MARENCO, Carlo
– Nacque il 1° maggio 1800 a Cassolnovo di Lomellina, presso Pavia, da Lazzaro, nobile proprietario terriero, e da Ippolita Bassi da Ceva, anche lei di antica e nobile famiglia.
Il padre – amministratore di varie opere pie – fu consigliere comunale nel 1820-21, e quindi sindaco di Ceva, presso Cuneo, nel 1823-24. Figlio unico, il M. trascorse la sua prima età tranquillamente, sotto il controllo discreto e affettuoso dei genitori. A Ceva, che il M. considerò la sua patria, compì i primi studi come esterno nel collegio cittadino, avendo per maestro P. Fechini, al quale lo stesso M. riconobbe il merito di avere favorito il proprio sviluppo intellettuale.
Per studiare legge si trasferì a Torino, dove frequentò i corsi di eloquenza italiana del gesuita padre F. Manera, che godeva di gran fama e raccoglieva attorno a sé i migliori ingegni giovanili. Fu in quel periodo che il M. divenne amico di A. Brofferio e manifestò chiare inclinazioni per le idee di rinnovamento che circolavano negli ambienti culturali più sensibili. Furono anni di meditazione e di preparazione, di appassionate letture dei classici e dei suoi primi tentativi di poesia, che egli leggeva agli amici. Ottenuta la laurea, il M. fu a lungo incerto sulla via da intraprendere, anche per giovanili delusioni d’amore, cui dette espressione poetica in versi andati perduti.
Tornato a Ceva, abbandonò ogni idea di avvocatura e decise di dedicarsi alla letteratura drammatica. La prima tragedia di cui si abbia notizia fu un Aiace, che il M. stesso dette alle fiamme. Scrisse quindi, affrontando un arduo tema biblico, un Levita d’Efraim – rimasto a lungo inedito e pubblicato postumo –, nonché un Corradino, poi rifiutato. Nel 1827 mandò finalmente alle stampe la sua prima tragedia, Buondelmonte e gli Amidei, che, rappresentata il 17 maggio 1828 al teatro Carignano di Torino, ottenne, sia pur fra polemiche e rilievi, un primo importante successo, anche di critica. Gettatosi in una frenetica attività creativa, dal 1827 al 1834 scrisse il Corso Donati, l’Ezzelino terzo, l’Ugolino, l’Arnaldo da Brescia e la Famiglia Foscari.
In tutto, dal 1828 al 1842, il M. compose sedici tragedie in versi, delle quali otto rappresentate, dodici stampate e quattro (Cecilia da Baone, Corradino, Arnaldo da Brescia, Il levita d’Efraim) rimaste allora inedite. Gli argomenti tratti dalla Bibbia, dalla storia medievale o dalla Commedia dantesca, l’adesione alle nuove idee teatrali di A. Manzoni, oltre al sentimento patriottico – manifestato chiaramente al di là dei languori e del patetismo di ispirazione romantica –, unitamente a innegabili qualità e abilità «nel congegnare e convogliare situazioni e dialoghi verso intensi effetti patetici e drammatici» (Mattalia), assicurarono al teatro del M. largo consenso di critica e di pubblico.
L’apice del successo doveva arridere al M. con la Pia de’ Tolomei, in cinque «giornate», rappresentata, sempre al Carignano, nel gennaio 1837 e giudicata unanimemente il suo capolavoro. Di ispirazione dantesca, con riferimento ai celebri versi di chiusura del V canto del Purgatorio, la Pia fece palpitare e lacrimare le dame torinesi che assistettero alla prima, e fu per più di cinquant’anni rappresentata con successo.
Accanto all’intensa attività drammaturgica, il M. scrisse versi per almanacchi e giornali, e collaborò con una certa sistematicità al Subalpino, sia con articoli di critica teatrale (per esempio sulla Marie Tudor di V. Hugo) o di critica letteraria, sia con un articolo di teoria letteraria, Delle bellezze recondite, che esprime con equilibrio e misura la poetica romantica del M., il quale nutrì sempre un concetto morale ed educativo della letteratura.
