NAYA, Carlo
(ma «Naija» all’atto di nascita; in alcuni documenti l’autore si firmò «Naja» e a volte «Naija»). – Nacque il 2 agosto 1816 a Tronzano Vercellese, da Francesco, di famiglia benestante, e da Polisena Verzaldi.
Nel 1837 si iscrisse all’Università di Pisa, dove chiese e ottenne di potersi laureare anticipatamente – per gravi motivi familiari – in Sapienza, l’odierna giurisprudenza, il 19 agosto 1840 (Zannier, 1981, p. 18). Rientrato a Tronzano nello stesso 1840, anno della morte del padre, decise di investire la cospicua eredità in un lungo tour di formazione assieme al fratello Giovanni.
Appassionato di arte e di archeologia, attraversò «tutta l’Italia, studiando nei musei, nelle gallerie, nelle pinacoteche i capolavori dell’arte nazionale: visitò le principali città d’Europa, fu in Asia, fu in Egitto, ricercando ovunque i preziosi monumenti della civiltà antica e moderna» (Filippi 1882, p. 25), secondo un percorso formativo – tipico di certa alta borghesia dell’epoca – che avrebbe inciso notevolmente sulla sua futura attività.
Già nel 1839, dopo aver visitato Parigi– entusiasmandosi per l’invenzione del processo fotografico di Louis Daguerre – avrebbe acquistato l’attrezzatura necessaria per produrre immagini fotografiche (Auer, 1985). La passione per la fotografia, coltivata a livello amatoriale, lo accompagnò poi nelle sue peregrinazioni fino a diventare una professione. Infatti, dopo una tappa a Praga nel 1844, nel 1845 i fratelli Naya aprirono nel vivace quartiere di Pera – cuore di Costantinopoli – uno dei primi studi fotografici della capitale ottomana.
Due inserzioni pubblicitarie sulla rivista Ceride-i Havadis (8 giugno 1845 e 27 dicembre 1848) ne documentano l’attività: i fratelli, trasferitisi da Parigi, eseguivano con grande abilità ritratti fotografici senza la luce del sole e in pochi secondi, a domicilio o nel loro studio, aperto da mezzogiorno a mezzanotte; le immagini, realizzate anche con la tecnica del cosiddetto dagherrotipo, potevano essere stampate in bianco e nero o a colori, su carta o metallo; vendevano, inoltre, l’attrezzatura per realizzare dagherrotipi, insegnandone l’utilizzo agli acquirenti (Özendes 1995, pp. 100 s., 104).
Nel 1856, a Costantinopoli, morì Giovanni e Carlo fece ritorno a Tronzano. Col denaro rimastogli decise di aprire uno studio fotografico a Venezia, dove si trasferì probabilmente tra il 1856 e il 1857. Qui andò ad aggiungersi a quella agguerrita schiera di fotografi (Carlo Ponti, Giuseppe Coen, Francesco Bonaldi, Fortunato Antonio Perini, Domenico Bresolin, Antonio Sorgato, Pietro Bertoja, i Fratelli Vianelli ecc.) che, soprattutto a partire dai primi anni Cinquanta, avevano aperto i loro atelier, attratti dal ricco commercio di stampe fotografiche alimentato dallo stupore suscitato dalla nuova arte e da un afflusso crescente di turisti (Prandi, 1979, p. 125).
Sposatosi con Ida Lessiak, d’origine ungherese, nel 1857 Naya inaugurò il suo laboratorio in campo S. Maurizio 2758, mentre per la vendita delle immagini – come già altri colleghi – si appoggiò inizialmente a uno dei più rinomati negozi della città, quello di Ponti, che le smerciava come proprie. In poco tempo Naya, dotato di larga cultura artistica e di notevole perizia tecnica, si impose in Italia e all’estero come uno dei principali fotografi di architettura a Venezia, per l’accuratezza nella scelta dei soggetti e la qualità delle immagini.
