FABI, Carlo Maria
Terzogenito di cinque maschi, nacque a San Gemini, nella diocesi di Narni (ora in prov. di Terni), il 24 nov. 1744, dal capitano Giovan Domenico dottore di leggi e da Maria Teresa Piccioni gentildonna romana, e fu tenuto al fonte battesimale dal card. C. M. Sacripante.
La famiglia, ascritta nel 1639 alla nobiltà di Spoleto e poi a quella di Narni, era stata arricchita ed illustrata soprattutto dal matrimonio dell'avo capitano Giuseppe con Chiara Caterina, ultima crede dei conti Capitoni Montani, di cui i Fabi aggiunsero il nome e inquartarono le armi.
Svolti i primi studi in casa con i fratelli sotto un precettore, il F. perdette il padre all'età di quattordici anni: questo avvenimento fu rilevante anche per i risvolti patrimoniali, perché la cattiva amministrazione che ne seguì determinò un grave dissesto, che verrà sancito dall'atto di divisione fra i fratelli del 24 genn. 1766. Gli studi dei F. comunque continuarono in patria per tutto il corso di umane lettere, per concludersi a Perugia, dove ottenne il 7 giugno 1768 la laurea in filosofia e sacra teologia.
Subito dopo, ordinato sacerdote il 17 dic. 1768, si trasferì a Roma per perfezionarsi nella procedura e nella giurisprudenza: a tale scopo svolse il praticantato presso i giureconsulti P. Costanzi e L. Morelli, frequentando con assiduità la congregazione del Concilio. Continuò tuttavia a osservare i doveri del suo ministero predicando e amministrando i sacramenti. Nel 1770 assunse l'incarico di prefetto della sacrestia della chiesa annessa all'ospedale di S. Giacomo in Augusta, pur seguitando ad esercitarsi nelle scienze teologiche attraverso le sedute di una sorta di accademia di casi morali e di liturgia che si era costituita fra i cappellani di altri simili istituti.
Il 26 sett. 1775 si laureò in ambo leggi alla Sapienza, ed il giorno seguente fu nominato protonotario apostolico; aveva già fama di esperto di diritto, per cui il capitolo della patriarcale basilica lateranense lo volle suo vicario generale per l'abbazia di S. Pietro di Ferentillo presso Spoleto, e la congregazione del Buon Governo visitatore per quegli stessi luoghi, nei quali si stabilì. Ma fu un'esperienza di breve durata, ché Pio VI (il quale fin da quando era cardinale lo aveva frequentato ed apprezzato) nel 1776 lo creò vicario generale del vescovo di Acquapendente, C. M. Bardini. In quella sede si trattenne per tre anni, quando il papa lo richiamò per destinarlo, il 9 dic. 1779, a suo vicario generale per l'abbazia di Subiaco che gli era carissima, tanto da volerne conservare la giurisdizione ordinaria ed il titolo anche dopo l'elevazione alla tiara. A Subiaco il F. soggiornò per circa quattro anni, esercitandovi le sue funzioni con generale soddisfazione.
Nel 1785, essendo vacanti le sedi episcopali di Amelia e di Foligno, si disse che il papa intendesse designarlo per quest'ultima, cosicché il F., ricevutane comunicazione il 10 settembre e sostenute il 23 le consuete prove di dottrina e idoneità, fu preconizzato in concistoro il giorno 26 unitamente a mons. F. Trenta destinato ad Amelia; ma pare che l'uditore incaricato avesse scambiato per errore i "viglietti" delle due Chiese vacanti, onde per evitare scandalo si avallò l'errore, e il F. si ritrovò vescovo di Amelia mentre a mons. Trenta toccò Foligno.
Comunque di questo episodio, tramandato da mons. F. Fabi Montani, suo nipote, non vi è alcuna prova documentale. La consacrazione ebbe luogo a Roma nella chiesa del Nome di Maria al foro Traiano, il 2 ott. 1785, per mano del cardinale camerlengo C. Rezzonico con l'assistenza di mons. N. Buschi arcivescovo di Efeso e di mons. P.L. Galletti vescovo di Cirene.
La presa di possesso della diocesi avvenne per procura lo stesso giorno. Il F. partì il 22 ottobre, dopo essersi accomiatato dal papa e dal S. Collegio ed essersi sciolto da ogni impegno e legame in Roma: infatti non lascerà più la sua sede, se non per le brevi visite d'obbligo ad limina e per la deportazione finale.
