OPPIZZONI, Carlo
OPPIZZONI (Opizzoni), Carlo. – Nacque a Milano il 15 aprile 1769 dal conte Francesco e dalla marchesa Paola Trivulzio.
Laureatosi presso l’Ateneo di Pavia in teologia e diritto canonico il 7 giugno 1790, fu ordinato sacerdote il 25 maggio 1793 e divenne arciprete del duomo di Milano nel 1796.
In tale carica gli sarebbe successo il fratello Gaetano (1768-1849), anch’egli entrato nella vita consacrata.
Nominato da Napoleone Bonaparte il 28 giugno 1800 membro della Consulta legislativa della Repubblica Cisalpina, raggiunse in breve una posizione di autorevolezza tra il clero milanese. Prese parte al congresso di Lione del 1802. Morto l’arcivescovo di Milano Filippo Visconti (Lione, dicembre 1801), assunse un ruolo di rilievo come solido sostenitore dei diritti della Chiesa.
Al suo ritorno da Lione, Napoleone lo propose per la nomina ad arcivescovo. Avendo rifiutato la sede milanese, sembrò destinato a Ravenna, in sostituzione dell’arcivescovo Antonio Codronchi, che Napoleone avrebbe voluto a Bologna ma che rinunciò. Nonostante i suoi tentativi di rifiutare la nomina, Oppizzoni venne quindi eletto arcivescovo di Bologna il 20 settembre 1802. Fu consacrato il 21 settembre 1802, nella chiesa di S. Carlo ai Catinari in Roma, dal cardinal Giovanni Filippo Gallarati Scotti. Fece il suo ingresso a Bologna il 21 gennaio 1803, dopo aver preso possesso canonico della diocesi il 27 dicembre 1802 tramite il vicario Paolo Patrizio Fava. Nel concistoro del 26 marzo 1804, per sollecitazione di Napoleone, fu creato cardinale. Ricevette il berretto rosso il 24 maggio 1804 col titolo di S. Bernardo alle Terme, mutato nel 1839 in quello di S. Lorenzo in Lucina.
Sin dagli inizi i suoi rapporti col clero bolognese non furono facili, in primo luogo a causa dell’origine milanese che veniva a rompere una tradizione di pastori locali consolidata. La diffidenza si acuì in virtù dello stile di governo di Oppizzoni e per la propensione ad appoggiarsi a persone di fiducia venute da Milano.
Nel 1806 operò una profonda risistemazione della struttura parrocchiale della città di Bologna, riducendo il numero delle parrocchie da 53 a 18, una soluzione di compromesso che permise di eludere le richieste più severe di Bonaparte ma che portò comunque a tensioni con il clero diocesano da un lato e il Regno d’Italia dall’altra. Ristabilì anche i capitoli della cattedrale di S. Pietro e della basilica di S. Petronio. La parte extraurbana della diocesi non subì invece sostanziali modifiche, se non per alcune rettifiche di confini verso il Modenese, quando nel 1822 si incorporarono 17 parrocchie che, pur situate nello Stato pontificio, erano soggette alla diocesi modenese e all’abbazia di Nonantola, e verso il Ferrarese, nel 1840, con l’inclusione della parrocchia di Casumaro.
A testimonianza dell’ostilità verso Oppizzoni, una lunga serie di azioni contro lui, come satire, pasquinate, libelli, culminò nel 1806 con la diffusione di voci relative alla sua vita personale. Il sostegno di Napoleone condusse a una rapida conclusione assolutoria della vicenda e al trasferimento del prefetto di Bologna, senza però che venissero identificati i mandanti della montatura.
In questa fase Oppizzoni consolidò una fama di napoleonista, anche grazie ai pubblici riconoscimenti ottenuti, come la nomina a senatore del Regno Italico e la concessione dell’Ordine della Corona ferrea.
Fu tacciato addirittura di eccessiva accondiscendenza verso il nuovo regime, come nel 1807 quando adottò il nuovo Catechismo del Regno d’Italia voluto da Napoleone. Si impegnò nel difficile compito di assicurare il sostegno del clero alla coscrizione militare napoleonica, di fronte a una popolazione riottosa al punto di arrivare nel 1809 a un’insorgenza.
Le relazioni con Napoleone però entrarono in crisi nel 1809-10, anche in conseguenza del mutare del quadro politico internazionale e del precipitare dei rapporti tra Bonaparte e il Papato. Dopo l’arresto di Pio VII nel luglio 1809 e la sua prigionia in Francia, Oppizzoni fu convocato a Parigi per assistere alle seconde nozze dell’imperatore con Maria Luisa d’Austria, ma fu fra i 13 cardinali, guidati da Ercole Consalvi, che si rifiutarono di prender parte alla cerimonia del 1° aprile 1810, giudicata canonicamente irregolare, motivo per il quale furono privati della porpora (di qui la definizione di ‘cardinali neri’), dispersi, esiliati, incarcerati. Oppizzoni fu relegato in diversi luoghi, a Salieu, a Semur, nel castello di Vincennes, a Fenestrelle, a Carpentras, e riottenne la libertà soltanto il 18 aprile 1814, dopo l’abdicazione di Napoleone.
