinocchio. Storia di un burattino, iniziò a essere pubblicato (dal cap. XVI) dal febbraio 1882. La pubblicazione proseguì a ritmo irregolare durante tutto il 1882 per concludersi (con il XXXVI e ultimo capitolo) nel gennaio 1883. Velocissima fu invece la pubblicazione in volume, che uscì nel febbraio successivo presso Paggi, con le illustrazioni, di nuovo, di Mazzanti; sempre presso Paggi apparvero, e andarono presto esaurite, una seconda edizione nel 1886 (lo stesso anno in cui E. De Amicis pubblicava Cuore), una terza (1887) di cui non restano esemplari, e una quarta (1888). L'ultima edizione uscita vivente l'autore fu quella pubblicata nel 1890 presso R. Bemporad & figlio concessionari della Libreria Paggi. Non è sicuro che il L. abbia rivisto personalmente tutte queste edizioni, che pure furono stampate con il suo consenso; è certo, però, che nel corso delle varie ristampe il testo fu alterato da refusi e banalizzazioni.
Se ci si limita alle sole circostanze esterne della composizione e della pubblicazione di Pinocchio, dunque, può risultare fondata la qualifica di "capolavoro scritto per caso" risalente a P. Pancrazi. In essa, oltretutto, è cristallizzata in un'efficace formula critica la constatazione che la straordinaria qualità espressiva della "bambinata" ha finito per mettere in ombra il resto dell'intensa carriera letteraria e giornalistica del L., il quale, se non avesse scritto il suo capolavoro, sarebbe comunque restato, al di là delle sue ambizioni teatrali, uno dei protagonisti della narrativa umoristica e soprattutto del giornalismo della seconda metà dell'Ottocento.
In realtà, nell'archetipica polisemia della fiaba e con l'enigmatica perspicuità del capolavoro, in Pinocchio convergevano, in una struttura insieme profondamente coesa, traballante e sfuggente, tutte le componenti e le esperienze della vita e della carriera letteraria del L.: dalla sua lunga militanza come scrittore satirico e bozzettista (trasfusa nelle numerose figure e figurine che animano l'universo del burattino), alla sua intensa attività di autore di testi scolastici (da cui deriva il registro scherzoso e colloquiale con cui è condotta la narrazione), alla sua ricerca di una lingua non letteraria e mediana, che trova piena realizzazione nel toscano "vivo" in cui la celebre fiaba è narrata.
Di tutto ciò non si accorsero né i contemporanei, che decretarono a Le avventure di Pinocchio un successo crescente ma circoscritto all'esiguo spazio della letteratura infantile, mentre la fortuna editoriale della "bambinata" veniva crescendo fino a farne il libro più letto e tradotto al mondo dopo la Bibbia, né gli antesignani della critica collodiana (da P. Hazard, a Pancrazi, a B. Croce, fino ad A. Savinio e A. Baldini), i quali, rivolti a indagare e rivendicare Pinocchio come capolavoro della letteratura mondiale, non si curarono di ricostruirne i nessi con la vita e la carriera del suo autore.
Negli anni della composizione e pubblicazione di Pinocchio, il L. proseguì la collaborazione al Fanfulla (fino al 1897) e assunse parte sempre più attiva nella gestione del Giornale per i bambini, di cui divenne direttore nel biennio 1883-85 e nel quale pubblicò racconti e novelle quali Chi non ha coraggio vada alla guerra. Proverbio in due parti, La festa di Natale e Pipì lo scimmiottino color di rosa, quest'ultima confluita con altri racconti e memorie, tra cui il brioso dialogo Dopo il teatro, nel volume Storie allegre pubblicato nel 1887, sempre presso Paggi.
L'anno prima era morta la madre, presso la quale il L. ancora viveva, e per lui fu un colpo da cui non riuscì a riprendersi. Gli anni successivi furono i più tristi e solitari della vita del L. che, già minato nel fisico, venne sempre più chiudendosi in se stesso e isolandosi nel suo lavoro.
Il L. morì a Firenze improvvisamente, la sera del 26 ott. 1890.