In Arnelìa instaurò fin dall'inizio una politica di austerità, riducendo le spese della mensa vescovile allo stretto necessario, reprimendo scrupolosamente gli abusi e riordinando vari settori dell'amministrazione diocesana. Il 25 maggio 1786 iniziò la sua prima visita pastorale (introducendo molte innovazioni, tra cui la proibizione di donativi al vescovo in visita, d'antichissimo uso), e ne svolgerà altre quattro nel corso del suo ministero, fino all'ultima incominciata il 29 apr. 1797 e interrotta dalle vicende politiche; assidue cure dedicò pure alle missioni diocesane, nel corso delle quali predicò spesso personalmente e per le quali ottenne dal papa larghe indulgenze. Appoggiò la ricostituzione dell'Accademia degli Ameliofobi voluta dal canonico A. Catenacci, e nel 1791 ne fu dichiarato "mecenate".
Tuttavia il suo maggior impegno fu quello di instaurare in Amelia il seminario vescovile, opera che i predecessori avevano progettato e preparato, ma mai compiuto. Il F. poté inaugurarlo con grande solennità l'8 dic. 1788: era riuscito a renderne sufficienti le rendite senza spogliare altre istituzioni, a completarne gli edifici e a fornirlo di validi insegnanti, fra cui il Catenacci, traduttore della Bibbia (che ne fu rettore), il padre M. Maffei, minore conventuale, per la filosofia, e l'abate L. Poggi per l'eloquenza. Il F. si mostrò personalmente molto attivo, con stimoli e presenza, nella cura del funzionamento di questo collegio, ottenendo l'affluire di un buon numero di allievi qualificati e avendo la soddisfazione di vederne affermata la fama. Inoltre vi manteneva a sue spese i poveri meritevoli, fra i quali volle Giovan Domenico figlio di suo fratello Francesco, orfano di entrambi i genitori (collocò Antonina sorella di quello nel convento delle agostiniane).
Altro grosso impegno del F. fu la convocazione, il 6 febbr. 1792, di un sinodo, per l'organizzazione del quale si basò su quello tenuto nel 1595 dal suo predecessore mons. A. M. Graziani, che era stato lodato da Benedetto XIV nella sua opera De synodo dioecesana. Le riunioni si svolsero nell'aprile, nella cattedrale di S. Firmina. Frutto di questo impegno fu la pubblicazione di un'opera di notevole accuratezza, Synodus dioecesana Amerina ab Antonio Maria Gratiani habita anno 1595, editio II cui accessit vita eiusdem, Romae 1792, oggi rara, che comprende: la ristampa integrale del Synodus del Graziani, emendata da alcune piccole imperfezioni; una biografia del Graziani stesso, ricavata dai manoscritti del gesuita G. Lagomarsini, che aveva avuto a disposizione l'archivio della famiglia Graziani; una ricca appendice di annotazioni destinate ad aggiornare alcuni punti della disciplina ecclesiastica superati dai tempi, con un repertorio di regolamenti, decreti, esortazioni ed encicliche, molte emesse dallo stesso F., sull'interpretazione di numerose questionì controverse; una cronologia dei vescovi d'Amelia con note biografiche, innovativa per il periodo più antico, in cui corregge alcuni errori dell'Ughelli, portando le congetture a tempi anteriori a quello tradizionale del 465 (per questa parte si.giovò dei lavori del card. G. Garampi, e dell'aiuto di mons. P.L. Galletti e dello storico amerino P. Franchi). L'opera, patrocinata da Pio VI, ebbe ampie lodi dalla stampa specializzata (cfr. Giornale ecclesiastico di Roma, VIII [1793], I, pp. 1 s.; 2, pp. 5 s.).
Il F. fu uno dei più attivi fra i vescovi dello Stato della Chiesa nell'"ammonire il suo gregge contro le false dottrine già diffuse": molte delle sue omelie, passate alle stampe, furono recensite e portate ad esempio (ibid., IV [1789], p. 44; V [1790], p. 168; VII [1792], pp. 44, 188; VIII [1793], p. 98, X [1795], p. 16; XI [1796], p. 52; XII [1797], p. 18; XIII [1798], p. 16). Memore della sua esperienza romana di cappellano ospedaliero, fu solerte nella cura degli ospedali, dei monasteri di monache e dei luoghi pii, ed indefesso nelle funzioni e nel coro. Nel 1795 fu nominato delegato apostolico del conservatorio "Pio" di Terni, con ampio breve del 24 aprile in cui sono lodati il suo zelo, la sua pietà e la sua prudenza.
