MARSUPPINI, Carlo.
– Nacque forse nel 1398 ad Arezzo, la città del padre, Gregorio di Domenico di Minuccio, o a Genova, la città della madre, il cui nome non è noto.
Il padre soggiornò a Genova per un certo tempo, al seguito di Jean Le Meingre signore di Boucicaut, governatore della città, dall’ottobre del 1401, per conto del re di Francia Carlo VI, ai servigi del quale Gregorio era passato dopo la laurea in diritto civile conseguita a Bologna nel 1389. In seguito alla cessazione della sovranità francese su Genova con la rivolta del 1409, Gregorio si trasferì a Firenze, dove nel 1419 fu esentato dal pagamento di alcune imposte. Per il ruolo avuto nel far fallire una congiura ad Arezzo contro il dominio fiorentino, nel 1431 gli fu concessa la cittadinanza fiorentina, che fu estesa ai fratelli e discendenti. Gregorio ebbe cinque figli: Cristoforo, che morì giovane, Giovanni e il M., che vissero a Firenze, Iacopo e Marchese, dei quali si hanno scarse notizie. Grazie alla consistenza del suo patrimonio prestò notevoli somme a Palla Strozzi e, dopo l’esilio di questo nel 1434, entrò in possesso di sue proprietà a Campi e a Castelnuovo. Morì il 12 febbr. 1445.
Fu a Firenze che il M. compì gli studi, con i fratelli Cristoforo e Iacopo, avendo come maestro di latino e greco Guarino Guarini, a sua volta allievo di Giovanni Conversini, dal quale ereditò la straordinaria erudizione e capacità di lettura dei classici. Il M. ebbe amici, come Giannozzo Manetti, dediti allo studio delle lettere e legati a Niccolò Niccoli e Ambrogio Traversari e quindi all’ambiente intellettuale che faceva capo alla famiglia Medici, con la quale il M. entrò presto in familiarità divenendo precettore dei figli di Cosimo, Piero e Giovanni.
Nel 1430 il M. seguì Cosimo e i suoi, insieme con Niccoli, nel lungo soggiorno fuori Firenze organizzato per evitare la peste. Nel 1431, all’indomani dell’elezione di Gabriele Condulmer come papa Eugenio IV, il M. accompagnò a Roma Piero de’ Medici: da una lettera di Traversari a Niccoli (Latinae epistolae, VIII, 37) si sa che il 23 giugno di quell’anno il M. rientrò a Firenze, portando molti codici latini e greci che Cosimo gli aveva fatto acquistare per Traversari.
Già dal 1430 il M. era presumibilmente entrato nello Studio fiorentino come professore di poesia, di retorica e di greco; il 23 ott. 1431 ebbe una prima conferma della carica con uno stipendio di 140 fiorini, enormemente superiore a quello di altri suoi colleghi.
Il M. sostituì Francesco Filelfo, con il quale fu in continua e violenta polemica; all’inizio di dicembre, reintegrato Filelfo, si determinò un ulteriore contrasto con il M., del cui successo presso studiosi e studenti rende atto la testimonianza di Vespasiano da Bisticci. Solo Filelfo, per invidia, lo ritenne un insegnante meschino (Commentationes de exilio, Firenze, Biblioteca nazionale, Mss., II.II.70, c. 109r) e lo trattò sempre con astio e rancore profondo (per esempio: Epistolae, cc. 10v, 163v; Satyrae, I, 6; II, 1; III, 6; III, 10; V, 7; V, 9); addirittura lo accusò di inserire nelle traduzioni errori «interessati» e di aver corretto, peggiorandolo, il testo di Silio Italico (Epistolae, c. 163v). I due si riconciliarono solo nel 1450.