Dal maggio riprese a governare la diocesi di Bologna. Dopo un breve soggiorno in città, dal 12 al 23 maggio 1814, tornò definitivamente a Bologna il 28 luglio 1815, con la restaurazione del governo pontificio. La città ritornò così nuovamente soggetta a Roma sino al 1859, in maniera più stretta che nel passato, in quanto i tentativi bolognesi di ripristinare la struttura di governo dualistica di ‘governo misto’ (con coesistenza di cardinal legato e senato cittadino), precedente alla discesa dei francesi nel 1796, non ebbero successo e il senato non fu più ricostituito.
Primo impegno di Oppizzoni fu riorganizzare la diocesi che risultava stremata dopo quasi vent’anni di rivolgimenti. Nel 1815 istituì la Congregazione consultiva per i luoghi pii, al fine di risanare la gestione economica e amministrativa delle istituzioni dipendenti dal vescovo e di eliminare le fabbricerie create negli anni rivoluzionari e napoleonici. Ripristinò la giurisdizione civile e criminale del foro ecclesiastico. Nel 1817 iniziò la riorganizzazione della Curia con il riordino della Cancelleria secondo criteri centralistici e burocratici mutuati dalle istituzioni francesi. Nel 1818, fu fondato l’Archivio generale arcivescovile e fu trovata una nuova sede alla Biblioteca arcivescovile, creata dal cardinal Gabriele Paleotti. Nel 1819 fu istituita l’Azienda vicariati e cappellanie col compito di amministrare i benefici senza cura d’anime e i diversi assegni al clero. La riforma della Curia operata da Oppizzoni si rivelò talmente valida da rimanere la base della struttura amministrativa della Chiesa bolognese ben oltre la fine del dominio temporale del papa su Bologna, sino al 1925 quando si rese necessario un profondo riordino in conseguenza della pubblicazione del Codex iuris canonici.
Nel campo della vita religiosa il suo obbiettivo primario fu quello di contrastare il processo di secolarizzazione oramai ampiamente percepibile. Accentuò il ruolo del clero secolare nell’amministrazione parrocchiale. Ripristinò, anche con provvedimenti eccezionali, l’amministrazione delle cresime nel 1815-16. Rinnovò l’uso delle fedi per la comunione pasquale, riprese delle festività soppresse e reintrodusse, nel 1817, la pratica degli Addobbi, ovvero della celebrazione solenne della festa del Corpus Domini nelle parrocchie cittadine secondo un turno decennale fisso. Nel 1817 regolò con un editto l’osservanza e la santificazione dei giorni festivi.
L’8 maggio 1818 avviò la sua prima visita pastorale, come a esprimere che finalmente la diocesi aveva ritrovato una sua vita regolata e fedele alle migliori tradizioni della Chiesa bolognese secondo il modello episcopale offerto da Gabriele Paleotti e Carlo Borromeo.
Regolò l’uso definitivo del nuovo cimitero della Certosa nel 1816 e nel 1821. Nel 1824 fu ufficialmente riaperta l’Università di Bologna e il pontefice Leone XII lo nominò suo arcicancelliere. Oppizzoni vi istituì una Congregatio spiritualis alla quale erano tenuti a partecipare tutti gli studenti. Riavviò l’attività dei seminari di Bologna e Cento e nel 1837 regolò la vita delle Scuole pie.
Quando nel febbraio 1831 si estese a Bologna l’insurrezione che aveva preso le mosse nel ducato di Modena guidata da Ciro Menotti e fu rovesciato il potere papale, Oppizzoni era a Roma per il conclave che aveva appena eletto Gregorio XVI. Restaurato in breve tempo il potere legittimo con l’intervento militare austriaco, il segretario di Stato cardinal Tommaso Bernetti, nel tentativo di riprendere il controllo dell’area dello Stato a nord degli Appennini, costituì un’unica struttura di governo per le quattro legazioni di Bologna, Ferrara, Forlì e Ravenna e dal marzo al maggio 1831 ne mise a capo, come cardinale a latere, Oppizzoni. Questi nominò subito i suoi rappresentanti nelle legazioni, diede vita a una Consulta per le quattro legazioni e in questo suo breve incarico cercò di rendere indipendente la gestione finanziaria della nuova legazione unificata dalla Tesoreria generale romana, che però reagì energicamente. In generale, nell’esperienza di governo, Oppizzoni manifestò una tendenza mediatrice e giudiziosamente riformatrice che esprimeva ancora uno spirito assai vicino alla tradizione del cardinal Consalvi.
