Bragaglia, Carlo Ludovico
Fotografo e regista cinematografico, nato a Frosinone l'8 luglio 1894 e morto a Roma il 4 gennaio 1998. Tra i più fecondi e longevi artigiani del cinema italiano, realizzò una sessantina di film nel corso di un'attività registica quasi trentennale, attraversando diverse stagioni e toccando i generi più disparati, tra cui il comico-sentimentale e la commedia (negli anni Trenta e Quaranta), l'avventuroso, il cappa e spada e il peplum (negli anni Cinquanta e Sessanta), con alcune fugaci incursioni anche nel film drammatico e in quello musicale. Sensibile ai gusti del pubblico, ligio alle esigenze produttive, non nascose mai una certa predisposizione al cinema commerciale, nonostante un insolito debutto, avanguardistico e un po' surrealista, con O la borsa o la vita (1933), film interpretato da Sergio e Rosetta Tofano.
Fratello di Anton Giulio e Arturo, svolse inizialmente l'attività di fotografo. Abile nella sperimentazione tecnica, e raffinato nella realizzazione artistica, divenne celebre nel primo decennio del 20° sec., insieme ad Arturo, per i ritratti fotografici delle grandi dive del cinema muto italiano (da Soava Gallone a Francesca Bertini, da Lyda Borelli a Pina Menichelli). Collaborò all'ambizioso progetto del 'fotodinamismo', che Anton Giulio, seguace del futurismo e amico di F.T. Marinetti, teorizzò nel 1911. Richiamato alle armi all'indomani dello scoppio della Prima guerra mondiale, venne congedato come grande mutilato e decorato al valore militare nel 1917. Riprese l'attività artistica accanto ad Anton Giulio, con il quale fondò, diresse e amministrò, a Roma, un centro espositivo, la Casa d'arte Bragaglia (1918), e un teatro d'avanguardia, il Teatro degli indipendenti (1921). Operò anche come regista teatrale, mettendo in scena testi, tra gli altri, di E. O'Neill, U. Barbaro, F.T. Marinetti. Chiusa l'esperienza del teatro, fu assunto nel 1930 come fotografo alla Cines di Stefano Pittaluga, dove, l'anno successivo, fu anche assistente alla regia di Mario Almirante e aiuto regista e sceneggiatore di Anton Giulio per Vele ammainate (1931). L'occasione della sua prima regia gli si presentò, finalmente, nel 1933, quando ormai la Cines era già in mano a Emilio Cecchi, con O la borsa o la vita. Film ambizioso e sperimentale, tratto da una commedia radiofonica di Alessandro De Stefani, interpretato da un Tofano quanto mai burattinesco e dinoccolato e diretto in uno stile che ricorda quello di René Clair, fece presagire alcune doti del regista, in realtà poco espresse negli anni che seguirono. Fatta eccezione per Animali pazzi (1939), dai toni ancora surreali, su soggetto di Achille Campanile e secondo film interpretato da Totò, o per La fossa degli angeli (1937), dalle tonalità anticipatamente realistiche, che egli derivò da un'idea di Cesare Vico Lodovici e ambientò alle cave di Carrara, per il resto l'attività registica di B. fu al servizio di una cinematografia di consumo, costellata di successi e disseminata di film di genere: commedie come Non son gelosa (1933), Un cattivo soggetto (1933), Quella vecchia canaglia (1934), Belle o brutte si sposan tutte… (1939), Pazza di gioia (1940), Una famiglia impossibile (1940), Alessandro, sei grande! (1940), La scuola dei timidi (1941), Violette nei capelli (1942), Se io fossi onesto (1942), La guardia del corpo (1942), Il fidanzato di mia moglie (1943), Tutta la vita in ventiquattr'ore (1943), Lo sbaglio di essere vivo (1945) e Le cameriere (1959); film di avventura, in costume o storico-mitologici come Il falco rosso (1949), A fil di spada ‒ Don Ruy (1952), Il segreto delle tre punte ‒ I cospiratori della Conca d'oro (1952), Il falco d'oro (1955), La spada e la croce ‒ Maria Maddalena (1958), Gli amori di Ercole (1960) e Ursus nella valle dei leoni (1961); film drammatici come Il prigioniero di Santa Cruz (1941), La forza bruta (1941) e L'altra (1947), e musicali come il metacinematografico Fuga a due voci (1943), La vita è bella (1943) e Albergo Luna, camera 34 (1946).
Diresse, tra i grandi attori comici, Totò, in Totò le Mokò (1949), Totò cerca moglie (1950), Figaro qua… Figaro là (1950), Le sei mogli di Barbablù (1950) e 47 morto che parla (1950); i fratelli De Filippo, in Casanova farebbe così! (1942), Non ti pago! (1942); Renato Rascel, in L'eroe sono io (1952); Ugo Tognazzi, in Una bruna indiavolata! (1951), e Nino Manfredi, in Caporale di giornata (1958). È rimasto celebre per la rapidità con cui realizzava i suoi film, che girò spesso in poche settimane, producendone talvolta anche sei in un anno. Diresse gli ultimi nel 1962 (I quattro monaci) e nel 1963 (I quattro moschettieri). Visse fino a centotré anni e negli ultimi tempi si dedicò a raccogliere le memorie di famiglia.
F. Savio, Cinecittà anni Trenta. Parlano 116 protagonisti del secondo cinema italiano (1930-1943), Roma 1979, pp. 168-74; M. Verdone, I fratelli Bragaglia, Roma 1991; L. Antonelli, E.G. Laura, Nato col cinema: Carlo Ludovico Bragaglia. Cent'anni tra arti e cinema, Roma 1992.