L’incarico d’insegnamento fu rinnovato il 5 ott. 1435. Nello stesso anno il M. sposò Caterina di Gherardo di Filippo Corsini – alla stipula del contratto furono presenti come testimoni Niccolò Gori e Franco Sacchetti –, con la quale ebbe cinque figli: Cornelio, Iacopo, Cristoforo, Carlo e Ginevra.
Cristoforo e Carlo, allievi di Cristoforo Landino e Donato Acciaiuoli, si sarebbero dedicati a studi letterari e filosofici. Entrambi furono esponenti dell’Accademia Platonica fiorentina di Marsilio Ficino.
Che il M. ricoprisse un ruolo importante nella cultura umanistica del primo Quattrocento, non solo fiorentina, è testimoniato, fra gli altri, da Lorenzo Valla, che nel 1433 chiese a lui, a Traversari e a Leonardo Bruni di leggere il De vero bono prima di pubblicarlo; il M. gli rispose con una lettera del 12 sett. 1433 (Epistolae, p. 136). Nel 1441, in un atto sul passaggio dei libri di Niccoli, forse l’amico più stretto del M., al convento di S. Marco, il M. compare con la qualifica di segretario papale: carica nella quale fu confermato nel 1452 da Niccolò V ma che, a quel che sembra, non espletò mai; lo ricorda lo stesso M. in una lettera a Giovanni Tortelli (Biblioteca apost. Vaticana, Vat. lat., 3908, c. 142r).
All’indomani della morte di Bruni, cancelliere della Repubblica, avvenuta il 9 marzo 1444, il 5 aprile il M., forse su designazione di Cosimo de’ Medici, fu chiamato a succedergli. Egli si dedicò soprattutto alla stesura della corrispondenza diplomatica, in continuità con la tradizione aulica dei cancellieri Coluccio Salutati e Bruni.
Il M. approfondì il livello di elaborazione retorica della corrispondenza di cancelleria componendo lettere in forma di trattati in cui erudizione e dottrina classica dovevano colpire il lettore attraverso esempi e testimonianze.
Non sembra che il M. abbia avuto interessi istituzionali relativi all’organizzazione della Cancelleria, in anni in cui il rafforzamento del potere dei Medici tendeva a svuotarne progressivamente l’incidenza. L’autorevolezza del M. risulta estranea alle turbolenze, interne ed esterne, della politica fiorentina di questi anni. Al momento dell’elezione a cancelliere gli furono assegnati un salario di 300 fiorini e un notaio come coadiutore; gli fu inoltre conferito il privilegio di portare le armi, con la facoltà di estenderlo ai congiunti e ai discendenti in linea maschile. L’incarico fu rinnovato annualmente fino al 5 apr. 1453, ossia pochi giorni prima della sua morte.
Dal 31 genn. 1453, essendo morto il titolare, Giovanni Guiducci, fu posta sotto la responsabilità del M. anche la seconda Cancelleria, con un salario di 600 fiorini e quattro notai da lui dipendenti. Tale riorganizzazione si inseriva in quella più generale che si stava attuando nelle istituzioni fiorentine e che accompagnava l’involuzione autoritaria del potere. Il M. rimaneva di fatto lontano dalla vita politica, ma garantiva con il suo lavoro la fedeltà alla famiglia dominante e il prestigio di Firenze. Si pone in questa linea un’orazione ufficiale in latino da lui tenuta il 30 genn. 1452 in occasione della visita a Firenze dell’imperatore Federico III d’Asburgo, che gli conferì il titolo di conte palatino e gli propose l’incoronazione poetica.
Nel 1431, nel 1442 e nel 1447 il M. presentò dichiarazioni catastali dalle quali risulta che la sua situazione patrimoniale era solida e in fase crescente.