Dopo la sua morte, su incarico del fratello Paolo, il grammatico e lessicografo purista G. Rigutini ordinò e raccolse in due volumi (Note gaie e Divagazioni critico-umoristiche, editi entrambi a Firenze nel 1892) gran parte delle prose sparse del L., intervenendo con arbitrarie correzioni e aggiunte ai testi. Rigutini e il fratello Paolo, inoltre, passarono in rassegna la vasta raccolta delle sue carte, provvedendo a distruggere quasi tutte le lettere (private o d'argomento politico) che avrebbero potuto nuocere all'onorabilità del L. e di molti viventi, e soprattutto molti inediti, al fine di salvaguardare "il buon nome del Collodi scrittore" (cfr. Paolo Lorenzini [Collodi nipote], pp. 70, 74). Le non molte carte sopravvissute furono donate dall'ultimo dei fratelli, Ippolito, alla Biblioteca nazionale di Firenze.
Fonti e Bibl.: Firenze, Biblioteca nazionale, N.A., 754: Carte Lorenzini, cassette I, II, III; un altro nucleo di carte è custodito presso l'archivio del Gruppo editoriale Giunti Bemporad Marzocco di Firenze, erede della casa editrice Paggi (cfr. M.J. Minicucci, Tra l'inedito e l'edito delle carte manoscritte di C. L., in Studi collodiani. Atti del I Convegno internazionale,( 1974, Pescia 1976, pp. 381-403). Altri documenti sono presso l'Autografoteca Bastogi della Biblioteca Labronica F.D. Guerrazzi di Livorno e presso la Biblioteca nazionale di Roma. Infine, numerosi cimeli sono conservati presso la Biblioteca Marucelliana di Firenze (cfr. i cataloghi Collodi giornalista e scrittore, a cura di R. Maini - P. Scapecchi, Firenze 1981; Pinocchio e pinocchiate nelle edizioni fiorentine della Marucelliana, a cura di R. Maini - M. Zangheri, Firenze 2000).
Tra le testimonianze biografiche contemporanee, i necrologi di E. Checchi e Yorick (rispettivamente nel Fanfulla della domenica e nella Domenica fiorentina, 2 nov. 1890; i profili premessi dai curatori a due successive edizioni delle Note gaie del L. (a cura di G. Rigutini, Firenze 1892, pp. V-XVI; a cura di I. Cortona [Lorenzini], ibid. 1911, pp. III-XL); G. Biagi, Il babbo di "Pinocchio": C. Collodi, in La Lettura, marzo 1907, pp. 184-190; F. Martini, Confessioni e ricordi (Firenze granducale), I, Firenze 1922, pp. 168 s.; inoltre P. Lorenzini, Collodi e Pinocchio, Firenze 1954; R. Bertacchini, Il padre di Pinocchio. Vita e opere del Collodi, Milano 1993; B. Traversetti, Introduzione a Collodi, Roma-Bari 1993; Cronologia, in C. Collodi, Opere, a cura di D. Marcheschi, Milano 1995, pp. LXVII-CXXIV. Manca un'edizione completa delle opere del L.: il progettato Tutto Collodi, a cura di P. Pancrazi, è rimasto interrotto al primo volume (Firenze 1948); la più ampia raccolta attualmente disponibile è quella delle Opere, a cura di D. Marcheschi, che nella Bibliografia delle opere di C. Collodi dà conto delle numerose edizioni e ristampe dei testi giornalistici e delle opere minori (narrative e teatrali) del L.: va inoltre ricordata la ristampa anastatica della Grammatica di Giannettino, a cura di F. Geymonat, Firenze 2003.
De Le avventure di Pinocchio si segnalano solo le edizioni di particolare rilievo: le due edizioni critiche, la prima a cura di A. Camilli, Firenze 1946 (basata sull'edizione Paggi del 1883); la seconda, a cura di O. Castellani Pollidori, Pescia 1983 (fondata sull'edizione Bemporad 1890 - l'ultima rivista dall'autore -, ma corredata delle varianti delle precedenti stampe e dei manoscritti dell'autore); inoltre, le tre edizioni curate da F. Tempesti (tutte pubblicate a Milano) nel 1972, nel 1983 e nel 1993, corredate da un ampio commento e da ricchi apparati documentari; infine, quella compresa nella raccolta di Opere, a cura di D. Marcheschi, cit. (pp. 359-526), con ampio corredo di note (pp. 916-1003). Tra le più recenti, quella (Torino 2002) con introd. di S. Bartezzaghi e prefaz. di G. Jervis, e quella (Milano 2002) con introd. di P. Italia (pp. VII-XXII) e prefaz. di V. Cerami (pp. XXII-XXVII).
