MOISE, Carlo
MOISÈ, Carlo. – Non si conoscono il luogo e la data di nascita di questo scultore di ornati e di figure zoomorfe, attivo a Roma tra la fine del XVIII secolo e l’inizio dell’Ottocento.
Si formò probabilmente a Roma presso i migliori specialisti di questo genere, come gli scultori Francesco Antonio Franzoni, con il quale mantenne buoni rapporti per tutta la vita, e Lorenzo Cardelli.
Il 29 ag. 1773 fece il suo ingresso all’università dei marmorari e il 22 gennaio dell’anno successivo partecipò alla congregazione generale della stessa istituzione romana.
Dall’ottavo decennio era già impegnato in uno dei principali cantieri romani del Settecento, quello di villa Pinciana, dove collaborò con Antonio Isopi, sotto la direzione artistica dell’architetto Antonio Asprucci, nell’esecuzione degli intagli dei capitelli ionici, del cornicione e dei rosoni marmorei posti nel soffitto del pronao del tempietto di Esculapio.
La modalità dei pagamenti, versati ai due artisti tra il settembre e il dicembre del 1785, fa supporre che il ruolo del M. fosse subordinato rispetto a quello di Isopi. Nel 1790 lavorava, sempre con quest’ultimo, alla messa in opera della fontana dei Cavalli marini nel giardino di villa Pinciana, mentre tra il 1791 e il 1793 si dedicò all’esecuzione dei capitelli in marmo statuario della chiesetta della villa (Campitelli, 1993).
L’attività del M. era conosciuta a Roma già allora, come testimonia la richiesta di licenza delle esportazioni che il 20 nov. 1794 egli inoltrò per tre casse, contenenti suoi lavori valutati 300 scudi, da inviare fuori dalla città o dallo Stato Pontificio (Carloni, p. 96).
All’epoca aveva già realizzato un camino in marmo per l’artista inglese John Deare (1759-98), alla cui morte fu pagato dallo scultore Vincenzo Pacetti, che ne era l’esecutore testamentario.
In quell’occasione Pacetti gli cedette, in parte come compenso e in parte come vendita, una partita di materiale lapideo: granito verde egizio, un camino, un vaso di marmo e infine la copia in gesso del torso del Belvedere.
Il M. doveva praticare il commercio di antichità e l’attività di restauro, collegata alla sua specializzazione di intagliatore di figure zoomorfe, poiché il 12 ag. 1799 Pacetti ricevette dal M. un vasetto di rosso antico in dono, mentre a sua volta il 10 maggio successivo gli affidò il ripristino di due zampe di animali che facevano parte, forse come sostegno, di una tazza di proprietà dell’architetto Virginio Bracci, con il quale Pacetti era, in quel momento, in società. A conferma di questa sua attività, nel 1804 il M. offrì in vendita alla Camera apostolica una raccolta di antichità, valutata 365 scudi.
La collezione fu acquistata in gran parte per il museo Chiaramonti (M.A. De Angelis, Il primo allestimento del museo Chiaramonti in un manoscritto del 1808, in Bollettino dei monumenti musei e gallerie pontificie, XIII [1993], pp. 92, 117, 734). Il pagamento della raccolta, ridotto a soli 100 scudi, fu versato nel 1805 e nel 1807 al M. e a Isopi insieme (Carloni, p. 99), segno tangibile che i due mantennero nel tempo una stretta collaborazione, probabilmente sotto forma di società, come allora avveniva di frequente per ammortizzare le spese sostenute nell’acquisto delle stesse opere.
Come intagliatore il M. si dedicò in quegli anni anche alla produzione di lapidi sepolcrali, come documenta la sua richiesta di estrazione del 1° genn. 1808 (M. Pomponi, Fonti per la storia dei monumenti antichi di Roma, III, Sul commercio di opere d’arte a Roma in età napoleonica, in Atti dell’Accademia Nazionale dei Lincei, Rendiconti, cl. di scienze morali, storiche e filologiche, s. 6, IX [1995], p. 121).
Il M. eseguì, inoltre, raffinate copie in materiale lapideo di pregio, come quella rappresentante l’obelisco Flaminio, di circa un metro di altezza, realizzata in rosso antico e tutta istoriata, che offrì invano al pontefice Pio VII insieme con un vaso intagliato in giallo antico di forma «etrusca», di grandi dimensioni, per la somma di 330 scudi, come possibili doni da consegnare ai sovrani europei con i quali il papa doveva incontrarsi (Carloni, p. 100)
Nel 1816 la Commissione alle antichità e belle arti, formata da A. Canova, A. D’Este, C. Fea, F.A. Visconti e B. Thorvaldsen, rifiutò la nuova offerta di vendita di un’altra raccolta di antichità, perché i pezzi esaminati risultavano troppo restaurati, ma nel contempo diede parere favorevole a un’eventuale vendita all’estero.
Nel 1820 il M. risultava titolare di uno studio di scultore in via Vittoria, nella parrocchia di S. Andrea delle Fratte. L’anno successivo presso di lui sono documentati, dall’incisore, antiquario e scrittore Carlo Antonini, una tazza e tre vasi antichi, di cui uno in terracotta, tutti assai pregiati per la forma e per l’elegante partitura ornamentale (Carloni).
Non è noto l’anno di morte del Moisè.
Esistono altri Moisè di cui non si conoscono i vincoli di parentela con il M., ma dei quali è attestata l’attività negli stessi anni e nel medesimo ambito artistico. Uno era attivo nell’atelier di Thorvaldsen dal 1824 al 1829 (H. Tesan, Thorvaldsen. Und seine Bildhauerschule in Rom, Wien 1998, p. 207); uno scalpellino dello stesso cognome risulta presente nel cantiere della basilica romana di S. Paolo fuori le Mura (O. Noel - E. Pallottino, Luigi Poletti, prospetto dell’abside e della cattedra papale, 1837, in Maestà di Roma da Napoleone all’Unità d’Italia [catal., Roma], Milano 2003, p. 494). Nei documenti custoditi presso l’archivio dell’università dei marmorari, relativi alle sedute del 17 genn. 1762, del 3 genn. 1773 e del 6 febbr. 1774, sono menzionati anche un Niccolò, un Giuseppe e un Pietro Moisè (Roma, Archivio nazionale di S. Luca, Congregazioni e decreti, vol. 77, cc. 1v, 53, 57). Il 15 sett. 1816, a Livorno, il duca d’Alba, don Carlos Miguel Fitz James Stuart y Silva, acquistò da un certo Moisè una copia dell’Ebe del Canova e sei vasi moderni, di cui quattro realizzati in alabastro (B. Cacciotti, La collezione di antichità del duca d’Alba don Carlos Miguel Fitz James Stuart y Silva (1794-1835), in Arqueología, coleccionismo y antigüedad. España e Italia en el siglo XIX, a cura di J. Beltrán Fortes - B. Cacciotti - B. Palma Venetucci, Sevilla 2006, pp. 106 n. 32, 137).
Fonti e Bibl.: G. Brancadoro, Notizie riguardanti le accademie di belle arti e di archeologia esistenti in Roma, Roma 1834, p. 54; Villa Borghese (catal.), Roma 1966, p. 63; Il giardino del lago a villa Borghese. Sculture romane dal Classico al Neoclassico (catal.), a cura di A. Campitelli, Roma 1993, pp. 47, 144; Id., Villa Borghese. Da giardino del principe a parco dei Romani, Roma 2003, pp. 279, 281, 328, 329 n. 214; R. Carloni, C. M. «scultore di animali e di ornati», in Strenna dei Romanisti, 2004, pp. 89-103.