Già nel 1859 la Revue Photographique riconosceva che le sue foto «brillent par des qualités rares; […] nous déclarons que jamais nous n’avons vu d’aussi beaux noirs et des blancs aussi éclatants; l’exécution photographique de ces épreuves est irréprochable», collocando Naya «au rang de nos meilleurs photographes» (cit. in Costantini - Zannier, 1986, p. 34).
Nel 1864 pubblicò il suo primo catalogo generale, con vedute e riproduzioni fotografiche di dipinti, proposte nei formati 27 x 35, 14 x 18 e ‘carta da visita’. Alle 200 foto di monumenti, chiese, palazzi (in interni ed esterni) e panorami veneziani («Ciascuna con leggenda storica in quattro lingue», com’è specificato nel catalogo), si affiancavano 272 «vedute stereoscopiche» di Venezia, Padova, Torcello, Malta, Napoli, Roma, Palermo e Firenze; 240 «fotografie dei migliori quadri antichi e moderni» custoditi nei musei delle principali città italiane ed europee; 13 «fotografie tratte dagli originali senza alcun ritocco» degli affreschi di Giotto nella cappella degli Scrovegni, in una sezione a parte, che apre il catalogo. Quest’ultimo lavoro poté essere proseguito grazie all’importante incarico affidatogli da Pietro Selvatico Estense (già direttore dell’Accademia di belle arti di Venezia e autore nel 1852 dello scritto Sui vantaggi che la fotografia può portare all’arte): documentare lo stato degli affreschi padovani prima, durante e dopo i lavori di restauro del 1867, in un contesto di progressiva affermazione della fotografia come strumento di conoscenza e diffusione del patrimonio artistico del paese. Altrettanto preziose le 10 riproduzioni dell’album Bassirilievi nella chiesa dei Ss. Giovanni e Paolo in Venezia realizzate nel 1867, poco prima che la cappella del Rosario andasse completamente distrutta in un incendio.
I rapporti tra Naya e Ponti si incrinarono nel 1866, all’indomani della pubblicazione congiunta dell’album Vedute di Venezia. Accusato di avere commercializzato l’aletoscopio – apparecchio inventato da Ponti per consentire una visione tridimensionale delle immagini fotografiche, con effetto giorno-notte – Naya decise di gestire in proprio anche la commercializzazione e nel 1868, forte della medaglia d’argento ottenuta l’anno precedente per le sue vedute all’Esposizione universale di Parigi, aprì un negozio sotto le Procuratie, per l’esposizione e la vendita dei suoi lavori. Dotato di uno spiccato senso degli affari, nel corso di pochi anni trasformò l’attività in una vera e propria impresa, ampliando progressivamente il suo atelier – punto di ritrovo di viaggiatori, artisti e studiosi d’arte – fino ad occupare 5 numeri civici. Se il catalogo del 1864 era composto da circa trenta pagine, quello del 1882 ne vanterà 146, in corrispondenza con la crescita degli affari e della rete di rivendite (Firenze, Parigi, Londra, Berlino, Mosca ecc.). Naya divenne così una sorta di direttore artistico capace di controllare ogni aspetto della produzione e di fornire precise indicazioni ai suoi numerosi assistenti (arrivò ad averne più di 20) per l’esecuzione materiale delle immagini.