Nella prima di queste dichiarazioni, fatte per il «gonfalone» Drago, quartiere S. Giovanni, il M. dichiarava l’esenzione dal pagamento delle imposte in seguito all’estensione dei benefici ottenuti dal padre; per i beni in territorio aretino, condivisi con il padre e con il fratello Cristoforo, effettuò invece i pagamenti. Parte dei suoi beni derivava, come risarcimento di crediti, dall’incameramento di varie proprietà confiscate a Palla Strozzi. Nella dichiarazione del 1447 il patrimonio del M. ammontava a 2293 fiorini; per la figlia Ginevra aveva disposto una dote di 1113 fiorini, mentre nel suo nucleo familiare erano compresi, oltre ai figli maschi e la moglie Caterina, anche Lucrezia, vedova del fratello Cristoforo, morto il 6 apr. 1443, e i suoi quattro figli dei quali il M. era tutore e gestore per la parte del patrimonio derivante dalla confisca allo Strozzi.
A dimostrazione della lunga fedeltà ai Medici è indicativa la presenza del M., con Bernardo de’ Medici, a un lodo emesso il 17 nov. 1451 su una complessa gestione di beni della famiglia effettuata da Cosimo de’ Medici per conto del nipote Pier Francesco, figlio di Lorenzo. Nel 1451, con Manetti, contribuì alla stesura dello statuto della Biblioteca del duomo, commissionato dall’Arte della lana. Nel 1452 il M. fu sollecitato dal papa a lasciare Firenze per Roma e a dedicarsi alla traduzione di Omero, come attestano i brevi del 24 ottobre scritti da Poggio Bracciolini rivolti ai priori e al gonfaloniere di Giustizia.
Il M. morì a Firenze il 24 apr. 1453.
Il 27 aprile si celebrarono funerali solenni, a cui parteciparono rappresentanti di Arezzo (l’ambasciatore fu Benedetto Accolti), del papa, del re di Francia e del duca di Milano. Nella chiesa di S. Croce Matteo Palmieri tenne l’orazione funebre in latino colma di lodi per il M., che da Alamanno Rinuccini fu incoronato poeta (Firenze, Biblioteca Riccardiana, Mss., 660, cc. 69r-70r; Parigi, Bibliothèque nationale, Nouv. acq. lat., 650, cc. 129v-130r). La salma fu deposta nella navata sinistra, di fronte alla tomba di Bruni, per la quale forse proprio il M. aveva dettato l’epigrafe. Pochi anni dopo la morte, Desiderio da Settignano costruì in S. Croce la tomba del Marsuppini.
A capo della Cancelleria fiorentina fu eletto, il 27 apr. 1453, Bracciolini, e Landino, che aspirava a occupare la cattedra del M. (da lui sempre stimato come maestro e che inserì fra gli interlocutori del De anima) ebbe l’incarico ufficiale e definitivo solo nel gennaio 1458. Vespasiano da Bisticci offre del M. un ritratto fisico e morale di grande spessore; mentre la sua dottrina è esaltata, fra i tanti, da Manetti con ampi elogi.
Il M. non produsse molte opere letterarie: il manoscritto conservato a Firenze (Biblioteca Medicea Laurenziana, Strozzi, 100) raccoglie pressoché tutti i suoi scritti: traduzioni omeriche e pseudomeriche e poesie. Di sicuro ciò fu dovuto a una sua riluttanza a scrivere, come esplicitamente dichiara in una lettera a Giovanni Aurispa (Carteggio, p. 112), e al fatto che negli anni dell’insegnamento e del cancellierato l’attività pubblica fu preminente rispetto a quella privata.