Il 31 genn. 1826 si era unito in matrimonio con la nobile Luisa Cantatore del Pasco Monregalese, con la quale ebbe quattordici figli (ma soltanto cinque gli sopravvissero).
Nominato vicesindaco di Ceva fin dal 1828, il M. si fece apprezzare tanto che il 4 sett. 1837 il Consiglio comunale lo elesse sindaco, carica che tenne fino al 1843, impegnandosi in una significativa opera di ammodernamento della città. Si dimostrò pienamente all’altezza della situazione, mettendo in luce grandi capacità organizzative e decisionali sia nell’epidemia di colera che colpì Ceva nel 1835 sia in altre dolorose circostanze (come il crollo di un muro, che nel 1839 ridusse in miseria alcune famiglie).
Non gli mancarono anche riconoscimenti accademici: il 10 giugno 1836 fu aggregato all’Accademia filodrammatica di Torino e il 25 maggio 1838 a quella di Siena. Il M. fu anche insignito da Carlo Alberto della croce dell’Ordine civile di Savoia, onorificenza che, tra gli autori drammatici, avrebbero ottenuto solo lui e A. Nota.
Tutte queste sue attività erano in sostanza gratuite, ma le esigenze economiche sempre crescenti di una famiglia numerosa lo costrinsero a chiedere un impiego. Il 10 giugno 1843 fu nominato consigliere di Intendenza generale a Savona, sede che raggiunse non senza rimpianti e tristi presentimenti. Nel frattempo era entrato in contatto con i maggiori intellettuali di quegli anni.
Oltre a quella con Brofferio va rammentata l’amicizia con S. Pellico, del quale restano almeno sette lettere dirette al M., con giudizi lusinghieri su Il levita, Buondelmonte, Corso Donati, Ezzelino terzo, Arrigo di Svevia e Berengario. Anche G.B. Niccolini confessava in una lettera del 1° nov. 1836 di avere apprezzato e acquistato «pressoché tutte» le tragedie del M.; autorevoli consensi vennero al M. anche da N. Tommaseo, che pur giudicando negativamente il terzo atto del Manfredi, carente, a suo giudizio, di vita e d’affetto («che sono condizione dell’azione drammatica»), ci tenne a inserire la tragedia del M. all’interno di un proprio progetto culturale di rinnovamento che andava elaborando.
A Savona il M. visse anni difficili soprattutto per le precarie condizioni di salute, nonché per la nostalgia di Ceva e della famiglia. Tuttavia continuava a lavorare al suo teatro (è del 1837-44 la pubblicazione a Torino, in quattro tomi, delle Tragedie di C. Marenco) e a sperare in un possibile miglioramento delle sue condizioni di salute e di vita. Non fu così: il M. andò progressivamente peggiorando, fino alla morte, sopravvenuta a Savona il 20 sett. 1846.
Fu seppellito con solenni funerali nella chiesa di S. Agostino a Ceva, dove gli fu dedicato un monumento in piazza Vittorio Emanuele, inaugurato il 28 ott. 1894. Gli furono intitolati, inoltre, la via principale della città e il teatro cittadino, inaugurato il 28 sett. 1861 con Pia de’ Tolomei e restaurato nel 1974-75.
Leopoldo, il secondogenito del M., nacque a Ceva l’8 nov. 1831. Fu drammaturgo anch’egli, sulla scorta dell’esempio paterno e del suo tanto più celebre contemporaneo G. Giacosa, da cui ereditò predilezione per un Medioevo romanticamente atteggiato e riletto. Dopo aver intrapreso la carriera burocratica nell’amministrazione dello Stato piemontese, Leopoldo si dedicò all’insegnamento: dapprima a Bologna, fino al 1864, quindi a Milano, fino al 1871. Solo in un periodo successivo fu assorbito completamente dall’attività letteraria: oltre ai drammi d’ambientazione storica, cui rimase legata la sua fama – Isabella Orsini (Torino, teatro Gerbino, 1851), Piccarda Donati (ibid., teatro Carignano, 1868), Il falconiere di Pietra Ardena (pubblicato a Milano nel 1871), certamente il più celebrato in quest’ambito – compose tragedie in versi approdando, da ultimo, a una produzione borghese d’ambientazione moderna. L’opera di Leopoldo è riunita nel Teatro (I-III, Torino 1883-84).