La necessità di assecondare gusti, aspettative e immaginario dei turisti in cerca di foto-souvenir, dava origine a una produzione fotografica degli atelier veneziani stereotipata e uniforme nelle scelte tematiche e stilistiche, tutta risolta nella ripetizione di consolidati schemi iconografici della tradizione vedutista, litografica e incisoria. Emblematico il folclorismo esotico e populista delle scene di genere, allora molto richieste e alle quali Naya dedicò l’importante serie de L’Italie pittoresque, scènes et costumes pris d’après nature (con titoli come I mendicanti o Lazzaroni napoletani). Erano dunque altri gli ambiti nei quali i vari studi fotografici, per lo più concentrati in piazza S. Marco e dintorni, cercavano di imporsi: dalla corsa agli ultimi ritrovati di una tecnica fotografica in continua evoluzione, ai segreti di laboratorio gelosamente custoditi, dalla produzione di stampe in formati sempre maggiori («extragrand», «impérial»), al perfezionamento di marchingegni per visioni straordinarie delle immagini (grafoscopio, aletoscopio, megaletoscopio), fino a veri e propri effetti speciali. Naya divenne celebre per le romantiche e illusorie versioni «al chiaro di luna» delle sue vedute, ottenute montando due negativi (alla ripresa diurna dell’architettura si aggiungeva quella del sole seminascosto dalle nubi) e ricorrendo poi a carte colorate e viraggi per mimare l’effetto notturno (Zannier, 1995, p. 5).
In questo clima vivace e concorrenziale, va inquadrato lo storico processo «per contraffazione di fotografie» intentato da Naya contro vari fotografi veneziani, tra cui Ponti, condannati nel 1882 per aver riprodotto e messo in commercio a minor prezzo alcune sue stampe, spacciandole per proprie (Zannier, 1981, pp. 25 s., 147-149). Per dimostrare l’illecito Naya si era avvalso di un ingegnoso stratagemma: cancellare dai negativi originali alcuni dettagli in modo da stabilire se le fotografie vendute dai colleghi fossero state ottenute tramite ripresa diretta dello stesso soggetto o riproduzione delle sue stampe, prive dei particolari cancellati.
Divenuto fotografo «al servizio di S.M. il Re d’Italia» (Becchetti, 1978, p. 123), riprese i principali eventi pubblici veneziani (regate, manifestazioni, il viaggio a Venezia dell’imperatore Francesco Giuseppe I d’Austria nel 1875), vincendo numerose medaglie ai Salons fotografici nazionali e internazionali.
Morì a Venezia il 30 maggio 1882.
Gli sfarzosi funerali voluti dalla moglie videro la partecipazione di una folla ampia e commossa. La ditta Naya continuò a operare prima sotto la direzione di Tomaso Filippi, uno dei principali assistenti incaricato del laboratorio, poi sotto quella di Antonio Dal Zotto, col quale la vedova Lessiak – alla quale era passata la gestione del negozio – si era risposata nel 1889. Alla morte di Dal Zotto, nel 1918, l’attività della ditta cessò e l’archivio Naya fu acquisito prima dall’editore Ferdinando Ongania e poi dal fotografo Osvaldo Böhm, i cui eredi ne gestiscono a tutt’oggi il patrimonio.
Fonti e Bibl.: Catalogo generale delle fotografie di C. N. in Venezia, Venezia 1864; T. Filippi, Mesto tributo alla memoria onoratissima dell’Av-vocato Cav. C. N. nel trigesimo della sua morte, Venezia 1882; P. Becchetti, Fotografi e fotografia in Italia 1839-1880, Roma 1978, pp. 123-125; A. Prandi, Veneto e N. C., in Fotografia italiana dell’Ottocento (catal., Firenze-Venezia), Milano 1979, pp. 123-126, 167 s.; I. Zannier, Venezia. Archivio Naya, Venezia 1981; M. Auer- M. Auer, Encyclopédie internationale des photographes de 1839 à nos jours, II, Hermance 1985, s.v.; P. Costantini - I. Zannier, Venezia nella fotografia dell’Ottocento (catal.), Venezia 1986; The photography of C. N.:vedute e dettagli (catal.,), a cura di P. Costantini, Michigan 1992; E. Özendes, Photography in the Ottoman Empire (1839-1919), Istanbul 1995, pp. 100-105; Venezia al chiaro di luna. C. N. nella collezione di Giuseppe Vanzella, a cura di I. Zannier, Spilimbergo 1995; Venezia nelle fotografie di C. N. della Biblioteca Vallicelliana, a cura di A. Manodori Sagredo, Roma 2008.