Carlo Magno e il nuovo assetto dell'Europa
Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
L’incoronazione imperiale di Carlo Magno, pur densa di suggestioni, non stravolge le linee di continuità che legano l’organizzazione del regno franco prima e dopo la notte di Natale dell’800, e che vanno rintracciate nell’innesto tra la concezione territoriale del potere (di derivazione romana), la valorizzazione germanica del vincolo personale e un’ideologia del potere che salda l’elemento politico e quello religioso: in questo ibrido e delicato equilibrio si pongono le basi della nuova realtà europea, ma anche molte radici della sua futura instabilità.
Dopo l’affermazione sulle aggregazioni politico-militari franche e la conversione al cristianesimo (fra VI e VII sec.), la dinastia dei Merovingi, pur scontando la tradizionale concezione patrimoniale del regno con ripetute spartizioni successorie e forti instabilità, mantiene un’intensa attività militare e politica, estendendo i propri domini su quasi tutta l’antica Gallia. Anche il rafforzamento dei poteri locali si configura soprattutto come costruzione di una rete di fedeli attorno ai sovrani.
Le premesse per il cambio di dinastia si pongono alla fine del VII secolo: alcune delle maggiori famiglie franche si imparentano, dando origine al lignaggio degli Arnolfingi, o Pipinidi o Carolingi (in relazione agli esponenti assunti come capostipiti), che riesce a rendere ereditaria l’importante carica di maior domus e a servirsene per esautorare i Merovingi mediante un’intensa costruzione di clientele militari.
Ne è artefice, in particolare, Carlo Martello, reso illustre anche dalle imprese contro gli Arabi di Spagna.
Il passaggio si compie nel 751, quando il figlio di Carlo, Pipino il Breve, fa eliminare l’ultimo re merovingio e ne assume il titolo, solennizzando l’usurpazione con un rito officiato dal papa Stefano II. Nel 754 e nel 756, il tributo all’appoggio papale viene pagato con due spedizioni contro i Longobardi, che minacciano i territori intorno al Lazio. Pipino, vittorioso, trasferisce al papa l’Esarcato e la Pentapoli.
Il figlio di Pipino, Carlo, poi detto Magno, pare inizialmente destinato a condividere il potere con il fratello Carlomanno: è il primogenito e riceve l’unzione insieme al padre, ma a questi succede insieme al fratello, e come il fratello è incluso dalla madre Berta in un progetto di pacificazione con i Longobardi, che sfocia nel matrimonio dei due carolingi con le figlie del re Desiderio.
La morte precoce di Carlomanno e il disconoscimento dei diritti dei nipoti, tuttavia, consentono a Carlo di restare da solo alla guida del regno; la ripresa dell’offensiva longobarda in Italia, inoltre, crea l’occasione per rilanciare l’espansione: ripudiata la moglie (nota come Ermengarda, ma nome e dati biografici sono incerti), fra 773 e 774 Carlo sconfigge Desiderio, ne cinge la corona e fa nuove concessioni al papato, in Toscana e nei ducati di Spoleto e di Benevento.
La composizione dell’aristocrazia e le strutture di governo longobarde, non stravolte nella prima fase della conquista, vengono invece modificate in modo incisivo (con la sistemazione in territorio italiano di una fitta rete di conti e vassalli di origine franca), a partire dal 776, a seguito dei tentativi di ribellione dei duchi longobardi (e particolarmente di Arechi II di Benevento).
La penisola italiana, tuttavia, è solo il fronte meridionale di un’espansione a ben più largo raggio. In direzione settentrionale, tra il 772 e l’804, Carlo conduce violentissime spedizioni contro i Sassoni, per imporre loro il dominio politico e la conversione al cristianesimo; tra 784 e 785 assoggetta la Frisia. A est, nel 788 incorpora la Baviera (già tributaria del regno), assieme alla Carinzia e all’Austria; in modo indiretto, la sua influenza si fa sentire anche sui territori della Boemia e della Moravia. Sul fronte occidentale, a partire dal 778, avvia la penetrazione in territorio iberico, con l’obiettivo di porre fine alle incursioni dei musulmani di Spagna. La resistenza dei Baschi sul passo di Roncisvalle (778) – che la più tarda Chanson de Roland mescola e confonde con quella dei Mori – impartisce una battuta d’arresto alla campagna, che tuttavia non viene interrotta e conduce, nell’813, alla formazione della Marca ispanica (Navarra e parte della Catalogna).
A questa intensa attività, Carlo accompagna, infine, ripetute iniziative per rendere effettivo il controllo su regioni interne quali la Provenza e la Borgogna.
Già alla fine dell’VIII secolo, la sovranità di Carlo si estende praticamente sull’intera Europa centro-occidentale, e la cultura del tempo – da lui promossa e sostenuta attraverso i protagonisti della “rinascita carolingia”, come Alcuino e Paolo Diacono –, ne enfatizza il ruolo, caricandolo di valenze religiose.
