COLLOREDO, Carlo Ottavio conte di
Primogenito del conte Carlo Ludovico e di Eleonora Gonzaga, nacque a Venezia il 27 dic. 1723.
Il matrimonio del padre con l'ultima discendente e principale erede di un ramo collaterale della famiglia dominante (i marchesi di Vescovado), celebrato a Mantova nel 1721, era stato opera del nonno Giovanni Battista (1656-1729), ambasciatore di Carlo VI presso la Serenissima: fiduciario di rilievo, che coronava proprio in quegli anni, con la legazione a Venezia, una fortunata carriera spesa tutta al servizio della casa d'Austria. Assai di minor conto, invece, la parte sostenuta nelle pubbliche mansioni da Carlo Ludovico (1699-1759), che, dopo essere stato gentiluomo di camera alla corte di Vienna (e per questo venne compensato nel 1741 con una pensione di 7.000 fiorini - moneta di Germania - che in realtà compensava i meriti maggiori del padre), non ricoprì altra carica.
Trascorsa l'infanzia a Venezia, dove il padre aveva mantenuto la sua dimora, pur essendo stato nel 1721 aggregato al patriziato mantovano, il C. ricevette la sua educazione nel collegio per nobili di Modena, diretto dall'abate Bartolomeo Sassarini. Terminati gli studi, fece ritorno a Venezia e dopo un breve soggiorno a Vienna, durante il quale Maria Teresa gli conferì il grado di gentiluomo di camera (1748), nel 1750 si fissò a Mantova, ove sposò la cugina Ippolita, secondogenita del marchese Bentivoglio d'Aragona e di Marianna Gonzaga, sorella della madre Eleonora. Erede del cospicuo patrimonio dei marchesi di Vescovado, che in globava, oltre al palazzo cittadino (poi palazzo di Giustizia), una delle maggiori proprietà fondiarie del Mantovano (il C. era padrone di 17.247 pertiche, concentrate in gran parte nella vastissima possessione di Sermide), ricoprì le cariche civiche che competevano alla sua qualifica di patrizio, avendo ottenuto nel 1757 l'aggregazione al decurionato mantovano. Tuttavia il favore di cui godeva a Vienna, l'intimità della madre Eleonora con l'imperatrice, la latitanza di gran parte della nobiltà locale, che non nascondeva di osteggiare i tentativi riformatori dell'Austria, candidavano il C. a svolgere nell'ex ducato gonzaghesco quel ruolo di fedele servitore della Corona in cui da generazioni si era distinto il suo casato, adattandosi alle mutate esigenze di una monarchia cui abbisognava di reclutare fra la nobiltà non solo uomini d'arme e diplomatici, ma anche e soprattutto degli amministratori e dei funzionari.
Subentrato nel 1763 al marchese Onorato Castiglioni nell'ufficio di commissario generale ai Confini (una carica che il riordinamento amministrativo del 1750 faceva dipendere direttamente dalla presidenza del Supremo Consiglio di Giustizia mantovano), nel 1772, a seguito della rinuncia del conte Pavesi, fu nominato sovrintendente generale alle Acque del ducato e nel 1775 entrò nel novero dei consiglieri del Magistrato camerale. In questo delicato dicastero, su cui gravava tutto l'onere di fronteggiare il cronico dissesto delle finanze mantovane, in un contesto per giunta politicamente poco propizio a quei radicali mutamenti istituzionali, che invece erano stati approntati con successo da tempo nel Milanese, il C. coadiuvò la opera instancabile e zelante, ma scarsamente innovativa, del Saint-Laurent, che era rimasto a dirigere il Magistrato camerale dopo il trasferimento a Milano, nel 1781, del presidente barone Montani. Quando il Saint-Laurent lasciò vacante, nel 1784, la carica, è sul C. quindi che cadde la scelta del governo dovendosi, seppur per breve tempo, nominare un nuovo presidente, che dirigesse il dicastero mentre si andava preparando l'unificazione amministrativa di Mantova con Milano. Investito nel nuovo ministero finanziario della carica meno prestigiosa di sovrintendente, per compensarlo della perdita di rango nel 1785 al C. fu conferito il grado di consigliere intimo di Stato. Tuttavia la salute malferma gli impedì di prendere parte attiva, come in precedenza, alle nuove mansioni e la morte, subentrata repentinamente, troncò una carriera che era, per altro, giunta ai massimi onori.
Più significativa la parte che il C. svolse nelle iniziative promosse dall'Austria per ridare vigore e indirizzare in senso nuovo le istituzioni culturali mantovane. Nominato nel 1766, a seguito della morte del conte Giambattista Sottovia, rettore dell'Accademia letteraria dei Timidi, per la quale leggeva una dissertazione sulla Passione di Gesù Cristo, che ribadiva temi e modi di una cultura decisamente invecchiata, nello stesso anno fu pronto ad aderire all'invito espresso da Maria Teresa, che nel 1765 aveva sollecitato i Timidi a mutare indirizzo, mettendosi al passo con il nuovo pensiero scientifico. Nasceva così nel 1768, grazie soprattutto all'abile opera di mediazione del C., l'Accademia di scienze, belle lettere ed arti di Mantova, frutto dell'aggregazione al rinnovato sodalizio dei Timidi di tutte le altre istituzioni culturali cittadine di maggior spicco, fra cui in particolare la Colonia arcadica virgiliana e l'Accademia teresiana di belle arti, già da, più di un quindicennio impegnate nel superamento della gretta tradizione accademica.
Nominato primo prefetto dell'Accademia, il C. fu affiancato da principio nella funzione direttiva dal marchese Tommaso Arrigoni, preside dell'ex Accademia teresiana. Preziosa gli fu però soprattutto la collaborazione dei primo segretario perpetuo, l'abate Pellegrino Salandri di Reggio Emilia, al quale sembra si debba attribuire una parte di rilievo nella impostazione della politica culturale svolta dall'Accademia ai suoi esordi. Rinnovato nella carica di prefetto allo scadere del primo e poi del secondo mandato sessennale, il C. fu soprattutto sollecito nel dotare la nuova istituzione, generosamente finanziata dal governo, di una attrezzatura adeguata alle funzioni che avrebbe dovuto svolgere (imperniate sull'articolazione in quattro dipartimenti: filosofia, matematica, fisica sperimentale e belle lettere). Sotto la sua presidenza l'Accademia, arricchita di un teatro (progettato da A. Galli Bibiena), di un palazzo scientifico (commissionato a Paolo Pozzo e a Giuseppe Piermarini), di una biblioteca, di un gabinetto scientifico, di un orto botanico, di un museo antiquario, di un museo di storia naturale, di una tenuta sperimentale e affiancata da svariate istituzioni (una società filarmonica, una scuola di musica, una colonia agraria, una colonia delle arti e dei mestieri, una scuola medico-chirurgica e una accademia di belle arti), si impose così ben presto come il centro animatore dello vita culturale cittadina e come uno dei principali nuclei dell'illuminismo lombardo.
Il C. morì a Mantova il 20 apr. 1786.
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