La figura e il ruolo intellettuale del M. furono centrali a Firenze dagli ultimi anni Venti del Quattrocento fino alla metà del secolo, come dimostrano numerose testimonianze. In particolare Bracciolini, in una lettera ad Andrea Alamanni, pone il M. in una successione tutta fiorentina di glorie umanistiche avviata con Francesco Petrarca e con Salutati e proseguita con Roberto de’ Rossi, Niccoli, Bruni, Traversari, Manetti e lo stesso M., lumen della sua età (Ep. VII, 21). Anche Bartolomeo Scala nella Historia Florentinorum vede le glorie del suo tempo in Bruni, in Niccoli, in Traversari, nel M., in Palmieri e in Acciaiuoli. Insieme con gli aretini Bruni e Tortelli, e con Guarini, Filelfo e Valla, il M. è riconosciuto fra i più illustri del tempo anche da Sulpizio da Veroli (Biblioteca apost. Vaticana, Urb. lat., 1200, cc. 55v-56r). Landino esprime alla morte del vates il pianto di Firenze e ne esalta l’impegno di traduttore di Omero. Maffeo Vegio gli dedicò il Liber disticorum (Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana, Mss., 39, 40; altre sue poesie nel Laur., 34, 53); al M. scrisse una lettera anche Bartolomeo Facio, che lo avrebbe ricordato nel suo De viris illustribus, relativa al suo soggiorno fiorentino del 1429 (Biblioteca apost. Vaticana, Vat. lat., 2906, c. 52).
Traversari lamenta la negligentia del M. nello scrivere (Ep. VIII, 24) e lo mette in contatto con Antonio Panormita, che testimonia l’interesse del M. per il commento di Donato a Terenzio. Numerose sono le lettere in cui Traversari ricorda il M. con costante amicizia (ibid., 9, 33, 39-41, 44-45, 47). Del Panormita rimangono due lettere rivolte al M., forse del 1427-28, sull’invio dell’opuscolo di Valla su Quintiliano (Gallicae, IV, 1, 5; 16). Al momento della pubblicazione del De vero bono, Valla, oltre al M., avrebbe mandato l’opera a Pier Candido Decembrio, a Traversari e a Bruni, ricevendo entusiastici consensi.
Bracciolini fa più volte riferimento al rapporto tra il M. e gli umanisti fiorentini (Ep. II, 11; III, 4; III, 18; VI, 109) e pone il M. tra gli interlocutori della Disceptatio convivialis dove, con Benedetto Accolti e Niccolò Tignosi, discute del rapporto tra leggi e medicina (Opera, pp. 33-63). Ancora con Bracciolini, con Bruni, con Cincio Rustici e Biondo Flavio, il M. partecipò a Firenze a letture e a discussioni sul testo di Livio, fondate su un manoscritto, poi perduto, del cardinale Prospero Colonna: delle correzioni parla in particolare Valla (Opera, pp. 602, 606, 608). Nel 1440 Bracciolini indirizzò al M. un’orazione in morte di Lorenzo di Giovanni de’ Medici (Firenze, Biblioteca Riccardiana, 813, cc. 151r-157r; Opera, pp. 278-286). Il M. compare, insieme con Bruni e Niccoli, fra gli interlocutori del De legum et medicinae praestantia del medico aretino Giovanni Lippi (al quale il M. scrisse una lettera, tradita da Londra, British Library, Add. Mss., 11760, cc. 57r-71v e 160v-162v), secondo il testo offerto dal ms. 77, 22 di Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana. In alcuni versi della Xandra di Landino si fa riferimento a una disputa con Paolo Dal Pozzo Toscanelli in cui il M. sostiene la conciliabilità dello studio della letteratura classica con la fede cristiana. Oltre a una ricca biblioteca, il M. raccolse monete e cammei classici.