Per il resto si rinvia (anche per la letteratura critica) alla Bibliografia Collodiana (1883-1980) di L. Volpicelli (Pescia 1980), da integrare con la citata Bibliografia di D. Marcheschi (pp. 1119-1130, aggiornata al 1994), alla consultazione del catalogo della Biblioteca Collodiana e all'Archivio digitale degli articoli su C. Collodi e Pinocchio (on-line su internet), gestiti dalla Fondazione nazionale Carlo Collodi di Pescia.
La storia degli studi critici sul L. (in gran parte contributi su Pinocchio) è ricostruita in due ampie panoramiche: Da Collodi a L.: sulla fortuna critica di D. Marcheschi, in C. L. oltre l'ombra di Collodi, a cura di G.E. Viola - F. Rovigatti, Roma 1990, pp. 55-64; Pinocchio tra due secoli. Breve storia della critica collodiana di R. Bertacchini, in C. L.- Collodi nel centenario. Atti del Convegno, Roma-Pescia( 1990, Roma 1992, pp. 121-164. Pertanto, diamo per esteso solo i riferimenti agli incunaboli della critica collodiana richiamati nel testo: P. Hazard, La littérature enfantine en Italie, in Revue des deux mondes, 15 febbr. 1914, pp. 842-870; P. Pancrazi, Elogio di Pinocchio [1921], in Id., Venti uomini, un satiro e un burattino, Firenze 1923, pp. 201-205; B. Croce, Pinocchio, in Id., La letteratura della Nuova Italia, V, Bari 1939, pp. 361-365; P. Bargellini, La verità di Pinocchio, Brescia 1942; A. Savinio, Collodi, in Id., Narrate uomini la vostra storia, Milano 1944, pp. 177-195; V. Fazio Allmayer, Commento a Pinocchio, Firenze 1945; A. Baldini, La ragion politica di "Pinocchio" (1876), in Id., Fine Ottocento. Carducci, Pascoli, D'Annunzio e minori, Firenze 1947, pp. 118-124; P. Pancrazi, Capolavoro scritto per caso [1948], in Id., Scrittori d'oggi, 5, Segni del tempo, Bari 1950, pp. 165-171. Inoltre, va ricordato l'impulso dato allo studio della personalità e dell'opera del L. dalla Fondazione nazionale Carlo Collodi, a Pescia, soprattutto con una lunga serie di congressi scientifici: Studi collodiani. Atti del I Convegno internazionale,( 1974, Pescia 1976; Pinocchio oggi. Atti del Convegno pedagogico,( 1978, Pescia-Collodi 1980; "C'era una volta un pezzo di legno". Atti del Convegno "La simbologia di Pinocchio", Pescia( 1980, Milano 1981; Folkloristi italiani del tempo del Collodi(, Pescia( 1982, a cura di P. Clemente - M. Fresta, Montepulciano 1986; Pinocchio fra i burattini. Atti del Convegno internazionale, ( 1989, a cura di F. Tempesti, Firenze 1993; Pinocchio sullo schermo e sulla scena. Atti del Convegno internazionale,( 1990, a cura di G. Flores d'Arcais, Firenze 1994; Scrittura dell'uso al tempo del Collodi( 1990, a cura di F. Tempesti, Firenze 1994; Pinocchio nella pubblicità(, Pescia( 1995, a cura di P.F. Bernacchi, Firenze 1997; Sterne e Collodi. Atti della tavola rotonda,( 1995, Lucca 1999.
Per il centenario della morte del L. vanno ricordati il volume promosso dalla Banca Toscana, C. Collodi, lo spazio delle meraviglie, a cura di R. Fedi, con introduzione di L. Comencini e Suso Cecchi D'Amico, s.l. [ma Firenze] 1990 e le citate pubblicazioni dell'Istituto dell'Enciclopedia Italiana a Roma: il catalogo C. L. oltre l'ombra di Collodi; e gli atti del Convegno C. L.- Collodi nel centenario.