Leopoldo morì a Milano il 30 apr. 1899.
Fonti e Bibl.: N. Tommaseo, Bondelmonte e gli Amidei, tragedia di C. M. da Ceva, Torino 1827, in Antologia, 1827, pp. 133 ss.; Id., Corso Donati. Osservazioni, ibid., 1830, pp. 112 ss.; Corso Donati. Tragedia di C. M., in Biblioteca italiana, 1831, maggio, pp. 175-180; Due nuove tragedie di C. M. e l’Ezzelino terzo dello stesso variato in parte dall’autore, ibid., 1836, gennaio-febbraio, pp. 3-19; A. Brofferio, La Pia, tragedia di C. M., in Il Messaggiere torinese, 28 genn. 1837, pp. 13-15, poi in Il teatro italiano, V, La tragedia dell’Ottocento, 2, a cura di E. Faccioli, Torino 1981, pp. 531-534; I. Cantù, L’Italia scientifica contemporanea. Notizie sugli italiani ascritti ai cinque primi congressi, Milano 1844, p. 285; G. Briano, Il Messaggiere torinese, 1846, ottobre, pp. 13-15; G. Solari, C. M. (necrologia), Savona 1846; Epistolario di S. Pellico…, a cura di G. Stefani, Napoli 1857, pp. 77, 90 s., 101 s., 114 s., 139; A. Brofferio, I miei tempi, Torino 1857-61, XV, p. 126; G. Olivero, Memorie storiche della città e marchesato di Ceva…, Ceva 1858, pp. 159-166; N. Tommaseo, Diz. d’estetica, Milano 1860, II, Parte moderna, pp. 216-219; G. Massari, Ricordi biografici e carteggio di V. Gioberti, Torino 1861, II, pp. 552 ss.; Ricordi della vita e delle opere di G.B. Niccolini, a cura di A. Vannucci, II, Lettere dal 1824 al 1857, Firenze 1866, pp. 196-198, 204 s., 274 s.; S. Pellico, Lettere inedite, Torino 1875, p. 189; G. Mazzini, Scritti editi ed inediti, VIII, Politica, 6, Milano 1898, p. 369; Carteggi di V. Gioberti, V, Lettere di illustri Italiani a V. Gioberti, a cura di L. Madaro, Roma 1937, pp. 121-127; Tutte le opere di A. Manzoni, VII, Lettere, 1, a cura di C. Arieti, Milano 1970, pp. 393 s.; A. Ponte, L’Arnaldo da Brescia del Niccolini e l’Arnaldo da Brescia del M., in Il R. Ginnasio Piazzi di Sondrio nell’anno scolastico, 1880-81; V. Bersezio, Il regno di Vittorio Emanuele II, Torino 1889, I, pp. 187 ss.; G. Costetti, La Compagnia Reale sarda e il Teatro italiano dal 1821 al 1855, Milano 1893, ad ind.; E. Orlandi, Il teatro di C. M.: studio critico, Firenze 1900; E. Bertana, La tragedia, Milano 1905, pp. 404 s., 408-413, 438; G. Mazzoni, L’Ottocento, I-II, Milano 1934, ad ind.; S. D’Amico, Storia del teatro drammatico, Milano 1960, II, p. 80; Il teatro italiano, V, cit., pp. 3 ss.; Storia di Torino, VI, La città nel Risorgimento (1798-1864), a cura di U. Levra, Torino 2000, ad ind.; Diz. letterario Bompiani degli autori di tutti i tempi, II, s.v. (D. Mattalia); Enc. Italiana, XXII, s.v.; Enc. dello spettacolo, VII, sub voce.