Risale al 1429-30 (o poco dopo l’ingresso come professore nello Studio alla fine dell’ottobre 1431) la traduzione in versi – sarebbe la prima versione metrica umanistica – della Batrachomyomachia pseudomerica, come si evince da una lettera di Giovanni Marrasio, a cui è dedicata, al Panormita. Il lavoro ebbe ampia fortuna ed è stato trasmesso da una settantina di manoscritti. Le prime stampe apparvero a Venezia (non datate) e a Parma nel 1492; l’edizione veneziana del 1502 contiene anche la traduzione di un inno a Marte, poemetto derivato dal V libro dell’Iliade; la versione del M. fu inserita nella raccolta di versioni omeriche, apparsa a Venezia nel 1516. Si tratta di un testo – forse modellato sul ms. di Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana, 31, 20 (o un suo apografo) – che risente di inevitabili incertezze dovute all’altezza cronologica in cui, da pioniere, si inserì il M. che, come avverrà anche per altri, non condivise la ripetitività delle formule omeriche, pur qualificanti lo stile, che può determinare fastidio alla lettura. Non mancano ampliamenti, banalizzazioni, fraintendimenti, forse derivanti dal testo utilizzato, insieme con soluzioni retoriche estranee all’originale, volte a semplificare il periodo ma che in realtà lo appesantiscono. Nel complesso, però, il testo è reso dal M. con precisione. La traduzione omerica e la preannunciata stesura di una Hecatombe (Firenze, Biblioteca Riccardiana, Mss., 913, c. 27v) determinarono un elogiativo carme di Marrasio.
Un’altra traduzione, quella dell’orazione Ad Nicoclem di Isocrate, risale al 1430, quando il M., insieme con i Medici, per sfuggire alla pestilenza diffusa a Firenze si fermò, fra le varie località, a Rimini alla corte di Galeotto Roberto Malatesta, cui la versione fu dedicata. Era la prima volta che questo testo veniva tradotto in latino, forse per lontani interessi del M. per Isocrate, maturati negli anni dell’apprendimento del greco alla scuola fiorentina di Guarini. Al 1430 dovrebbe risalire anche l’idea di procedere a una versione latina di Diodoro Siculo.
Il M. tradusse in versi latini il I e il IX libro dell’Iliade realizzando così, sia pure in minima parte, la speranza, nata in ambiente fiorentino con Salutati, di poter disporre di una versione latina dei poemi omerici che non fosse solo la loro trasposizione lessicale, come in Leonzio Pilato, ma valorizzasse i testi nella loro originale portata stilistica. La traduzione dovette essere completata nel 1452: una lettera del 7 febbraio a Tortelli rivela che il M. si era deciso a iniziare il lavoro, richiestogli dal papa, dopo averne parlato con Cosimo de’ Medici; un’altra missiva del 9 dicembre spiega che di lì a pochi giorni avrebbe inviato le versioni al pontefice (che però già in ottobre gli aveva scritto di aver letto un «libro» di Omero). La versione del libro I dell’Iliade, dedicata a Niccolò V, è tramandata da un ridotto numero di testimoni (fra cui Città del Capo, South African Public Library, Mss., 3.c.12; Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana, Strozzi, 100; Ibid., Biblioteca nazionale, Mss., II.IX.148; Torino, Biblioteca Reale, Varia, 14; Dresda, Sachsische Landesbibliothek, Mss., Dc.158) e da una stampa, forse apparsa a Venezia nel 1516. La versione del libro IX dell’Iliade, relativa al discorso rivolto da Achille a Ulisse (104 versi corrispondenti ai vv. 308-421 dell’originale greco), è tramandata dai mss. sopra indicati (a esclusione di quello di Torino) e da quelli in Firenze, Biblioteca nazionale, Magl., I, 40 e Palat. Capponi, 145; Ibid., Biblioteca Riccardiana, Mss., 660 e 3022; Roma, Biblioteca dell’Acc. nazionale dei Lincei e Corsiniana, Rossi, 230. La dedicatoria al papa offre spunti significativi per comprendere scopi e metodo del traduttore: il M. interviene variamente rispetto al testo originario con modifiche che tendono per lo più a migliorare lo stile ritenuto a volte mediocre; ma non mancano fraintendimenti, incomprensioni e soluzioni troppo libere; talora gli interventi servono come approfondimenti lessicali o retorici utili per eliminare possibili difficoltà di lettura; risultano inoltre incongruenze linguistiche che indicano probabilmente una mancata revisione.