Carlo porta il titolo di patricius Romanorum, ereditato dal padre e connesso a una speciale funzione di protezione della Chiesa; i suoi figli ricevono già nel 781 l’unzione da Adriano I; gli intellettuali di cui si circonda sono chierici: in questo contesto maturano le basi per lo sviluppo di una nuova ideologia del potere, di cui l’elemento religioso è componente decisiva e di cui l’incoronazione, avvenuta in San Pietro durante la notte di Natale dell’800, rappresenta il culmine simbolico.
L’evento implica l’urto con Bisanzio, detentrice dell’unica titolarità imperiale legittima: forse per questo, Eginardo, nella Vita Karoli, la presenta come un’iniziativa di papa Leone III, cui il re franco reagisce perfino con disappunto. Ma Leone III è un personaggio debole, duramente contestato dall’aristocrazia romana e costretto nel 799 a lasciare la città, ove può rientrare solo grazie all’aiuto di Carlo. È improbabile che, in queste condizioni, abbia potuto prendere da solo un’iniziativa di tale rilievo, ed è ancor meno verosimile che Carlo non sia stato parte attiva nella preparazione della cerimonia.
Quanto alla frizione con Bisanzio, il sovrano è favorito da un’altra contingenza propizia. Dal 797, alla testa dell’impero c’è Irene, un’usurpatrice che ha detronizzato il figlio: un deterrente di ben scarso rilievo, dunque, per la formalizzazione di una condotta già imperiale nei fatti, che da tempo si manifesta nelle prerogative, nei cerimoniali e nella fondazione di una capitale – Aquisgrana – che guarda al modello di Costantinopoli. Malgrado la sprezzante ostilità con la quale in Oriente si reagisce all’incoronazione, dunque, alla fine il riconoscimento è inevitabile: lo attuerà Michele I, recuperando in cambio Venezia e la Dalmazia, di cui i Franchi si erano impadroniti.
Dopo l’incoronazione, Carlo Magno rallenta le imprese militari e si dedica a un’intensa attività legislativa per mezzo dei capitolari, che – distinti per materia e destinati talora a tutti i sudditi, talaltra solo ad alcune particolari persone – correggono, integrano o sostituiscono la legislazione vigente.
Mediante i capitolari, il sovrano tenta di dare coerenza ai suoi domini, senza però scardinare gli ordinamenti preesistenti. Ne risulta un’articolazione complessa, che comprende regni ampiamente autonomi, affidati ai figli di Carlo (in particolare con la Divisio Imperii, dell’806); comitati dotati di una certa compattezza territoriale e guidati da conti con funzioni militari e giudiziarie; marche disposte lungo i confini e dotate di cospicua autonomia militare; ducati, grandi distretti che talora hanno una forte base etnica, rappresentando quindi una forma di riconoscimento della specificità di popoli come i Sassoni, difficilmente assimilabili al mondo carolingio. I titolari delle più importanti cariche pubbliche sono o diventano anche vassalli del sovrano, che se ne assicura la fedeltà rafforzando con la concessione di feudi il già cospicuo cespite di guadagni e di onori connesso alle cariche.
Beni familiari, territori d’esercizio e feudi finiscono per sovrapporsi, entrando nella successione delle grandi famiglie: un esito non contrastato da Carlo Magno, il cui scopo è quello di stabilizzare il legame di fedeltà con le famiglie che gli assicurano la presa effettiva sul territorio. Una forma di controllo su conti, marchesi e duchi è comunque prevista: nei vari distretti il sovrano invia annualmente i missi dominici (anch’essi spesso ben radicati nel territorio d’esercizio); la loro presenza – assieme a quella di numerosi enti religiosi cui viene concesso il privilegio dell’immunità dall’autorità dei funzionari pubblici – argina la crescita incontrollata dei potenti locali.
L’organizzazione imperiale si completa con la presenza di una corte, stabile nella struttura, ma itinerante nella dislocazione, i cui componenti più prestigiosi sono l’arcicappellano (con compiti di sovrintendenza per le questioni religiose), il cancelliere (referente per l’attività legislativa), i conti palatini (incaricati dell’attività giudiziaria).
La maggior parte di questa struttura di governo, che integra l’eredità romana delle concezioni territoriali del potere e la tradizione germanica, centrata sui vincoli di tipo personale, è una realtà compiuta già prima dell’incoronazione imperiale di Carlo Magno.
L’elemento più significativo della nuova dignità risiede, invece, nelle responsabilità religiose che il sovrano si è assunto – peraltro in continuità con le scelte paterne –, le quali entrano in modo stabile tanto nell’ideologia e nei rituali del potere (ove, a differenza di quanto avveniva nel cerimoniale orientale, il crisma sacro precede quello popolare), quanto nel sistema di governo.
La complessa organizzazione carolingia non si comprende in modo adeguato, infatti, se non si tiene presente lo stretto rapporto fra potere laico e potere ecclesiastico: la distrettuazione territoriale è frequentemente ritagliata su quella diocesana, il personale pubblico carolingio è spesso reclutato nella gerarchia ecclesiastica, vescovi e abati contribuiscono al governo e alla difesa del regno.