CASTELLI, Carlo Maria
Nativo di Induno (Varese), nel 1723 scrisse una relazione sui lavori del campanile del duomo di Torino; nel 1725 stese il “cabreo” dei beni dell’abbazia di S. Giacomo di Stura; nel 1726 lavorò alle costruzioni per l’archivio del duomo (distrutto).
Nel 1727 fu invitato a progettare, per l’abbazia di Lucedio, la chiesa della Grangia di Montenero, e tale fu l’impegno con cui s’accinse all’opera da lasciare ben cinque studi successivi, nei quali l’adesione ai modi iuvarriani a poco a poco cede il posto a linee più mosse (inclusione d’una finestra ovale al sommo della facciata costringente la cornice a incurvarsi in forma anticlassica) che preludono a soluzioni vittoniane.
La chiesa acquista rilievo dal misto di ossequio alla tradizione (sia pure recentissima) e innovazione presente nel minuscolo prospetto, chiaro d’intonaco e a paraste abbinate ai lati del portale; mentre l’interno non esorbita dalla usuale pianta rettangolare. Nelle zone d’ombra che contrassegnano l’attività documentata dell’artista (chiamato a tale data “misuratore ed estimatore”) questa prima (o fra le prime) prova lo mostra sensibile ai fermenti che, collateralmente all’azione esercitata da Iuvarra, anticipano i caratteri a venire dell’árchitettura locale. Da non scordare che nella regione stessa, e per la medesima abbazia, operava F. Gallo che aveva appena lasciato in quegli anni (1718-20), con la chiesa della Grangia di Leri (a croce greca e con le cappelle laterali assorbite strutturalmente e stilisticamente nell’edificio), un prototipo valido per il futuro.
La nomina del C. ad architetto, ingegnere, estimatore e misuratore approvata dall’università di Torino è del 4 dic. 1730. Nel 1725 era stata decisa la ristrutturazione della chiesa di S. Nicolao a Coassolo e quindi l’erezione della facciata, ma solo nel 1747 fu presa la decisione di rifarne la fronte avanzandola d’una campata, e se ne affidò l’incarico al Castelli.
L’opera fu realizzata dal capomastro luganese C.A. Ramanzini (il che prova che l’architetto non ne segui l’esecuzione) e si concluse nel 1750 per la parte muraria: difficoltà finanziarie non consentirono il rivestimento a intonaco sicché la fronte rimase in laterizio a vista con i fori dei ponteggi aperti. Dovendo abbracciare un interno a tre navate, il C. fu costretto a espandersi in larghezza allacciando i corpi laterali con una rigida cornice sorretta da paraste e alleggerita da aperture sovrastate da ornamenti elaborati. Ricordi iuvarriani (specie nel finestrone ovale al centro) si accompagnano a reminiscenze guariniane – il moto convesso e prorompente della facciata – non senza ricordi lontani ma evidenti della vittoniana chiesa dei SS. Vincenzo e Anastasio a Cambiano (1740).
Il 26 febbr. 1760 il C. firmava una pianta con la rappresentazione sommaria del convento dei cappuccini di Asti e del luogo dove doveva essere costruito un nuovo convento. Dell’anno seguente è la pianta per la chiesa di S. Chiara a Fossano. Mancano ulteriori notizie del C. dopo tale data.
Bibl.: A. Cavallari Murat, La facciata di S. Nicolao di Coassolo (1747-50), l’autore C. M. C. e il restauro, in Boll. stor-bibliogr. subalpino, XLIII (1941), pp. 267-279; C. Brayda-L. Coli-D. Sesia, Ingegneri e architetti del Sei e Settecento..., Torino 1963, pp. 27 s.; N. Carboneri, L’abbazia di Lucedio, in Atti del XIV Congresso naz. di storia dell’architettura, Padova 1973, pp. 60, 80 s. n. 17.