Tra gli studi dell'ultimo decennio: M. Raicich, Di grammatica in retorica. Lingua scuola editoria nella Terza Italia, Roma 1996, pp. 3-7, 71 s., 74, 231; G. Cives, Pinocchio tra realtà e sogno, in F. Cambi - G. Cives, Il bambino e la lettura. Testi scolastici e libri per l'infanzia, Pisa 1996, pp. 279-314; E. Giachery, Tre compari intorno a un burattino, in Id., La letteratura come amicizia, Roma 1996, pp. 137-146; M. Gómez del Manzano - G. Janier Manica, Pinocchio in Spagna, Scandicci 1996; A. Asor Rosa, Le avventure di Pinocchio, in Id., Genus Italicum. Saggi sull'identità letteraria italiana nel tempo, Torino 1997, pp. 551-617; P. Citati, Il ritratto di "Pinocchio", in Id., Ritratti di donne, Milano 1997, pp. 148-160; G. Cives, Da "Pinocchio" a "Cuore": due fortune molto diverse, in Scuola e città, XLVIII (1997), pp. 13-23; M. Farnetti, I notturni di Pinocchio, in Id., L'irruzione del vedere nel pensare. Saggi sul fantastico, Pasian di Prato 1997, pp. 71-86; G. Gasparini, La corsa di Pinocchio, Milano 1997; D. Lanza, Lo stolto. Di Socrate, Eulenspiegel, Pinocchio e altri trasgressori del senso comune, Torino 1997, pp. 170-175; F. Tempesti, Pinocchio, in I luoghi della memoria: strutture ed eventi dell'Italia unita, a cura di M. Isnenghi, Roma-Bari 1997, pp. 115-137; V. Spinazzola, Pinocchio & C., Milano 1997 (in partic. pp. 9-97); P.M. Toesca, La filosofia di Pinocchio, ovvero l'Odissea di un ragazzo per bene con memoria di burattino, in Forum Italicum, XXXI (1997), 2, pp. 459-486; L. Pizzoli, Sul contributo di "Pinocchio" alla fraseologia italiana, in Studi linguistici italiani, XXIV (1998), pp. 167-209; R. Randaccio, La "Legge shandyana del nome" nei personaggi di C. Collodi, in Riv. italiana di onomastica, IV (1998), pp. 59-69; R. Bertacchini, Collodi poeta di teatro, in Nuova Antologia, 1999, n. 2122, pp. 244-253; G. Biffi, Alcuni interrogativi su Collodi e Pinocchio, in Studi cattolici, XLIII (1999), pp. 522-526; R. Campa, La metafora dell'irrealtà: saggio su "Le avventure di Pinocchio", Lucca 1999; Sterne e Collodi, Lucca 1999 (testi di R. Bertacchini, D. Marcheschi, F. Tempesti); E. Guagnini, Il "Romanzo in vapore" e la tradizione delle guide e della letteratura di viaggio, in Id., Viaggi d'inchiostro. Note su viaggi e letteratura in Italia, Udine 2000, pp. 69-84; T. Iermano, Da Parravicini a De Amicis: considerazioni sulla letteratura per l'infanzia tra Risorgimento e Italia umbertina, in Studi piemontesi, 2000, n. 2, pp. 345-362; M. Carosi, Pinocchio. Un messaggio iniziatico, prefaz. di G. De Turris, Roma 2001; A. Gnocchi - M. Palmaro, Ipotesi su Pinocchio, Milano 2001; S. Moret, Pinocchio e le "pinocchiate" in Francia, in Levia gravia, III (2001), pp. 77-88; L. Tamburini, Il cuore di Collodi e quello di De Amicis, in Studi piemontesi, XXX (2001), 2, pp. 295-314; M. Villoresi, La letteratura poliziesca e del mistero ambientata a Firenze. Contributo per un itinerario di ricerca, in Archivi del nuovo, 2001, n. 8-9, pp. 65-83; M. Scollo Lavizzari, Della disubbidienza in Pinocchio, in Nuovi Argomenti, s. 5, ottobre-dicembre 2002, n. 20, pp. 322-339; F. Geymonat, Una grammatica di buon senso, in C. Collodi, La grammatica di Giannettino, a cura di F. Geymonat, Firenze 2003, pp. I-XVIII; C. Marello, La dubbia efficacia del paternalismo induttivo, ibid., pp. XIX-XXII; O. Castellani Pollidori, In riva al fiume della lingua. Studi di linguistica e filologia (1961-2002), Roma 2004, ad ind.; Il giro di Pinocchio in due giornate. Convegno internazionale di studi, Pisa( 2004 (in corso di stampa).