Cercò di portare un qualche sollievo ai gravi problemi di ordine pubblico e di crisi economica presenti a Bologna e nelle Romagne con una riduzione del prezzo del sale e mitigando le condizioni di accesso al Monte di Pietà, ma i margini di manovra erano assai ristretti. Le sue proposte per la questione finanziaria, formulate non senza intenzioni di riforma, lo misero in conflitto con Bernetti, il tesoriere generale Mario Mattei e l’intendente generale pontificio presso il comando militare austriaco, il barone Flaminio Baratelli. Anche alcuni suoi provvedimenti riformatori, soprattutto in materia di giustizia e di riorganizzazione dei tribunali, incontrarono scarso favore a Roma. Il 1° giugno 1831 la legazione a latere fu soppressa.
Durante l’episcopato di Oppizzoni l’azione pastorale si concretizzò sempre di più nella ricerca dell’efficienza burocratico-amministrativa, piuttosto che nello stimolo alla azione intellettuale, con un’accentuazione di temi che si avvicinavano a quelli classici dell’intransigentismo. L’effetto fu che, nonostante l’impegno per elevare l’istruzione del clero, l’elaborazione culturale della Chiesa bolognese, non registrò una particolare fioritura. In sostanza la Chiesa trovò un certo equilibrio che, riassorbiti i profondi sconvolgimenti successivi al 1796, si accompagnava, accanto al buon livello amministrativo, a un’aurea mediocritas sotto il punto di vista della vita spirituale.
Un’iniziativa di particolare significato fu la pubblicazione del Giornale ecclesiastico di Bologna (1840-46) che, pur partendo con obbiettivi apologetici, non mancò di introdurre temi moderatamente innovatori. Dalle relazioni ad limina del 1830 e del 1841 si sa che Oppizzoni nominò numerosi predicatori quaresimali nelle parrocchie e promosse sacre missioni negli anni 1825 e 1826. Il ritorno degli ordini religiosi allontanati durante il periodo napoleonico fu guidato da una certa cautela e dal criterio di sottoporre la pastorale, il più possibile, al clero secolare. Fu ristabilita la disciplina classica, dall’uso della talare alla riproposizione del catechismo romano (emendando così il primitivo sostegno al catechismo napoleonico), dagli studi sacri necessari ai sacerdoti al controllo sulla stampa.
Una frattura assai profonda tra Chiesa e società bolognese, destinata probabilmente a non più rimarginarsi, si aprì in seguito ai rivolgimenti del 1848. Alla concessione delle costituzioni a Napoli, a Torino, a Firenze, i cittadini e la guardia civica si riunirono in S. Petronio, per cerimonie religiose di ringraziamento (3, 13 e 20 febbraio 1848). Quando anche la costituzione per lo Stato della Chiesa fu concessa da Pio IX, Oppizzoni pubblicò una circolare (18 marzo 1848) assai calorosa e sostenne la preparazione delle elezioni. La tensione in città però crebbe con l’arrivo, il giorno di Pasqua (23 aprile), insieme a colonne di volontari pontifici provenienti da Roma, dei due barnabiti Alessandro Gavazzi e Ugo Bassi, che vi avevano funzioni di cappellani. Presto Oppizzoni si trovò stretto tra chi lo sollecitava per un sostegno al movimento patriottico e chi lo attaccava perché non assumeva una netta e recisa posizione in difesa del clero, in larga misura conservatore soprattutto nella sua componente cittadina. Una serie di iniziative anonime contro di lui sfociò in una presa di posizione collettiva del clero urbano con l’appoggio di alcuni docenti dell’università.
L’arcivescovo oscillò tra gesti di apertura al moto nazionale e il sostegno a Pio IX dopo la sua fuga a Gaeta. Se da un lato incontrò Gioberti nel giugno 1848 e aderì al giubilo per la resistenza antiaustriaca della città l’8 agosto, dall’altro manifestò nel modo più evidente la sua vicinanza al papa nella notificazione del 5 agosto 1849 quando, pochi giorni prima dell’esecuzione di Bassi da parte degli austriaci, condannò in maniera trasparente le posizioni di quest’ultimo e di Gavazzi. Non gli sfuggirono neppure i nuovi orientamenti filosofici e politici e nella notificazione del 25 gennaio 1850 denunciò l’inverarsi del pericolo del comunismo e del socialismo.
Dopo aver trascorso gli ultimi tempi in condizioni di salute assai precarie, morì a Bologna il 13 aprile 1855. Venne sepolto nella cattedrale di S. Pietro.
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