Nel febbraio 1798, dopo l'invasione francese e la proclamazione della Repubblica Romana, il F. venne a trovarsi in una situazione difficile, essendo ben noto il suo rigido atteggiamento verso le idee rivoluzionarie. Consigliato di mettersi al sicuro, non volle lasciare Amelia, dichiarandosi pronto al sacrificio della vita. Il 18 marzo 1798 si trovò obbligato ad esortare il popolo dal pulpito della cattedrale all'obbedienza verso il nuovo governo: lo fece a modo suo, predicando la "uguaglianza evangelica" e la "libertà dal peccato". Ciò irritò i repubblicani, che lo deferirono al tribunale del Clitunino a Spoleto, con conseguente immediato arresto del F. nel palazzo vescovile, seguito però il giorno 27 da un plateale trasferimento a Roma, avvenuto in pieno giorno con ampio concorso di gendanni francesi, scena da cui la popolazione fu molto impressionata.
Incarcerato a Roma nell'ex monastero delle convertite, dove si trovavano già numerosi altri prelati e qualche cardinale, il F., forse per il trauma e gli strapazzi, si ammalò gravemente, confortato solo dalle visite dell'abate Giacomo suo fratello. Pur trattato duramente e spogliato anche degli arredi sacri, poté però ottenere i conforti religiosi e fare testamento, destinando tre quarti del suo patrimonio ai canonici della sua cattedrale e ai poveri di Amelia, e proibendo di molestare i suoi "persecutori", cui dichiarava di perdonare senza riserva. Morì a Roma il 31 marzo 1798 e fu sepolto di notte senza cerimonie nella parrocchiale di S. Maria in Via. Ad Amelia la notizia di questa morte repentina a soli cinquantatrè anni fece sensazione, e gli furono tributate "convenienti" onoranze funebri, anche se i giornali ignorarono l'avvenimento.
Scritti. Gli atti pastorali del F. (omelie, lettere pastorali, istruzioni, ecc.), per la regolarità con cui vennero stampati, per l'eco che trovarono sempre nella stampa romana e per il particolare tormentato periodo storico in cui si inseriscono, presentano qualche interesse ideologico-culturale, formando quasi un corpus esemplare delle tematiche del tempo in tale campp. In essi il F. evidenzia anche quella ricerca di superamento del contingente temporale attraverso il richiamo ai temi evangelici (sempre in forma piana e semplice) che fu il punto fermo della sua predicazione e della sua vita. I principali sono: Epistola pastoralis ad clerum et populum Amerinae dioecesis, Romae 1785; Decreti esortativi e precettivi fatti nella visita del 1786, Foligno s. d.; Lettera pastorale al popolo dellacittà e diocesi di Amelia, ibid. 1788; Omelia recitata al popolo nella pubblicazione del Giubileo il di 15 ag. 1790, s. l. 1790; Omelia detta al popolo nella notte del Santo Natale dell'anno 1791, Roma 1792, Omelia detta al popolo nella festività della Santissima Vergine Assunta in Cielo dell'anno 1792, Foligno 1792; Appendix ad Synodum Amerinam ab Antonio Maria Gratiani habitam anno 1595a Carolo Maria Fabio eiusdem Ecclesiae praesule edita anno 1792, Romae s.d.; Istruzione pastorale ... in occasione della sacra visita, Foligno 1793; Omelia ... detta al popolo nella pubblicazione del Giubileo, fatta il di 8 dicembre 1792, ibid. 1793; Omelia ... recitata nel giorno di S. Fermina 24 nov. 1793, ibid. 1794; Omelia ... recitata nel giorno di S. Fermina 24 nov. 1794sopra il rispetto della Chiesa, ibid. 1794; Lettera in cui si rallegra col suo popolo del frutto ricavato dalle Sante Missioni, s.l. s.d., Omelia ... recitata nel giorno S. Fermina vergine e martire ai 24 nov. 1795sopra la cristiana educazione, Foligno s. d.; Omelia ... recitata il di dell'Assunzione dell'anno 1796sopra la durezza del cuore, Roma 1796 Omelia recitata nel di dell'Assunzione dell'anno 1797 ... sopra la cecità spirituale, Todi s. d.; Allocuzione del cittadino vescovo di Amelia al popolo, ibid. 1798.
Fonti e Bibl.: Oltre le fonti giornalistiche citate, cfr. E. De Tipaldo, Biogr. d. Ital. ill., VI, Venezia 1838, pp. 313-19; F. Fabi Montani, Elogio storico di mons. C. M. F. vescovo di Amelia, Roma 1843; Diz. biogr. univ., II, Firenze 1842, p. 658; R. Ritzler-P. Sefrin, Hierarchia catholica medii et recentioris aevi, VI, Patavii 1958, p. 79 e n. 5.