Del M. – che nel certame coronario del 1441 fu uno dei dieci giudici – sono rimaste poco più di una decina di poesie latine, pubblicate nel 1720 nei Carmina illustrium poetarum Italorum ma trasmesse anche in piccoli gruppi da diversi mss., fra cui Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana, Strozzi, 100, 105; Gaddi, 223, c. 56v; 34, 53, cc. 9r-11r, 29r; 34, 55; Ibid., Biblioteca Riccardiana, Mss., 977, cc. 15r-25v, Ibid., Biblioteca nazionale, Magl., VII, 601; Arezzo, Biblioteca civica, Mss., 276, cc. 47v-48v, 60v; Parigi, Bibliothèque nationale, Nouv. acq. lat., 623; Biblioteca apost. Vaticana, Urb. lat., 368; New York, Columbia University Library, Plimpton, 187, cc. 251r-252v. La maggior parte sono versi di elogi per Bruni, per Tommaso Pontano, per Bracciolini, per Ciriaco Pizzicolli, per Vegio e per altri, e affrontano tematiche contingenti. Per le sue composizioni poetiche, raffinate e ricche di riferimenti classici e mitologici, il M. acquisì una grande fama e la sua esperienza produsse, in una città ancora restia a riprendere l’uso della poesia latina, un’innovativa produzione che si sarebbe manifestata già con uno dei suoi allievi, Landino, fino a giungere alla produzione di Angelo Ambrogini detto il Poliziano.
Si distingue, in prosa, una consolatoria inviata nel 1433 a Cosimo e a Lorenzo de’ Medici per la morte della madre. Il testo è tradito da una dozzina di manoscritti, fra cui Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana, 53, 20 (codice di dedica, dove oltre allo stemma Medici si trova un ritratto del M.) e 54, 10, cc. 33r-51v. Si tratta di uno scritto di genere, in cui spiccano le molte citazioni da autori classici e cristiani, che dimostrano la grande cultura del M. e la prosa ricercata.
Assai ridotto è il numero delle lettere del M. che si sono conservate e per questo non è possibile comprendere in pieno i rapporti con gli umanisti del suo tempo. In una lettera a Giovanni Pontano, che si trovava a Bologna con la Curia pontificia (Venezia, Biblioteca del Museo civico Correr, Cicogna, 290, cc. 33r-34v), il M. risponde, declinando l’invito, a una richiesta di scrivere in onore di Niccoli, da poco scomparso. Una lettera, forse del 1446, ad Aurispa dà conto dell’affetto fra i due, e il M., che gli rimanda un manoscritto miniato e rilegato, rende omaggio all’impegno dell’amico nella diffusione dell’umanesimo a Ferrara (Aurispa, Carteggio, pp. 111-113). Una lettera è rivolta a Francesco Sforza, che lo aveva invitato a Milano (Miscellanea, p. 168). Delle sei lettere del M. a Tortelli, segretario di papa Niccolò V (Biblioteca apost. Vaticana, Vat. lat., 3908, cc. 63r, 140r-142r) solo una è completamente datata al 1449. In esse si affrontano questioni diverse: dall’amicizia tra i due, alla traduzione omerica, ai rapporti con la Sede apostolica di singoli o di conventi fiorentini. Un’altra lettera a Tortelli, scritta forse fra il 1437 e il 1441, è contenuta nel ms. di Londra, British Library, Add. Mss., 11760, cc. 160v-161r e tratta anche dei libri di Niccoli non ancora sistemati nella biblioteca fiorentina del convento di S. Marco. Una lettera a Valla si trova nel ms. di Firenze, Biblioteca Riccardiana, 779, c. 173v (Valla, Epistole, p. 136). Da Girolamo Aliotti, che lo ricorda più volte esplicitamente (per esempio Ep. I, 17), ricevette quattro lettere, nel corso del 1449, relative a vicende del convento francescano di Sergiano (Ep. III, 42-43, 47-48).
Alle lettere private vanno aggiunte quelle pubbliche del M. cancelliere, elaborate dal 5 apr. 1444 al 10 apr. 1453, ultimo giorno in cui si registra una sua lettera ufficiale (Arch. di Stato di Firenze, Signori e Collegi, Carteggi, Missive, 36-38 con lacune dal 14 marzo al 25 ott. 1447 e dal 29 ott. 1448 all’11 dic. 1452; ibid., Legazioni e Commissarie, 11-13; ibid., Responsive, 8 dove si trova solo una decina di lettere, mentre questi testi, ritenuti modelli di stile epistolare, sono stati in parte copiati in altri testimoni come Firenze, Biblioteca Riccardiana, Mss., 1200, cc. 179r-181r; 1592, cc. 121v-124v; Biblioteca Medicea Laurenziana, Mss., 90 sup. 47, cc. 53-60). In certi casi il carteggio pubblico del M. rappresenta la sola fonte documentaria a carattere diplomatico, mancando i registri dei Dieci di balia, anch’essi deputati alla conduzione della politica estera. Un excerptum di carattere lessicale compilato dal M. è riprodotto nel ms. Firenze, Biblioteca Riccardiana, Mss., 673, cc. 190-201, scritto da Bartolomeo Della Fonte: è un elenco di termini disposti in ordine alfabetico. Ancora Della Fonte nel ms. Firenze, Biblioteca Riccardiana, Mss., 907, c. 173v, riproduce il testo dell’epitaffio scolpito sulla tomba del M. in S. Croce e dovuto all’aretino Francesco Griffolini.
Al M. sono state attribuite la traduzione della Vita di Evagora di Isocrate, che in realtà è di Guarini; la commedia Philodoxeos fabula di Leon Battista Alberti (per esempio nei mss. Augusta, Staats- und Stadtbibliothek, Mss., 2° Cod. 126 trascritto da Albrecht von Eyb; Monaco, Bayerische Staatsbibliothek, Clm, 72 e 650; Milano, Biblioteca Ambrosiana, Mss., N.25 sup., e pubblicata nel 1588 a Lucca); e ancora di Alberti, l’intercenale Virtus, traduzione di un’opera di Luciano (per esempio nei mss.: Biblioteca apost. Vaticana, Reg. lat., 1592; Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana, Ashb., 1657; Ibid., Biblioteca Riccardiana, Mss., 676 e 766; Milano, Biblioteca Ambrosiana, Mss., H.192 inf.; Torino, Biblioteca Reale, Varia, 269).
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Firenze, Signori e Collegi, Deliberazioni in forza di speciale autorità, 18, c. 50r; 38, c. 42v; Catasto, Distretto di Arezzo, 203, c. 647v; Provvisioni, Protocolli, 12, c. 56v; 122, cc. 56v-59v; Ufficiali della grascia, 189, c. 72v; Notarile antecosimiano, 2196, cc. 101r-111r; 13497, c. 75r; 17402, c. 81r; Tratte, 915, c. 72r; Catasto, 474, c. 524r; 498, c. 185r; 642, c. 383r; 647/II, c. 871; 679/II, c. 860; 826, cc. 612r-614r; Carte strozziane, Serie I, 10, c. 43r; ibid., Serie II, 16 bis, c. 13r; Carte Ceramelli Papiani, 3029; Firenze, Biblioteca nazionale, Poligrafo Gargani, 1227; Ibid., Biblioteca Marucelliana, Mss., C. 61: E. Gamurrini, Memorie della famiglia Marsuppini; F. Filelfo, Epistolarum familiarum libri, Venetiis 1502, cc. 9, 10v, 12, 17v, 53r, 163v; F. Biondo, De Roma triumphante libri X, Romae instauratae libri III, Italia illustrata, Historiarum ab inclinato Romano imperio decades III, Basileae 1531, p. 309; P. 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